
La pigrizia estiva
Sono le mezzanotte e ventotto e giro l’ennesima sigaretta. Prendo con due dita il tabacco o lo sdraio sulla cartina leggera, la dispongo senza troppa attenzione mi sorprendo del fatto che, leccandola e chiudendo la cartina, la sigaretta sia più uniforme delle volte in cui mi ci metto d’impegno. Strappo il ciuffo e lo nascondo nell’astuccio. La finestra è aperta e mi accingo a chiuderla, perché temo che il fumo trapassi facilmente la zanzariera e penetri nella camera da letto. Sono io stesso ignaro del motivo che mi spinge a fumare quest’ultima sigaretta prima di andarmi a coricare, ma l’inerzia e l’abitudine mi portano fuori, forse sospinta anche da una certa curiosità di scoprire cosa si muove in cortile. Magari troverò i soliti due gattacci che si arruffano, magari un altro condomino che come me non trova il sonno. Tra insonni si crea sempre quel bel sodalizio che ti fa pensare di non essere solo, specie in queste sere fiacche e afose.
Mi affaccio dal balcone senza aspettative e difatti non rimango deluso. Sembra non esservi aria respirabile in città. Sarebbe stato bello, confesso, sentire quella leggera brezza che ridiscende dalle colline e che dona ossigeno alla notte, ma anche questa sera mi rassegno ad un sonno difficile e al caldo opprimente. La città dorme e poche sono le luci accese dalle case di fronte. Una stella solitaria, più luminosa delle altre, primeggia in un cielo scuro e timido. Nessun gatto, nessun insonne, niente aria, solo una farfalla notturna che si posa sulla finestra. La lascio lì, non mi disturba. Anche lei, a suo modo, sopperisce a questa serata senza svaghi e senza compagnia. Un po’ per tutti, questa sera, sembra una tenda chiusa e che invita al padre di tutti i vizi. Un uomo tossisce, di rado alcune auto passano lente nella strada, ed io impiego poco tempo per rientrare fra le mura di casa. Stappo il barattolo e mi concedo un cucchiaio di miele colmo a metà e un bicchiere d’acqua fresca. Il caldo è talmente appiccicoso che solletica la pelle e mi fa pensare alle ragnatele o ai moscerini che ti accarezzano quando cammini accanto agli alberi. Torno a scrivere queste poche righe e si è fatta l’una, non riesco a concepire come. Penso che vorrei farmi una doccia fresca, prendere un buon libro e leggere per conciliare il sonno, ma non riesco a visualizzare il mio corpo in movimento che si alza dalla sedia davanti alla scrivania, si denuda e si cala sotto il getto d’acqua che, oltre a svegliarmi quando avrei bisogno di assopirmi, creerebbe un certo rumore. Eppure questo caldo mi rende esausto e vigile, e una soluzione dovrò pur trovarla. Mi ricordo di un rimedio della nonna per rinfrescare il corpo: pucciare i piedi nell’acqua fredda. Non credo che basterà, ma vale la pena tentare.
Eseguo e mi sento meglio. Mi lavo i denti, controllo che la porta di casa sia chiusa a chiave e provo a coricarmi. Leggo qualche pagina e ondeggio fra un piacere soporifero e una concentrazione attiva. Sono nel limbo della notte. Impossibile sfuggire. Mi rassegno e serro le pagine, spengo la luce del comodino e provo a dormire. La mente si apre come un paracadute in alta quota. Non passa nemmeno uno sbuffo d’aria dalla finestra spalancata sopra il mio letto e immagino isole mediterranee, la mia cara Sicilia, il crepuscolo del sole che si appisola dietro l’acropoli, la sera umida ma gradevole al tatto e all’olfatto, alla salsedine che ti bacia le labbra e promette il mare piatto al mattino successivo. Immagino di rincasare all’alba dopo una bella serata spensierata e sì, perché no, un po’ alticcia. Pare così distante, financo nella mia candida immaginazione, che la realtà mi riporta al domani di provincia, al lavoro e all’aria condizionata che è benedizione e maledizione al tempo stesso, alle zanzare e all’attesa del fine settimana, e al fine settimana successivo, e ancora e ancora, fino agli sporadici lieti eventi in amicizia. Il lenzuolo aderisce e ingombra i piedi. Desidero un letto costellato di ghiaccio. Mi ricordo che ho, fra i cassetti disordinati, qualche compressa di melatonina. La prendo con due sorsi d’acqua ormai calda e ci ritento.
Mi duole ammetterlo a me stesso, ma queste poche righe non sono niente di ché, ma era così tanto tempo che non portavo a termine qualcosa di limpido, asciutto e sincero che non posso che essere soddisfatto di me stesso. L’indomani potrò fare capolino, oltre la ringhiera del balcone, e sperare che l’aria non torni ad oziare come io ho fatto questa sera.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Mi è piaciuto molto la maniera come hai descritto l’ozio, la routine e la pigrizia attraverso le immagini che sei riuscito a costruire con le parole. Mi sono letteralmente catapultato in quella realtà.
Al prossimo racconto.
” mi sorprendo del fatto che, leccandola e chiudendo la cartina, la sigaretta sia più uniforme delle volte in cui mi ci metto d’impegno.”
Mi è capitato
Un classico 😀
Grazie Raffaele! Per fortuna queste notti fiacche non sono un’abitudine ma una spiacevole eccezione. Mi piaceva l’idea di invertire i ruoli emotivi e rendere questa notte Realmente pigra e opprimente.
Davvero gentile il tuo commento, alla prossima!
Un lungo pensiero che condivido in tutto. Ho sentito il peso dell’aria afosa e umida, ho sentito la fatica del tuo corpo e soprattutto della tua mente al pensiero di affrontare una routine che, pare, sia diventata asfissiante come l’atmosfera che ti circonda.
Spero che libri e scrittura siano tuoi compagni di viaggio verso un cambiamento.
Alla prossima lettura.