Il venditore di cianfrusaglie 

Serie: Picciuotti adolescenti


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: In giro per la citt

Poco più avanti c’era un autru bar. Bar Napoli! Ah, qua si fermavanu i sferi. Facìa dolci buonissimi. Appena entravi, a manu manca, c’era seduta alla cassa la madre, anzi la matrona, si virìa da luntanu che era una femmina di poteri. A mia mi facìa scantari. M’impressionava. Sarà stata la sua mole di persona, ed iu nicu la virìa ancora più grandi. Era un personaggio fantastico, iconico. Assiemi al figlio gestivano quel bar in modo esemplari. Puoi, comu tutte le cose, tutto finisce.

La domenica ci facevamo a piedi naturalmente un po’ di strada, scale ed altro, per iri al bar Napoli. Eh, i dolci erunu buoni e a duminica si dovevano mangiari.

Poi, di ritorno, si passava, nel quartieri dove abitavo iu, dalla mummura. Una vecciaredda che si muoveva a rallentatori. Penso che la ‘ngiuria nasceva forse perchè si lamentava? Non lo so. Mummuriari in dialetto significa chistu, lamentarisi. Qui si prendeva il vino. E puri delle bustine effervescenti di aranciata. Bustine di aranciata. Sí. Le portavamo a casa, solo la duminica, le mamme riempivano una bottiglia da un litro e si versava sta roba che cuoceva. Noi autri, picciriddi, ci piaceva. Volevamo subbitu beri la bevanda. Ma no, prima si avìa mangiari. E ci sbrigaumu per beri aranciata e mangiari i dolci del bar Napoli. Nei giorni normali a tavola si virìa, oltre all’acqua a gazzusa. Una cosa sopraffina.

Erunu le otto e menza di matina, quannu vidi una signora che saliva sull’autobus di tutta prescia. Si girava continuamente, sembrava spaventata, comu se qualcuno la stesse inseguendo. Appena lei salì sull’autobus e si chiusero le porte, vidi spuntare un signore che correva effettivamente dietro alla signora con una vasca di plastica in mano.

«Va beni signuruzza, va beni quantu rissi lei, ce la vendo, scinnissi di l’autobus.»

E si misi a correre di fianco al bus taliando la signura che con la testa faceva segnali di no. Più l’autobus si muoveva, iddu più naturalmente per vederla, currìa.

«Forza, scinnissi, è tutta sua, ci faccio anchi u scuntu.»

La signura, avvicinandosi all’autista ci dissi qualcosa e l’autobus si fermò di botto. Lei scese con calma. Si voltò verso l’autista e ci rissi: «Ciau Giovanni, ni viriemu più tardi a casa.»

«Va beni.» ci rispunnìu l’autista. «Viri di fari togliri qualchi altra lira e pigghiala sta vasca.»

La signura appena giù andò incontro al negoziante, gli tolse la vasca dalle mani, mise le mani nella sacchetta della gonna a culuri dei cachi, tirau fora ancora meno di quantu gliela vulìa vendiri quell’uomo.

«A signuruzza, allura si misi a scherzari?» E con uno scatto tolse la vasca dalle mani della signuruzza che quasi quasi stava cadendo in avanti, tanto fu la forza che iddu ci misi. Presa la vasca girau le spalle e se ne stava tornannu al negoziu unni avìa lasciato la mugghieri e i so ottu figghi. La signuruzza stava viriennu che a suo maritu non ce la portava la vasca. Putìa mai fari una magra figura del generi? No! Corse dietro a chiddu con decisioni, lo chiamò e ci dissi:

«Va beni. Comu dici lei, basta ca ma vendi questa vasca.»

Appena il negoziante sintìo questo, si bloccò e allungò il braccio con la mano aperta, tesa versu la donna che lo taliò di sbiego. In una mano la vasca, nell’autra alcune lire, i due si salutarono.

«Quannu voli signuruzza, sempri a disposizioni.»

«Buongiorno astura, domani vengo picchì me devo comprari la machina per lo strattu. Chi fa ci l’avi?» dissi a signura un po’ ridendo, sapendo che quell ‘uomo avìa tutto, ma tuttu. Ci mancava sulu u spaziu, puoi avìa veramenti tuttu.

«Signura, ma chi fa babbìa? Ho pure lo stratto se vuole. Ma lo deve assaggiari, venga, venga ora, c’è ma mugghieri che glielo fa assaggiari. È qualcosa di speciali veramenti.» e mentri parlava si baciava le punta delle dita chiudendo un po’ gli occhi. Puoi, comu uno schioppo, diede un bacio sonoro al nulla, e dietro quel rumore delicato, invitò ancora na vota la signura a veniri nel suo negoziu.

«Domani, domani faciemu tutto.» disse la signora. E sorridendo se ne andò con la vasca che dondolava in una sua mano, mentre nell’autra avìa la sua borsetta niura.

Iu mi spostai, incuriosito da quel venditori. Lo seguii e vidi che si avvicinò a migliaia di cianfrusagghi. Mamma mia quantu ci n’erunu! Per un attimu, l’ho perso di vista. Mi sbrigai nel passo e riuscii a vederlo entrari in una porta ca era sommersa di giocattoli e cosi per la casa ca iu mi scantai sulu a taliarli. Tuttu chiddu che voi pinsati che una casa può richiedere, beni, iddu ci l’avìa. Impressionanti. Mi avvicinai e mi misi a taliari fora alcune cosi. Dopo nemmeno un minutu, è venuto un bambino, putìa averi un cinque anni, sei al massimo.

«La posso aiutari?» iu lo taliai con stupori. Ma chi vulìa chistu. Iu era nicu, ma iddu! Chi facìa a quell’età nel negoziu a domandari e clienti?

Avìa un cappidduzzu di tela bianca, una papera di plastica trasparenti, mi ricordo che mi fecero impressioni le scarpe che avìa. Erunu scarpe rosse, e sembravano usate e strausate. Sicuramente quel bambino avìa dei fratelli maggiori. E così era. Quelle scarpe, pinsai, erunu di qualchi frati più grandi, si sa nelle famiglie numerose che si fa così. In tiempo di niente, i bambini si fecero quattro, erunu comu i musirini dell’olio, a scalidda. Cinque, sei, sette e otto anni. Tutti avevano un cianfrusagliu ne mani. Chi un pupazzo, chi una sveglietta, chi una piccola sediolina di plastica, il più piccolo, mancu ce la facìa a tenerla, però resisteva e anzi, questo bambino fu il primo a parlarmi e a tentari di vendermi quella roba. Iu feci quattro passi indietro. Non vulìa nenti, e non potevo comprari nenti. Cinque minuti dopo vidi arrivare il signore di prima. I mocciosetti si misero dietro a lui, ascoltavano.

«Giovanotto, buongiorno, dove posso esseri utili, dica.»

Lo taliai e rimasi in silenziu. Cosa dovevo dire? Mi spaventai che avrei detto qualsiasi cosa, sicuru comu a morti avissi fatto la fine della signura con la vasca.

«Nenti» dissi con un po’ di timori.

«Nenti? Cu tuttu questo ben di Diu?»

«No, passava di ca, e mi fermai giusto un minuto per taliari, ma accussì, senza impegnu.»

Iddu inveci cominciò a prenderi tuttu chiddu che poteva interessarmi, cominciau a farmi vedere tanti cosi che me li scordai tantu di quanti sono stati. Vulìa solo andarmene.

«Questo, lo vedi» passando giustamente ad un tono confidenziale vista la mia età «Vedi questo è un gioco per ragazzi intelligenti, comu sei tu. Anzi quelli intelligenti più lo fanno più diventano intelligenti, non ci credi? Iu alla tua età ne ho fatti tanti di questi giochetti. E ti assicuro che è accussì.»

Mi scantai ancora di più.

«Anzi, mi scusi ma devo propriu andari. Avìa scurdatu che c’è ma matri che mi aspetta» dissi velocementi girandomi cu prescia e salutannu.

«Beni, ti aspetto con tua matri, veniti, veniti da me, iu ho tuttu e a pi nenti.»

Appena finutu di parlari cu mia, si girò versu a città, vi assicuro non c’era nessuno, e si mise a gridari o vientu: «Venite, vieni, tu, vieni, entra, ne uscirai contento, tu, a tia dico, entra puri tu. Chiamati le mamme e dicitici, andiamo da Pippinu, chiddu ca avi tuttu, anchi la pazienza di aspittari. Non pagati subbitu, no, pagherete. Mi avete capitu beni, pagherete con comudu.»

Mentri che mi allontanavo pinsai di dirlo a ma matri, non si sa mai.

Serie: Picciuotti adolescenti


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Discussioni

  1. Ne ho visti diversi di venditori come questo da te descritto, specialmente ai mercati rionali. Non erano proprio così riforniti, ma avevano la stessa, identica caparbietà. Ecco perché non ho mai sopportato i mercati! 😅

    1. Ciao Giuseppe, neanche a me piacciono tanto, almeno che non ci si abitui a questo tipo di insistenza. Questo venditore era particolarmente “commercialmente aggressivo “ ma alla fine una brava persona. Lo specchio di una società d’epoca che a volerci pensare bene, sotto altre ottiche e offerte, non è cambiata molto e se è cambiata, a mio avviso, è peggiorata. Quante cose ci rincorrono?