La matri di San Pietru 

Serie: Sicilia


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Le storie do zu Pippinu

La mattina del tre di dicembre, quannu uscii di casa e andai al mio solito “stradone”, così chiamavamo la strada che tagliava tutte le “vanedde”, viuzze più piccole, dove incontravo il mio anziano saggio e cuntastorie.

Quel giorno la sedia era vuota. Mi sistemai meglio il mio cappellino di panno nero con uno stemma rosso a lato, sembravo u parenti bruttu di Che Guevara, quannu me lo dissero la prima volta un po’ ci rimasi, poi invece, non so il picchì o forse sì, mi fece piaceri.

Mi aggiustai il mio montgomery verde e abbracciai l’aria pulita di quella matina e mi avviai verso il solito bar di ritrovo poco distanti.

Mentri camminavu vidi la sagoma de lo zu Pippinu. Mi parve proprio iddu.

Ma comu putìa essiri? Comu facìa a muoversi? Sinceramenti non lo avìa vistu mai camminari se non quannu si alzava dalla sedia e entrava in casa e viceversa.

Mi avvicinai a iddu. Minchia, era proprio iddu, in carni e ossa, insomma carni propria no, un accumulo di ossa che si muovevano nel mondo dei vivi. Anzi mi parve pure di sentiri lo scruscio comu se le sue articolazioni stridevunu maledettamenti bisticciando ossa cu ossa.

Avìa un bastone dove scaricava tutta la sua speranza, camminava lientu e respirava affannosamenti. Nessunu era cu iddu.

«Zu Pippinu… Zu Pippinu mi senti?»

Lo vidi bloccarsi. Si fermò. Si girò. Mi guardò. Si rigirò e proseguì la sua camminata, senza degnarmi di una parola.

Lo lasciai perdiri, cioè non dissi più nulla. Lo seguii con gli occhi ammirati per il suo sforzo che facìa. Taliavo quel vecchietto e mi rattristavu a certi discussioni che mi toccava sentiri tra di noi autri, che trovavamo problemi ovunqui. Tutto era impedimentu, ingiustizia, lo statu era assenti, bastardu e senza politica. Nun c’era travagghiu che andasse beni per noi autri, e chiddu era luntanu, e l’autru pagavano mali, e in chiddu c’era u capu ca era un pezzu di merda, e lì ti fanno fari dodici ore al giorno. Ora tutto giusto, o quasi, ma noi autri non facevamo lo sforzo di andare a toccari con manu chi significava pi davveru, no, noi autri quella camminata non la faremo a quell’età, nun è cosa nostra!

Aspettai con pazienza il suo ritorno. Una lumaca sarebbe tornata già da parecchio. Non mi scoraggiai. Se non lo fece iddu picchì lo dovevo farai iu.

Dopo un bel pò, lo zu Pippinu, appena pssò davanti a mia, mi feci segnali, con la manu libera, di andari verso di iddu.

«Vieni ca, dammi il braccio, fammi appoggiari. Andiamo a sederci nel nostro teatro dove oggi ti cunterò una storia brevi. Vedrai ca ti piacerà.

Mi misi o cantu allo zu Pippinu, lo sostenni nel suo esercizio. Lo sentivo tremare, sintìa la disperata forza che metteva nel pronunciari lo sforzo. Era commoventi, mi dovete crediri, nun piansi per rispetto.

Mi ricordo ca mentri noi tornavamu al posto giusto, un ragazzino, una testa di minchia, si mise a ridere. Lo vidi avvicinarsi a noi mentre nel frattempo chiamò un suo amico.

«Ma che volete una spinta per casu Ah?»

Iu lo taliai di sbiego. Stavo per affrontari quel moccioso e l’autru testa di brigghia quannu mi sentì tirare il braccio. Lu zu Pippinu, non so comu, avìa truvatu la forza necessaria per trattenermi. Mi sentì il braccio stretto in una morsa fortissima.

«Amuninni, lascia stari, nun si fa così» mi disse piano piano. Poi aggiunse rivolgendosi al testa di fagiolinu.

«Arrivammu, gghoia miu, arrivammu, grazie lo stesso, sei stato gentili.»

I due passiluna (uva passa) rimasero stecchiti, fermi senza sapiri rispondere nulla a quella gentilezza che lo zu Pippinu avìa donato a iddi. Girarunu sulle loro zampe e sparirunu.

«Picciuttieddu miu vidi ca tante volte lasciari stari è importanti. Mostrari una parti inaspettata all’autru diventa un’arma micidiali. Ci metti comu dicìa u Signuri, accussì mi cuntava mia matri, ci metti i carboni addumati in testa, mi pari ca è così. Comunqui sia, si fa comu ti ho fatto vidiri.»

Iu stetti in silenzio. Lo seguì per qualche altro passo ancora fino a quannu non lo vidi sedere sulla sua sedia.

«A proposito di Gesù, oggi ti voglio cuntari una storia della matri di uno dei suoi Apostoli, Pietru.

Assittati e ascutami.»

Serie: Sicilia


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Questi tuoi racconti scritti in dialetto mi piacciono molto! Nonostante io sia di Roma, li capisco perfettamente e li leggo con estremo piacere, anzi, se devo dirtela tutta, l’uso del dialetto li rende molto vivi, reali, come se, per un attimo, mi trovassi pure io in Sicilia! 👍

    1. Grazie Alberto, non sono scritti prettamente in dialetto, diciamo attingono molto dal siciliano, ma la struttura la lascio in lingua nazionale. Grazie per questo tuo messaggio, hai centrato il mio intento, trasmettere il racconto come se stesse succedendo a pochi merito dal lettore, dando questa sensazione, proprio usando molti termini dialettali. Grazie ancora