Invidiosa

Serie: Alaros


VIII.

Tutti i corvi del regno volavano in cerchio sui vetri rotti, puntavano agli occhi dei non morti per cavarli e osservare la rovina dall’alto col ghigno degli uomini tristi sul becco, gracchiavano canzoni di funerale verso un bosco fitto da qualche parte verso sudest. Per qualche ragione temevano il grosso gatto grigio in mezzo alle cataste di armature vuote, che più di una volta da dietro la pupilla verticale l’aveva guardato storto, e gli tagliava la strada soffiando per farlo cadere giù per pendii scoscesi e in mezzo a trappole nascoste.

In una fossa dov’era scivolato, l’uomo ch’era bambino vide per la prima volta la fanciulla scheletro piangere: fra le spine che gli bucavano il cuore cercava di cantare una canzone a vuoto, i cui versi storti non finivano mai in rima e s’incastravano per sbaglio in mezzo a nomi e cognomi.

Da un’orbita vacante lo vide all’angolo della fossa e le si arrampicò il pensare da un filo di voce:

“Non mi guardare” i suoi capelli come quelli delle vecchie bambole, appiccicati in ciuffi sopra il cranio, dello stesso nero delle ali dei corvi.

“Nessun uomo mi ha sfiorata mai. Dicevano in coro che crescendo le mie grazie avrebbero rapito il cuore di un buon uomo, che per ogni donna ce n’é uno. Lo aspettavo alla finestra giorno e notte, lisciandomi i capelli, ma lui non arrivò mai e persi la speranza.

Un mostro mi s’infilò tra i pensieri, e trovai questo fra le dita di un campanaro morto che vibrava acutissimi rintocchi per la sua bella” fra le costole, col mignolo, gli mostrò un anello.

“Lo buttai nel fuoco per dispetto. È per quello che mi chiamano Invidiosa: perché ho nascosto la bellezza da ogni donna…”

Quante poesie servono per cancellare il pianto dal viso di una fanciulla? Quante parole d’amore, quanti duelli?

Lui, ch’era stato abbandonato ai tavoli di un ristorante vuoto dalla donna che amava dopo aver preso degli schiaffi, mandò giù un rancido boccone di amarezze e cuori infranti, e le diede una carezza. E da un pozzo dentro l’anima gli risalì il sussulto del tempo che passa e d’ago e filo ricuce le ferite dell’amore.

“Io ti perdono” le disse.

Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo lei sorrise, e bagnandosi le ossa con una lacrima spirò per sempre.

Serie: Alaros


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Fiabe e Favole, Fantasy

Discussioni