
La partenza
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
STAGIONE 1
Ritornai sul luogo della frana, con l’aria di uno studente di fronte al torto di un’espulsione. Ogni tanto traversavo il margine, in piena curva, affacciandomi al dirupo, col fiato che mi si ghiacciava. C’erano istanti in cui non avvertivo differenze tra le dimensioni. Non passava nessuno. Mi permisi il lusso di gridare a perdifiato il suo nome, in tutte le direzioni. Feci lo stesso tragitto per tre volte, senza risultati. La perdita delle sue tracce rappresentava un dato incontrovertibile, ormai, una sorta di postulato sul quale avrei dovuto organizzare, o dedurre, il reso catastrofico della mia giornata e della mia resistenza, al di là di Elvira. Una sorta di lineamento vicario, con cui avrei condiviso la tortura della mia identità. Un nuovo segno particolare, il buio di una mano chiusa, un soffio al cuore.
A tavola mi servì la moglie del proprietario. Suo marito era prossimo a tornare. Alle quattro, secondo le previsioni, avrebbe nevicato. Ne eravamo in pochi, otto unità familiari. Il mio tavolo era l’unico apparecchiato per due. Cercavo di immaginarmi confinato nella loro pensione per mesi, fino alla schiarita di un suo possibile ritorno. Gustandomi la bontà delle pietanze guardavo fuori, verso il biancore della strada, gli alberi del bosco, un’auto che si allontanava nel vento. Poi più nulla. Rimanere recluso lì, in compagnia di un cacciatore e di sua moglie, mi avrebbe allontanato dalla dimensione astratta che stavo condensando, come dalla lunga parata dei suoi orrori. Sarei rimasto relegato in una zona sicura, non troppo lontana dalla frana. Torella, invece, almeno per i giorni della tempesta di neve, annunciata nel pomeriggio, avrebbe rappresentato un approdo intermedio. Adesso, dopo un primo sorso di vino, ricordavo le tende pesanti e arancioni della camera di Arianna e di Elvira; il loro viso minuto, quando mi vedevano arrivare, ed erano lì ad attendermi, la domenica, dal mattino presto, pur sapendo che prima delle dieci non sarei arrivato. Mi perdevo con una certa frequenza. Una domenica un gruppo di cacciatori mi rimise sulla retta via. Furono gentili. Stavano raggiungendo le loro auto al limitare di un bosco. Erano incappucciati, tutti con degli impermeabili neri – il tempo era cattivo e cominciava a piovere.
Elvira non mi rimproverava mai di un mio ritardo. Non voleva farmelo mai pesare. I suoi genitori lavoravano tutto il giorno. La domenica entrambi si dedicavano alla casa. Una delle ultime mattine il padre di Elvira aveva tinteggiato la ringhiera del loro balcone di un celeste tenue, lunare. Mi piaceva la sua calma, la sua schiena ricurva, il fruscio del pennellino nel silenzio del paese.
L’idea di pernottare in pensione era stata di Elvira. Non voleva che nessuno dei suoi sapesse che era arrivata fin lì, a guardare la sua vecchia casetta d’infanzia devastata. Di solito si raggiungeva Torella in meno di mezz’ora, quando il tempo era buono, ma soprattutto quando ero con lei, che la strada la conosceva alla perfezione. Pernottare dai suoi avrebbe smascherato la sortita segreta alla zona della frana. Nemmeno ad Arianna lo avrebbe mai detto. Mi pregò di tenerlo per me, fino all’ultimo, quell’amore nascosto e sconsiderato per le sue rovine. Sua sorella, al telefono, non sapeva che avevamo raggiunto entrambi la zona della frana – ne ero certo. Decisi di telefonarle solo quando la signora Elsa mi servì un liquore alle erbe. Fui rivitalizzato dal suo profumo, come se avesse influito sulla mia decisione di rompere il silenzio. Quando Arianna mi rispose le dissi che sarei passato a trovarli quanto prima. Lei ne fu felice, non se lo aspettava. La sua voce mi tranquillizzò, ma il fatto che non mi avesse chiesto di sua sorella mi risuonò terrificante.
Pagato il conto, e comunicata alla signora la mia partenza, risalii subito in camera. Dovevo prendere tutte le sue cose. Mi sentivo un assassino, intento a far scomparire tutti gli oggetti dalla scena del crimine. Mancava solo il suo corpo, le sue guance nei miei guanti di lana, durante una bufera, ma lo spirito non era lontano. Affondavo le mani nelle sue piccole cose, dalla valigia aperta un pullover bianco, che aveva indossato il giorno del nostro arrivo; un altro nero e rosa, degli stivali di pelle, e poi il beauty con le creme corpo e le spazzole, insieme ai sali da bagno, alle carte da gioco e all’olio d’Arnica. Aveva lasciato un cappello azzurro, appeso dietro la porta. La tempesta di neve, secondo le ultime previsioni, sarebbe arrivata entro le quattro del pomeriggio. Non erano ancora le tre. Sarei stato in tempo per raggiungere i suoi familiari. Quando mi misi in macchina, dopo aver caricato i bagagli, il proprietario si avvicinò. Fu gentile, discreto, nonostante fossi arrivato in compagnia di Elvira e mi accingessi a ripartire da solo. Mi posò una mano sul braccio, raccomandandomi prudenza. In paese erano rimasti in pochi. In inverno era un luogo incantevole, ma assai pericoloso, se non si conosce a fondo la sua natura, come la fragilità delle anime che lo hanno lasciato e che ancora lo subissano, mi diceva. Non capivo il senso delle sue parole, così come non mi spiegavo la sua mano aperta sul braccio. Avevo fretta. Lui lo comprese, non mi trattenne.
Ripartii e accesi la radio. Il segnale era disturbato. Passai per il luogo della frana, poi fui costretto a svoltare a sinistra, la strada per le macchine era interrotta. Allontanandomi dalla frazione mi lasciavo dentro le ultime parole di Elvira, il suo modo di truccarsi, di pettinarsi, di infilarsi un pullover, lo strappo sul jeans alla sommità della coscia, ed ecco affiorare la rotonda e lo snodo della prima curva. La strada era giusta. Con la vettura in salita i miei pensieri si fecero più torpidi e angusti, immaginando cosa avrebbero detto i genitori di Elvira e sua sorella Arianna nel vedermi arrivare senza di lei.
Respiravo a fondo l’aria dei boschi e delle montagne, osservando il paesaggio restringersi in un sentimento controverso di appartenenza ed estraneità, sicuro che al primo sentore di sereno sarei disceso giù: statale, autostrada, città, casa dolce casa. E solo da lì, confortato dalle mie cose e relazioni più note, avrei organizzato un primo piano di ricerca, in modo lucido e assennato, senza coinvolgere nessuno del suo mondo, ma affidandomi soltanto al mio, con la molteplicità e l’ efficacia dei miei contatti. Sarebbe stata la soluzione migliore.
Avrei coinvolto le persone giuste, in grado di supportarmi per ogni passo, mentre con Arianna, con cui sarei rimasto in contatto – i genitori erano troppo riservati per chiamarmi direttamente, non lo avrebbero mai fatto –, avrei continuato a fingere… ma prima della tempesta non avevo alternative che rafforzare i caratteri multiformi di un mio nuovo personaggio dell’assurdo, ora che il suo paese si stagliava nella purezza esemplare di un primo giorno di scuola. Ne erano andati via in parecchi, eppure tratteneva la mistica di un suo nitore ineguagliabile, che mi parlava di lei, della sua persistenza a non tradirlo e a difenderlo da tutto e da tutti, a qualsiasi costo. Non avevo la stessa perseveranza nei confronti delle mie strade e delle mie cose, come l’ardore di Elvira nei confronti delle sue: dalla cima nebbiosa del castello fino alla scheggia dell’ultimo sasso lungo un greto, uno sterrato, la fontanina, una formica rossa e il campanile. Ogni cosa un suo nome: il cane, la neve, il pane, il pozzo, la cascina, il bosco, la nebbia, la notte nera: erano tutti elementi personalizzati, che per lei rimanevano unici in un suo intarsio agiografico, dove non riuscivo mai a vedere così a fondo e lontano.
Spuntavano le luci flebili delle prime case e il cielo si incupiva. Ve ne erano già diverse accese, dietro le finestre appannate e lampeggianti: celesti, gialle e rosa, come luminarie di un piccolo albero fantasma in uno sfondo di una fiaba scandinava; e allora mi tornò limpida, come se mi fosse accanto, la risonanza della sua voce fioca: «Accosta qui, per favore. Siamo arrivati».
Nelle strade non c’era nessuno. I lampioni erano già accesi. Lungo l’ultimo tratto pensavo ai visi delle persone che mi avrebbero visto arrivare da solo, ma alle finestre neanche un’anima. Nessun viso di donna, uomo, vecchio o bambino ad aspettare come un bacio l’arrivo di un uccello sulla ringhiera, prima della tempesta di neve, come sarebbe accaduto giù alla pensione, dove i clienti, gli ultimi rimasti, avrebbero alternato le poltrone e il divanetto accanto al camino con le due grandi finestre centrali, dove avrebbero assistito a breve alla furia ispirata degli elementi – l’espressione l’ho rubata a un amico geologo che dipingeva paesaggi montani. Intanto procedevo da solo, nella mia macchina di sempre. Ero arrivato.
C’era un piccolo spiazzo, alle spalle dell’abitazione della famiglia di Elvira, dove di solito parcheggiavo, in modo da controllare meglio la mia macchina dal loro balcone. «Ma qui non rubano» mi fece un giorno sua madre, notando che mi ostinavo a guardare la mia auto dalla loro cucina. Mi accorgevo dei suoi occhi che mi fissavano, forse per chiedermi se avessi mai guardato Elvira con la stessa premura della mia automobile, mentre si velava di nevischio.
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
Ciao Luigi! Più vado avanti con la lettura e più mi convinco che la chiave del mistero sia da cercare nel passato del protagonista, come quelle indagini paradossali nei romanzi di Tabucchi, in cui la vera ricerca è quella di un’identità. Bellissime tematiche👏🏻
Ciao, Nicholas. Mi incoraggia e mi gratifica molto il tuo commento. Hai colto la natura del dispositivo che sto collaudando: la zona nucleica, atomica, direi, della ricerca e di tutti i suoi affluenti, il suo strato di intimità e di interiorità, come controluce di ciò che accade e che appare. Il tutto, in fondo, procede sempre in uno specchio d’acqua, che muta colore e increspatura in base alle ore del giorno e alle direzioni dei venti. È questo il rapporto che sto cercando di preservare tra le dinamiche dei personaggi e il loro sfondo, tra le voci e le atmosfere, le luci e le cose, i pensieri e le azioni. È davvero una ricerca infinita. Grazie di cuore per il tuo commento e la tua attenzione al progetto.
“Mi perdevo con una certa frequenza”
Credo che ‘la perdita’ sia una delle tematiche principali di questa storia affascinante. Il protagonista ‘perde’ la persona amata (in quale maniera sarai tu a svelarcelo), ma soprattutto ha perso se stesso. La ricerca è continua e si fonde con l’analisi di ciò che resta: oggetti, sensazioni, ricordi, sentimenti, persone. Ripeto, come già ti dicevo, da leggere piano. Scritto benissimo.
Ciao, Cristiana. Sei entrata nel cuore del tema. Nella perdita come archetipo, sentimento esclusivo e controverso di appartenenza, spesso orgasmico, con la nostra identità, come con quella delle persone che si amano, e che si avvertono dentro dalla parte elettiva del loro vuoto, come in una dimensione protetta e impenetrabile, in questo caso imprenscindibile dalla loro natura, come la formica rossa dal campanile nello sguardo malinconico di Elvira. Si tratta di un sentimento costante di inconsolabilità, che dal piccolo mondo di una persona scomparsa, si dilata oltre i confini immaginabili del protagonista in una polifonia di tenerezze e di terrori cosmici. Grazie sempre delle tue riflessioni.
Mi piace come scrivi.
Grazie, Giuseppe. Sono felice, nonché onorato, di questo tuo pensiero. Davvero molto. A presto.
La vicenda continua ad intrigare. Le descrizioni sono molto evocative e le riflessioni del protagonista coinvolgenti.
Mi piace l’elemento surreale che accompagna tutta la storia, genera curiosità verso lo sviluppo degli eventi.
È un territorio narrativo sismico, pieno di strati, che a breve mi porterà ad operare delle scelte per il suo sviluppo e per quale sia il comportamento linguistico che possa apportare maggiore energia e fluidità alla storia. I tuoi pareri sono preziosi e te ne sono grato. Le vacanze di Natale rappresenteranno un periodo di approfondimenti e di valutazioni per il destino di questa serie, a cui tengo molto. A presto.
In effetti c’è qualcosa di strano nel comportamento della sorella. Credo che lo scopriremo nel prossimo episodio.
Ciao, Francesco. La sorella è una figura importante, in alcuni momenti un controluce di Elvira. In questi episodi sto analizzando bene la sua funzione di ambiguità e di mistero nell’ingranaggio narrativo. Nel prossimo episodio avrà un ruolo preponderante, anche se non del tutto esplicativo o risolutivo del contesto di sospensione in cui gravita la storia. Sei stato molto intuitivo, quindi. Grazie della tua attenzione. A presto.
grazie Luigi. Mancava questo passo, scrittura intrigante. Profonde riflessioni. Spero di leggerti presto.
Grazie ancora a te. Il tuo ascolto è un grande stimolo all’ispirazione. Non si è mai soli nel mistero di questi intenti. Un buon pomeriggio e a presto.