Impegno senza cura.
La sensazione non fu molto diversa da quella in cui ci si ritrova a sperare che un biscotto troppo inzuppato non si rompa prima di completare il suo percorso dalla tazza alla bocca. Speranza mischiata a una profonda insicurezza.
Così si sentiva Ruben dopo essersi deciso a compiere il salto, stanco di attendere e sordo alle grida d’avvertimento del suo piccolo, piccolissimo amico; il sano realismo.
E allora quel giorno scese dal letto poggiando a terra entrambi i piedi nello stesso momento, sicuro di non aver voglia di lasciare indietro niente e nessuno fin dall’inizio.
Riuscì a dormire solo poche ore, schiacciato in petto da un enorme basset hound fatto di ansia e voglia di spegnersi. Gli occhi del ragazzo, onesti come al solito, non sembravano volerne mascherare il risultato.
Camminò verso il bagno accarezzando tutto il lato destro della sua stanza, quasi fosse sul ponte tibetano più lungo e meno sicuro del mondo.
Abbandonò la cappa di sudore e ormoni e peti non appena entrò in bagno. Quello era un ambiente fresco, pulito e ordinato. Se ne occupava la nonna, santa nonna.
Una piccola nuvola di pile poggiata ai piedi del lavandino lo ospitò donando il tepore che il pavimento gelato aveva rubato poco prima.
Lo specchio, adesso, lo investiva di tutta la sincerità possibile.
“Sto a pezzi, sono distrutto, sono stanco e mi è spuntato un brufolo enorme in mezzo alla fronte.”
Fece per toccare il cratere rosso, poi si ricordò dell’ultima volta, quando fu costretto a girare con un cerotto sul naso per almeno due giorni.
“Perché cazzo mi spuntano sempre in questi posti?”
Si sciacquò la faccia (senza sapone), nascose l’odore di sudore sotto le ascelle con abbondante deodorante e spese novanta secondi esatti per espletare i suoi fisiologici bisogni. Di solito, telefono in mano, non si alzava dalla tazza prima di aver buttato almeno trenta minuti.
Quella mattina però era troppo importante per perdersi nella meravigliosa vita di qualcun altro, era troppo determinante per fermarsi a ridere di un gattino che cadeva da un divano dopo essersi annusato il culo.
Quella mattina era (giudizio suo) la più importante di tutte le mattine mai vissute nell’arco dei suoi timidi 18 anni.
Mudande ormai rotte ma con elastico ancora integro, jeans con evidente macchia di qualcosachenessunovorrebbesapere, t-shirt dei Joy Division incredibilmente pulita e stirata (grazie nonna) e Dr. Martens a chiudere il tour.
In testa un cespuglio di selvaggi ciuffi neri, ignorati per l’ennesima volta.
In casa quella mattina non c’era nessuno e questo lo rese felice. Nessun saluto, nessun in bocca al lupo, nessun ammonimento rivolto all’evidente tentativo andato a vuoto di nascondere un altrettanto evidente scarso interesse alla propria igiene personale.
Si infilò due biscotti in bocca, bagnò il tutto con un sorso di latte e shakerando consumò la sua sana colazione mentre apriva la porta di casa.
Due mandate dentro, due mandate fuori e il nido fu abbandonato.
Percorse le quattro rampe di scale di corsa, aggiungendo altre gocce di sudore a un corpo già condito dalla salinità del giorno prima.
Arrivato in portineria incrociò lo sguardo di Luca, il figlio del portiere. Stessa età, stessa fisionomia ma tanta, tanta più cura. Nonostante ciò, i due erano più che affini.
– Dove cazzo corri? Tra un’ora si gioca, vedi di non arrivare tardi come al solito! –
Non fece nemmeno in tempo e delineare i contorni del viso dell’amico, non si fermò nemmeno per un secondo, continuando a correre.
– Ci provo con Damiano! –
Abbandonò il palazzo urlando il nome che l’aveva tenuto sveglio la notte passata e molte altre prima di essa.
Cantilenò sul finale, liberando un’eccitazione fanciullesca sincera e pura.
– Ruben! Ti devi lavare, per dio! Ti devi lavare! –
Luca rideva fortissimo, rideva e il viso disgustato dalla scia di cattivo odore rimasta sul pianerottolo non riusciva a renderlo meno raggiante.
Ruben era ormai a quindici, al massimo venti metri. Aveva superato la serranda chiusa per ferie della lavanderia sotto casa.
– Fanculo! –
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Un antieroe urbano si trascina nelle strade della città con il passo scaglionato e deciso, il suo corpo incurvato si sposta in molte zone dello scazzo moderno, personale e metropolitano. Un personaggio che sembra narrato con un’invidiabile onestà intellettuale, che a me ricordato con affetto lo Zanardi di Andrea Pazienza (ma quello, era decisamente più pazzo, aveva dato fuoco ai suoi demoni)
E’ davvero un commento che mi ha fatto tanto tanto piacere ricevere, grazie mille!