
Il vestito buono di Katie Evans
Katie Evans sedeva da sola con le spalle al muro, nel vestito buono acquistato da Primark non ricordava bene quando, al tavolo da sei di un pub particolarmente affollato per essere un mercoledì sera. Un sorriso appena accennato e lo sguardo inchiodato su niente in particolare davanti a sé.
La ragione di quell’insolita folla di avventori esplodeva in una moltitudine di colori in alta definizione proiettati sullo schermo dagli infiniti pollici che campeggiava sopra la sua testa come un cartellone pubblicitario, di quelli che si vedono ai bordi delle autostrade. Lì, per qualche ragione che Katie ignorava, Inghilterra e Brasile si davano battaglia a suon di calci tirati ad un pallone sul prato verdissimo di uno stadio gremito di gente, che durante momenti forse più importanti di altri urlava e strepitava così come le persone all’interno del locale.
Katie non aveva idea di chi stesse giocando, né per cosa giocassero, e nemmeno le interessava. Il suo unico pensiero era tenere la situazione il più possibile sotto controllo, non soccombere troppo in fretta alle proprie pulsioni, non arrendersi immediatamente alla voglia di abbandonare le labbra lì, sul bordo di quel calice di rosé da sette sterline che teneva fermo con entrambe le mani alla base dello stelo, come se tutto quel vociare e quegli strepiti e quelle urla e quelle imprecazioni e quei pugni sbattuti e quei palmi schiaffeggiati potessero strapparglielo via, così come avrebbe fatto una folata improvvisa in una di quelle poche, vere giornate estive che un tempo avevano rivelato tutta la loro caduca fragilità sulle spiagge quasi deserte della contea di Portsmouth.
Sabbia bianca infilata nelle cuciture dei sandali, lì condannata per l’eternità; teli di spugna umidi e appiccicosi, che un sole perennemente osteggiato da nuvole capricciose non sarebbe mai stato in grado di asciugare; bambini rimasti senza fiato al primo tuffo in quel mare gelido che nulla riusciva a riscaldare, poi le loro risa eccitate.
Era stato tanto tempo fa, tanto da non sapere più quando. Gli eventi si accavallavano uno sull’altro come le carte mescolate dal più infido dei giocatori, ed ecco quei luoghi sbiadire mentre si allontanava da loro senza ricordarne il motivo, vittima del secco colpo di frusta che l’aveva risucchiata di botto in quella Londra che mai si fermava e mai riposava e mai si spegneva e mai comprendeva e mai riavvolgeva il nastro a quella musica che nessuno ascoltava più ma andava avanti, sempre più veloce, così in fretta che quelle rughe sul volto e quelle borse sotto gli occhi se l’era viste farsi sempre più profonde e sempre più grandi alla velocità di un film proiettato da una macchina impazzita, fino a non sapere più dire con esattezza se le figure che vedeva muoversi fra le rotondità del bicchiere e imprigionate in quei riflessi di luce fossero davvero appartenute a lei o non fossero invece i ricordi di qualcun altro.
«Mi scusi signora, sta aspettando qualcuno?»
«Io… non… Sì, credo di sì.»
«Arriveranno fra molto le persone che aspetta?»
«Aspetto solo un amico, non so quando…»
«Avrebbe niente in contrario se nel frattempo facessi accomodare questa coppia qua al tavolo con lei? Stasera c’è la partita, abbiamo molti clienti.»
«Assolutamente no, li faccia sedere. È bello avere compagnia.»
«Grazie per la cortesia.»
«Oh, s’immagini, pensi che quando vivevo…»
«Ragazzi! Di qua prego, sedetevi qui, io intanto vi porto la lista.»
Mentre la donna e l’uomo avevano scostato le sedie per sistemarsi al tavolo, Katie si era data un gran da fare per liberare l’ingombro di tutto il nulla che si era portata appresso quella sera, perché una volta qualcuno le aveva detto che così bisognava fare quando si avevano ospiti. Forse era stata sua madre, sì, forse era stata lei, ma non ne era sicura, non riusciva a metterne a fuoco il volto, a ricordare di che colore avesse avuto i capelli. Era passato così tanto tempo.
La coppia aveva ringraziato Katie, poi i due si erano messi a parlare fra di loro in una lingua che lei non conosceva. Poteva essere italiano, forse spagnolo. Francese no, quello lo avrebbe riconosciuto. Non sapeva dire perché, forse lo aveva studiato a scuola, o forse c’era stata da giovane, in Francia. Non ne era sicura, doveva fare mente locale.
L’uomo e la donna avevano dato un’occhiata alla lista, poi lei aveva detto qualcosa e si era alzata, forse alla ricerca del bagno.
Katie si era concessa un breve sorso dal suo bicchiere, probabilmente l’unico che si sarebbe potuta permettere quella sera, quando l’uomo si era rivolto a lei presentandosi con fare cortese. Katie aveva risposto di buon grado.
«Ci spiace averla disturbata, avremmo aspettato volentieri che si liberasse un tavolo.»
«Nessun disturbo. Io… nessun disturbo, davvero» aveva minimizzato Katie con un gesto della mano.
L’uomo si era tuffato nuovamente sul menù, raggiunto poco dopo dalla compagna, che ancora una volta aveva sorriso a Katie sedendole a fianco.
Anche la donna si era presentata, per poi dedicarsi con impegno alla scelta della consumazione.
«Aspetta qualcuno?» aveva chiesto infine l’uomo a Katie, una volta che il cameriere aveva preso le ordinazioni per entrambi.
«Un amico. È Etiope. Un amico.»
«Capisco.»
Ancora urla e risate nel locale, la voce della coppia che si guarda attorno e commenta soffocata da quella dell’altra gente, altri minuti che se ne vanno per sempre.
«Arriverà presto.»
«Come ha detto?» aveva chiesto l’uomo sporgendosi verso Katie.
«Il mio amico Etiope. Arriverà presto.»
«Ne sono sicuro. Le ha detto a che ora?»
«Oh, no, lui… mi ha detto che sarebbe passato. Non so dove sia.»
«Magari nel traffico. È una grande città. Lo aspetta da molto?»
«Mah, sì, un po’. Arriverà.»
«Sarebbe ben sciocco se non lo facesse». A parlare era stata la donna, accompagnando le proprie parole con un sorriso mentre poggiava il mento nell’incavo della mano. «Viene spesso in questo pub?»
«No, non mi pare di esserci mai stata. Credo sia la prima volta. Sì, credo la prima.». Katie si era guardata intorno in cerca di conferma a quanto aveva appena detto.
«E il suo amico sa che vi dovete vedere qui?»
Katie non aveva afferrato il senso della domanda. Dove altro avrebbero dovuto incontrarsi, se non lì?
«Lei è di Londra, Katie?» aveva chiesto l’uomo.
«Sì sì sì, assolutamente. Adesso vivo qui.»
«Ed è nata qui?»
«Oh, no, certo che no.»
«Dov’è nata, se posso chiederglielo?»
«A nord. Si, credo a nord. Mio padre era di Edimburgo, di questo sono certa. Mia madre era scozzese anche lei.»
«Ah. Quindi lei è di…»
Katie si era portata una mano alla fronte, le labbra appena incurvate verso l’alto. Quante domande quella sera. Non era possibile rispondere a tutte.
Bicchieri pieni che si svuotavano, bicchieri vuoti che venivano riempiti. Ancora ed ancora.
«Abita distante da qui, Katie?» aveva domandato la donna.
«Non molto, i miei figli mi hanno trovato un posto tranquillo.»
«È una bella fortuna. Quanti figli ha?»
«Non molto distante. Qua vicino.». Katie aveva sorriso soddisfatta.
«Saprebbe ritornare a casa stasera?». L’uomo aveva afferrato per il bordo il suo boccale di birra consumata sino a metà, dimenandolo davanti agli occhi di lei. «Io, per esempio, già dopo questa mi sentirò un po’ confuso, credo che dovrà riportarmi in albergo mia moglie» aveva confessato l’uomo strizzando l’occhio.
«Oh Cielo, certo che sono in grado» aveva risposto Katie in una risata spontanea, una di quelle che quando la si sente esplodere ci si dimentica delle fatiche del mondo, «me l’ha scritto mia sorella su questa tessera qui, perché dice che sono una gran sbadata.»
«Mi piace leggere gli indirizzi delle città che non conosco, posso dargli un’occhiata?» aveva chiesto la donna avvicinandosi a Katie con calma confidenzialità. Katie non aveva opposto resistenza.
«Landbrook Drive 39. È un nome bellissimo per una via, non trovi?» aveva chiesto la donna al marito.
«Penso che se vivessi a Londra non vorrei abitare da nessun’altra parte» aveva risposto lui armeggiando sul suo telefono, «in effetti sembra essere qua vicino. Katie, saremmo troppo sfacciati se le proponessimo di accompagnarla a casa, quando avrà finito il suo vino? Potrebbe fare da guida a questa coppia di turisti sprovveduti.»
«Ma… io non posso lasciare… sto aspettando un amico. È di origine Etiope. Arriverà presto.»
«Giusto, ci deve scusare Katie, anche noi siamo un po’ sbadati. È che noi tra poco dobbiamo andare…»
«Oh che peccato. Così non conoscerete il mio amico.»
«Purtroppo sembra proprio di no. Ma facciamo così.»
L’uomo aveva alzato un braccio facendo cenno alla cameriera di avvicinarsi.
«Può portarci il conto per piacere? E aggiunga anche un altro bicchiere di quello che sta bevendo la signora. Così potrà offrirlo a chi vorrà questa sera. Mi concede questa libertà, Katie?»
Le guance di Katie erano avvampate a chiazze irregolari, come un prato disseminato di lamponi, e i suoi occhi si erano illuminati della luce di una scintilla, quella di due fili che fanno contatto.
«Oh mio Dio…» aveva detto Katie portandosi le mani a coppa sulla bocca. E una lacrima le era scesa lenta ed elegante dagli occhi. «Grazie. Siete…»
«No Katie, è lei ad essere speciale» aveva detto l’uomo congedandosi d’in piedi. «Qualcuno un giorno scriverà di lei, me lo sento».
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Andando avanti nella lettura, avevo il sospetto che i due fidanzati si sarebbero rivelati dei malintenzionati e avrebbero approfittato della fragilità di Katie per farsi portare a casa sua e derubarla 😅, ma sinceramente preferisco il finale che hai scritto tu. Leggendo la descrizione di Katie mi è venuta in mente la donna del quadro “L’assenzio” di Degas e, di fatto, tutto il racconto ha qualcosa di “impressionista”, con la storia della protagonista e il suo senso di alienazione che sono accennati da brevi “pennellate” sfumate e l’emergere del suo desiderio (almeno così mi sembra) di fermare il tempo e di catturare l’istante.
È bellissima questa cosa dello scrivere ed osservare una storia in tutte le sue diverse angolazioni, e ciò che ognuno ci vede attraverso, regalando il proprio punto di vista.
“Grazie Dea. Mi piace pensare che la tentazione di fare la cosa giusta quando ne viene data la possibilità sia più forte della tendenza a tenere le pupille fisse su quello che stavamo facendo prima.”
❤️
La scena di apertura mi ha ricordato i quadri di Hopper. Il caos in sottofondo e nel mezzo, come un cameo di solitudine silenzio e contemplazione, lei.
“Porta addosso stracci e piume presi in qualche dormitorio…” non so perché mi ha ricordato la canzone, ma più bella, e composta.
Mi hanno colpito la speranza, il calore umano, il valore dei piccoli gesti che fanno la differenza, che trapelano da questo racconto. Sarà che sono disillusa, ma mi sarei aspettata di tutto da questa gentile coppia che appare come scesa dal cielo, tranne che fossero davvero così. Davvero, mi hai commossa.
Grazie Dea. Mi piace pensare che la tentazione di fare la cosa giusta quando ne viene data la possibilità sia più forte della tendenza a tenere le pupille fisse su quello che stavamo facendo prima.
Bello, Roberto. Un bel sogno su come potrebbe essere il mondo.
il “qualcuno un giorno scriverà di lei” ha il senso di una profezia autoavverantesi.
Grazie Francesca, felice di averti portato in quel mondo lì.
*portata
Mi piace come hai saputo rendere viva l’ atmosfera del pub e la scena al tavolino con i due turisti. Katie e` una figura strana che non saprei definire esattamente, mi da` l’idea di una vita solitaria, riservata e poco abituata a stare in compagnia. Mi ha incuriosito e, pur sapendo che il racconto e` finito, mi sarebbe piaciuto saperne di piu`.
Grazie Maria Luisa, chi può dire che un giorno questo personaggio imprevedibilie non spunti nuovamente da qualche parte…
Mi è parso di incontrarla Katie, ogni tanto. I suoi capelli sono chiari come gli occhi. I lineamenti del viso molto sottili e con tante piccole rughe. I piedi sono infilati in un paio di sandali e le calze non le porta, perché loro sono così, non hanno quasi mai freddo, a differenza nostra quando ci troviamo là. Dicono di noi che siamo socievoli e gentili e spesso hanno ragione. La lunga introduzione al tuo bellissimo racconto, ci accompagna, un po’ alla Baricco in Castelli di Rabbia, al climax che nel tuo caso è una semplice frase che fa riprendere fiato “Mi scusi signora, sta aspettando qualcuno?”. Credo che non abbia importanza perché il vero incontro è quello a tre e non so a chi abbia fatto più bene, ma, da come scrivi, lo si comprende. Ai lunghissimi e avvolgenti periodi della prima parte del testo, si contrappongono i dialoghi sospesi e concitati della seconda. L’aiuto ricevuto non sarà un passaggio a casa, ma piuttosto una ‘buona conversazione’ come direbbero loro nel migliore stile. Tanto a casa, in un modo o nell’altro ci sanno sempre tornare. Complimenti Roberto
Accidenti Cristiana, ogni volta che leggo i tuoi commenti hai la capacità di farmi notare sfumature sulle quali non avevo riflettuto. Grazie, c’è sempre da imparare.
Accidenti a te x aver scritto un testo così speciale. Avrei voluto avere la capacità di farlo io? Credo proprio di sì ☺️
Ciao Roberto, ti fai rivedere alla grande. In questo racconto c’è un alone di mistero, di detto e non detto; sia su Katie che sui due ospiti al tavolo. buttandomi per scommessa direi Alzheimer, ma qui lo dico e qui lo nego 🙂 In ogni caso ci sono più periodi degni di nota: le amnesie e i dubbi; quei due passaggi magnificamente ridondanti, l’età che viene fuori da particolari quasi poetici, la gentilezza “strana” dei due stranieri. Bel lavoro, complimenti.
Grazie Francesco per avere notato tutti questi aspetti!
E quel “qualcuno che scriverà di lei” sei stato tu. 😊👍
Molto, molto bello. Sembra quasi di essere lì ad osservare la scena.
Una lettura piacevole e appagante.
Grazie Giuseppe, difficile desiderare di più.
E vabbè… Capisco il ritorno in grande stile, ma così…
Bravo, bellissimo quadro. La descrizione della donna e della sua ansia è formidabile.
E bentornato, finalmente!
Grazie Giancarlo, uno splendido benvenuto.
Dirtelo che mi hai commosso? No, non te lo meriti!!! Vedo che la tua fuga in Gran Bretagna produce ispirazione. Bentornato Roberto. Comunque alla fine non posso nasconderlo: mi è piaciuto il tempo trascorso in quel pub in compagnia di quella fragile, adorabile Katie. Grazie!!!
Grazie Giuseppe, è un piacere essere nuovamente qua.
and…. heeeee’s…. baaaaack!! 🙂
zabadadan 🎪