La dottoressa Dorothy, psichiatra
Mi avvicino al comodino e prendo un paio di Xanax con un po’ d’acqua, guardo l’ascia con le rifiniture rosse posata sul divano quasi piangendo. Decido che è ora di prendere un appuntamento con la dottoressa Clarissa Dorothy.
Il mattino seguente c’è aria di rugiada con uno splendido sole sin dal primo mattino. Non ho avuto altri incubi particolari, ma il risveglio è fatto con i miei occhi sospetti che si aprono e si guardano intorno lentamente come quelli di un cowboy che si è finto morto e poi controlla che non ci sia nessun pericolo per potersi alzare.
Sono in costante allerta, come se da un momento all’altro debba cadermi un meteorite sulla testa o debba spuntare la testa di una vipera da qualche parte. Sono teso. Costante. Impaurito.
Mi alzo e mentre mi vesto ho ancora del sudore addosso. Ho un aspetto orribile. A volte ho paura di perdere la testa o anche tutto il resto del corpo, o ancora entrambe le due cose, così mi guardo attentamente allo specchio e cerco di vedere cosa ci possa essere al di là dell’apparenza ma è sempre un’impresa, e non perché non riesca a vedere davvero nulla, ma perché quello che vedo allo specchio non riesce a piacermi. A volte mi accadono cose che mi fanno avere letteralmente orrore di me stesso. Mi distendo sul letto con l’accappatoio grigio e chiamo la dottoressa Clarissa Dorothy. Esperta strizzacervelli personale.
“Si tratta di una forma maniaco-depressivo. Siamo sullo spettro borderline. È soltanto una forma di nevrosi isterica. Si rilassi. Un episodio schizofrenico-paranoide? Magari prenda queste pillole gialline dal gusto caramello. Le passerà tutto. Stress da troppo lavoro. Stress da troppo poco lavoro, esaurimento da noia. Mania di protagonismo, comportamento istrionico, mitomania? Forse solo narcisismo patologico. Disturbo da deficit dell’attenzione. Ritalin. L’ascia è la proiezione del suo pene secondo le teorie di Freud. Abuso di droghe e alcool.”
È la mia vocina interiore a parlare, non è la vera dottoressa. È quello che penso di me stesso. È la paura che qualche diagnosi di queste possa rivelarsi vera che mi manda nel panico. È la paura di avere paura o di impazzire.
Ho sempre pensato che ogni strana piccola e grande devianza sia sempre considerata una malattia mentale, tranne che l’omicidio. L’assassinio di per sé non rientra in nessuna tabella clinica, esiste ed è considerato criminale, ma generalmente non viene direttamente associato a una malattia mentale. Spesso sentiamo dire solo che la causa non lo è. Perché? Siamo davvero così condizionati? Non voglio assassinare proprio nessuno e tanto meno la mia cara amata ex. Ma ho paura di farlo davvero. Una parte oscura dentro di me ogni tanto vuole emergere con forza e io la reprimo, la reinserisco dentro, la nascondo come una bimba impertinente che vuole parlare troppo.
All’interno del mio stomaco ho qualcosa che si contorce e all’improvviso provo il desiderio di ridurre a pezzettini chiunque pur di farmi spazio mentre cammino sul marciapiede per raggiungere l’auto.
“Conflitti irrisolti, si rilassi, vuole un altro Valium? O preferisce… Una sedia elettrica?” La voce della dottoressa nella mia testa mi tortura e mi stordisce.
Alla fine la chiamo ma non risponde. Nessuno appuntamento per domani. Mi fermo in un piccolo angolo nella periferia della piccola città. Decido di sgranchirmi le gambe e scendo inoltrandomi tra i vicoli bui e le insegne luminose.
In un angolo incontro un barbone rannicchiato per terra, mi inginocchio vicino a lui e senza nessun freno inibitorio gli sgozzo la gola con un taglio netto, con il coltello a serramanico che mi porto sempre dietro. Vedo il sangue schizzare come un’opera d’arte sul muro e non provo nessuna emozione al momento. Vedo quel sangue che cola come fosse un rivolo d’acqua. Poi mi riprendo come da uno strano malore e vedo che tutto questo l’ho fatto in un micro-sogno mentre mi ero appisolato solo per qualche attimo sul sedile dell’auto.
Non avevo neanche aperto la portiera. È in quel momento che decido di scendere e proprio davanti a me c’è lo stesso muro del sogno: no, forse non è stata solo l’immaginazione. Sul muro di fronte a me è apparsa una scritta rossa: PATTO DI SANGUE NERO. Nient’altro, ma nessun barbone nei paraggi, né tanto meno un barbone morto. Decido di lasciare lì il mio coltello, non voglio proprio fare male a nessuno ma questi sogni, anche improvvisi, iniziano a darmi i brividi. Ho sempre più terrore di me stesso.
Il giorno dopo mi aspetta una riunione di lavoro, la dottoressa Clarissa può ancora aspettare. Sono io quello che vorrebbe morire, ma sono anche un tipo pieno di risorse, dico tra me e me.
“Creativo, giovane, senza scrupoli, super motivato, super qualificato. In sostanza vi sto dicendo che questa società non può permettersi di perdermi. Sono una risorsa, IO.”
È quello che dico ai colleghi di lavoro quando arrivo in riunione e non credo a una singola parola.
Quando la sera torno a casa noto che ho una macchia rossa sul bavero della giacca, che strano. Dovrò portarla in lavanderia. Sembra sangue, sangue di barbone nero.
Quella sera decido definitivamente di chiamare la dottoressa e finalmente risponde dandomi un appuntamento a casa sua il giorno seguente.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Un racconto veramente ben scritto che descrive la caduta nel baratro, da pelle d’oca. Si cade e se ne esce, forse, ma quale è la differenza? Spesso quel filo sottile si perde e si consuma e il gioco si svolge tutto nella mente, oppure no. Sei stato molto bravo a lasciare il sapore amaro del dubbio nella bocca del lettore.
Grazie!
Come diventare un serial killer. Mi è piaciuto molto il tuo racconto, scorrevole e gustoso. Penso che l’omicidio, insieme alla violenza, sia la forma di pazzia più grave e ahimè più diffusa. Certe volte si ha paura di persone che sembrano strane non riuscendo noi a dare una motivazione al loro comportamento, ma che non farebbero nale a una mosca e si tollera la violenza, la guerra, la discriminazione. Bravo
Grazie. Adesso vedremo se la sua è solo immaginazione oppure… Oppure è davvero un assassino?