
Il sommergibile
La casa, un sommergibile, era immersa nel mare di penombra del tardo pomeriggio. Luce calda, opaca, d’autunno. Trentuno di novembre, e il Kraken che s’affacciava alla finestra. Il trentuno di novembre non esiste, ma quello non era ancora dicembre. Nel camino bruciava la legna e i fogli di giornale. Bruciava lo sport e la cronaca rosa. Magda si scoprì fin sotto ai seni e disse:
– Ho caldo.
Sul comodino, difronte al letto, Gesù Cristo guardò altrove. Diversamente fece Giovanni, che di risposta scoprì il suo sesso, e si gettò sulla donna per carezzarne le forme. E lei non s’oppose. Perché avrebbe dovuto? Forse solamente per coerenza, ché il calore dei loro corpi nudi era assai più intenso di quello delle coperte.
– S’è fatto tardi, – disse Magda – qualcosa da mangiare servirà.
– Non ho fame – Disse Giovanni, lasciando che scorressero piano su e giù le mani, studiando la morfologia dei fianchi sinuosi.
– Da quanto tempo siamo qui? – Chiedeva dunque Magda.
– Non importa, – le rispondeva Giovanni – potrei stare qui per sempre – e socchiudeva gli occhi e adagiava le tempie sul petto dolce, e frattanto lei gli carezzava i capelli, castani lunghi mossi.
– E il lavoro?
– Non importa.
– Cosa importa?
– Forse nulla. Non sarebbe bello? Potremmo pensare che nulla abbia un peso, che nulla abbia un valore. Allora saremmo noi a dare un peso e un valore alle cose, e decideremmo che nulla ha un peso e un valore, e saremmo liberi, e forse felici addirittura.
Magda ci pensò. Rivolse lo sguardo al soffitto alto affrescato di smorte fantasie floreali, dove un airone spiegava fiero le ali e placidi cherubini suonavano le trombe (si potrebbe supporre che l’uccello stia fuggendo, spaventato o infastidito, proprio dal frastuono) e disse:
– Sì, sarebbe bello.
Ma la luce stenuava in fretta, si raffreddava, e scendeva la sera. Quando fu ora, Magda schioccò un bacio sulle labbra di Giovanni, e sorridendo, così nuda, ancheggiò fino alla porta e si chiuse nel bagno. Allora anche Giovanni, senza più motivi per restare a letto, s’alzò, e raggiunse quel Cristo sul comodino. Là si premurò di chiedergli venia, prima di spostare la cornice e raccogliere il cellulare che vi si celava dietro. Lo accese, e con una smorfia seccata accolse quelle tre chiamate perse che si illuminarono nello schermo. Fu così che lo portò alle orecchie e, dopo l’intervallo di tre squilli, disse:
– Ehi, amore. Scusa, avevo il cellulare scarico. Dimmi tutto.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Molto molto ben scritto, un “one shot” di quelli che piacciono a me, intensi. Dei veri proiettili.
Faccio i complimenti per l’ottimo stile, mi sembra di poter dire che ci troviamo di fronte a una consistente esperienza di scrittura.
Pe il contenuto, l’ho trovato proprio intrigante. Dalla metafora del titolo all’apparente colpo di scena finale che, per la mia opinione, non lo è. Piuttosto mi sembra la chiave di lettura di questa storia e anche, in qualche modo, l’elemento di vera profondità, dove scende Il sommergibile.
Forse dare un senso alla felicità ha il suo prezzo e non si può scappare come farebbe l’airone.
Una gran prova.
Mille grazie per le tue parole, sono felice che il racconto sia stato apprezzato e che il suo significato sia stato colto alla perfezione.