
La grotta
Stiamo seduti sul bordo di niente.
Accumuliamo la desolazione, la furia.
C’inventiamo un’attesa qualunque, per non divenire folli.
Il fiume Somme, l’ultima frontiera. L’ultima legione all’ultima crociata.
Francesi, inglesi, tutti ripetiamo nella nostra lingua che niente dura in eterno. Ma non abbiamo idea di come finirà quest’attesa, non sappiamo dove sfocerà questo momento. In quale nuovo orrore.
Non sappiamo assolutamente niente.
Per questo motivo, nell’oscurità del nostro rifugio sotterraneo, abbiamo cominciato ad accendere mozziconi di candela.
L’odore è orribile, ma abbiamo un naso che cattura questo schifo; quindi dobbiamo essere ancora in vita.
Giusto?
Prima, sono venute le minuscole luci delle candele, un segnale che ricordasse agli Dei dove ci possono trovare, se mai ci cercheranno.
Poi, è venuto il bisogno.
Abbiamo cominciato a disegnare sulle pareti della grotta.
Ho cominciato io, per la precisione. Ma non non impuntatevi a voler conoscere il mio nome, o la mia storia.
Io sono solo una mano, che asseconda il suo bisogno di non sparire nel buio.
Se dovessi dirvi come, dove e quando sono diventato capace di disegnare come disegno, vi risponderei che è stato qui.
Nell’oscurità che ci difende dal nemico, qualunque cosa esso sia, qualunque cosa ne sia rimasta – là fuori, sotto il libero cielo.
Ho disegnato alla luce del mio mozzicone di candela. Si chiamava Axel, il mozzicone.
Quando uno non ha niente, a parte il cuore e il respiro, ogni cosa che viene in suo possesso diventa viva, gli parla, e ha diritto ad avere il suo proprio nome.
Avevo un cane, a casa, che si chiamava Axel; e il mio mozzicone di candela ha avuto un battesimo solenne quanto quello di un bambino.
Axel sapeva di essere condannato. Ogni volta che lo accendevo, sfrigolava e puzzava come una creatura cosciente, ad ogni istante più vicina alla morte.
Ma era coraggioso, e non si lamentava. Voleva una cosa sola, io credo: non essere morto invano.
Il giorno che ha dato un ultimo guizzo e si è spento, lasciandomi nell’oscurità più completa, ho capito davvero cosa significa morire.
Ho pianto, ma nessuno dei miei compagni mi ha preso in giro.
Tutti mi comprendevano. Ognuno stringeva forte il suo mozzicone di candela, temendo il distacco inevitabile.
Ho pianto a lungo.
Poi, ho mangiato ciò che restava di lui.
Volevo avere dentro di me un po’ della sua luce.
Ogni giorno, mi svegliavo con un unico pensiero: ‘Oggi disegnerò questo e quest’altro.’
Il pensiero mi correva incontro nelle ultime fasi del sonno, era lì prima di me, al risveglio. Mi aspettava, ansioso di cominciare.
All’inizio gli altri pensavano che fossi diventato matto. Erano convinti che io sprecassi il mio mozzicone.
“Guarda che non te ne diamo un altro” dicevano.
Avevano quel tono offeso che appartiene ad un’altra vita, dove lo spreco è un delitto, dove si crede con forza che verrà un domani, in cui farà comodo ciò che oggi è andato perduto.
Ma poi i giorni dentro la grotta si sono fatti troppi. Con il loro numero, è arrivata l’assenza del futuro.
Così, lentamente, si è fatta strada anche dentro di loro.
La voglia di raccontare.
Quando Axel si è spento per sempre, un mio compagno ha acceso il suo mozzicone per me.
“Qui ti mancano ancora un albero e le stelle” ha detto, tenendolo in alto, per mostrarmi un angolo del disegno rimasto vuoto.
“Eh, ci manca anche un’altra cosa, no?” ha gridato un altro, e si è messo a ridere.
Gli altri hanno riso anche loro, e anche a me è venuto da ridere. Sapevo di cosa parlava, lo sapevamo tutti.
Mi sono messo a disegnare con passione, l’albero e le stelle.
Poi, una donna.
“Senti, ma non ci hai messo neanche un fiore, nel tuo disegno?”
Ho riflettuto. “Non mi piacciono i fiori, non mi sanno di niente” ho risposto.
Allora, lui si è messo a raccontare una storiella buffa su una fioraia, che aveva conosciuto in Normandia. Gli ridevano gli occhi, ma alla fine della storia gli stessi occhi brillavano; e ha detto:
“Sai cosa? Io mi sa che torno e me la sposo, a guerra finita!”
A guerra finita.
Bello.
Gli ho messo in mano il mio pezzo di carboncino. “Toh, disegnali tu, i fiori.”
Mi ha guardato un attimo, confuso. Poi, si è come svegliato. Ha sorriso, un po’ imbarazzato.
“Eh, perchè no!”
Si è messo a disegnare un grande tappeto di fiori, un mondo intero di corolle, di steli… C’erano persino delle api, che ci volavano sopra.
A guerra finita.
È cominciata così.
Ogni giorno, qualcuno si svegliava con l’idea di disegnare qualcosa, proprio com’era successo a me.
Il disegno diventava sempre più grande, più vario.
Ci eravamo quasi dimenticati della guerra fuori dalla nostra grotta, ci eravamo dimenticati di tutto. A parte il disegno.
Poi, un mattino, uno di noi, un ragazzo giovane, sempre silenzioso e un po’ triste, si è alzato, ha preso il martello e gli altri attrezzi che usavamo per scavare le trincee, e di colpo si è messo a ridere.
Pensavamo che gli avessero ceduto i nervi, invece lui ci ha sventolato gli attrezzi in faccia, come se avesse avuto un’intuizione geniale.
Mezz’ora dopo, si è messo a lavorare una roccia. Era faticoso, sbuffava come un cavallo da tiro.
Quando abbiamo capito cosa stava facendo, la sua idea ci ha tolto il fiato.
Usare gli strumenti che ci avevano messo in mano per scavare buche dove rintanarci a morire per fare delle sculture, con le pietre della nostra grotta.
Altro che disegni! Le sculture rimangono in eterno, giusto?
Ci siamo messi al lavoro, a turni serrati.
Eravamo già abituati a lavorare senza soste – le trincee si scavano così, a turni, per fare più in fretta, prima che arrivi il nemico.
Adesso, avevamo fretta per davvero.
Fretta di completare la nostra opera, prima che il nemico ci venisse a prendere.
I giorni sono passati, non troppo svelti, però.
Sembrava che il tempo capisse l’importanza di ciò che stavamo facendo.
Chi non aveva idea di come scolpire, reggeva i mozziconi di candela per gli altri, e dava suggerimenti.
Non avevamo il tempo nè il fiato per piangerci addosso, per lamentarci della nostra condizione. A noi, era toccata la grotta, non la libertà . L’oscurità , non la luce.
Avremmo preso quell’insulto della storia come un’occasione di gridare, attraverso la roccia, che noi eravamo vivi, nonostante tutto.
Vivi.
Una mattina, il ragazzo giovane non si è svegliato più.
Abbiamo scavato una buca, in un punto sabbioso della grotta, vicino alla sua scultura.
Era una donna, era quasi finita, ed è rimasta così, incompleta.
Non ce la siamo sentiti di finirla al posto suo. Ci sarebbe sembrato di profanare la sua memoria. Uno scempio, tanto lontano da un gesto caritatevole, quanto un temporale lo è da un raggio di sole.
Molti altri non sono riusciti a portare a compimento le loro sculture.
Sono arrivati fin dove le forze li hanno sostenuti, e lì si sono abbandonati.
Sono morti, io credo, in grazia di Dio, anche se non c’erano preti, in quella buca, a somministrare gli ultimi sacramenti.
Sono morti con la coscienza, più o meno chiara, di avere fatto qualcosa di buono. Meno infuriati, meno offesi con la vita di quanto avrebbero potuto.
Io, insieme a qualcun altro, non solo ho finito la mia scultura, ma ho portato le ossa fuori da lì.
Sono tornato a casa.
Era tutto a posto, tutto finito.
Così ci hanno detto.
Ricominciava la corsa alla vita. Non ho più rivisto i miei compagni, dopo essere stato congedato.
Ora, di nuovo, soffia un vento gelido. Lo riconosco. Vorrebbe strappare le foglie agli alberi, gli alberi alle radici.
Non ho paura, non ne ho più avuta da allora. Ma non mi fido delle parole dei politici, né delle urla in stra
Non so cosa gli altri abbiano imparato, non so cosa guidi i loro cuori. Da che parte staranno, in cosa crederanno, prima della fine.
So solo ciò che ho avuto io.
La coscienza che tutto ciò che realmente mi serve è un’immagine dentro di me, che sopravviva all’oscurità .
Ho avuto la grotta.
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L’aspetto che mi ha colpito di questo racconto è il modo in cui la luce soffusa della candela si materializza filtrando dalle parole di cui è composto e pervade l’ambiente che circonda il lettore.
merito del buon Axel, allora. non mio 🙂
“I giorni sono passati, non troppo svelti, però.Sembrava che il tempo capisse l’importanza di ciò che stavamo facendo.”
Splendido
Bello, profondo, a tratti un po’ surreale, tra incubo, e realta`. Mi ha turbato; forse perche` il pensiero e la paura di una guerra ancora piu` estesa e piu` vicina, ci accompagna ormai, ogni giorno.
grazie luisa. non amo molto scrivere di attualità , perchè credo che le cose abbiano bisogno di essere accolte, e per questo occorra la calma data dalla distanza temporale… ma trovo che non manchi il modo per far sentire il proprio disagio e il proprio scontento di appartenere alla specie sbagliata anche attraverso l’uso di esperienze passate… già masticate, per capirci.
Efficacissimo, intimo e violentemente pervasivo. Mi ha scavato dentro e mi ha costretto dentro quella stessa buca nel mio torace, con un moccolo di candela in mano, a scrivere di quello che vedevo.
Brava, bellissima rievocazione di una storia che è, in qualche modo, anche nostra, perché di battaglie come quella di Somme ce ne sono state tante, e di caverne dove restare bloccati fino alla fine ancora di più.
‘e di caverne dove restare bloccati fino alla fine anche di più’… sì, proprio. grazie.
Leggendo questo racconto mi sono ritrovato nella grotta assieme al protagonista. Ho percepito e condiviso il suo bisogno non tanto di sopravvivere (aleggia un senso di accettazione, più che rassegnazione), quanto quello di tramandare qualcosa, di lasciare un segno. Il fatto che non sia chiaro a quale guerra si faccia riferimento rende il tutto ancora più onirico, adattabile a molteplici scenari interpretativi per il lettore.
la storia è basata su un episodio vero: durante la battaglia sul fiume Somme, prima guerra mondiale, un gruppo di soldati francesi e inglesi rimase effettivamente bloccata in una terra di nessuno fatta di cunicoli e grotte e caverne, ad aspettare ordini che non arrivavano mai…. e fecero esattamente ciò che racconto. credo che il luogo sia visitabile, ma non vorrei darti una dritta errata. a volte mi commuovono così tanto certe storie che immagino conseguenze pratiche inesistenti (io un museo gliel’avrei fatto…) XD
grazie sergio, la tua osservazione mi ha dato modo di specificare.