La sorgente della morte

IL CHERUBINO 

UN LUNGO VIAGGIO

Era una notte tetra e burrascosa nel piccolo paesino di Orsara, un agglomerato urbano composto da sole cento anime. Il vento ululava la sua furia, la pioggia cadeva fitta accecando i pochi coraggiosi che si avventuravano fuori di casa.

Una nave, attraccata poco prima del tramonto, ballava pericolosamente tra le onde. I poveri marinai cercavano ogni genere di appiglio per non finire in mare così come rischiava il loro carico.

Quattro figure seriose circondavano una quinta con indosso un pesante mantello da viaggio. Incurante dell’ora tarda e delle intemperie, marciavano a passo sicuro tra i vicoli bui della cittadella.

Le imposte di una finestra sbatterono all’improvviso, facendo sobbalzare uno degli uomini.

«Paura, Dimitri?», disse lo Zar sogghignando e mascherando le sue emozioni così simili a quelle della sua guardia alla sua destra.

«No, Sire. È che non mi piace quando ci sono troppe variabili».

Lo Zar corrucciò le sopracciglia. Non capiva mai ciò che volesse dire Dimitri. Il suo modo di esprimersi lo confondeva. Dimitri era una persona efficientissima, discendente da generazioni di guardie, era perfetto come capo della sua sicurezza, ma questo lo rendeva pignolo ed enigmatico.

La pioggia cadeva obliquamente, sospinta dal vento che sferzava il viso dei cinque pellegrini. Lo Zar si portava spesso la mano sul volto nell’intento di togliere l’acqua dal viso e riuscire a vedere al di là del suo naso. Con la coda dell’occhio sbirciò attorno a sé. Come facevano a non sbattere le palpebre? Lo Zar sospettava che i suoi difensori non fossero del tutto umani. Nessuno può essere così integerrimo. Distolse subito lo sguardo, preso da un attacco di panico. Si sentiva sempre inferiore agli altri, pur essendo l’uomo più potente del suo regno. E questo era anche il motivo del perché si trovava, sotto la pioggia e al gelo, in questo paesino sperduto dell’Italia. Questa la motivazione del perché avesse bisogno delle visioni di quella donna. La sua bassa autostima lo rendeva un pessimo regnante, e non poteva più permetterselo. Doveva conoscere il futuro, doveva sapere fare la cosa giusta prima che glielo dicessero gli altri, doveva prendere in mano il suo destino e piegarlo al suo volere, perché lui era lo Zar!

Sorrise tra sé per quella sferzata di autostima, ma quella sensazione passò velocemente così come era arrivata. Avrebbe dovuto trovare una buona giustificazione per quel viaggio una volta rientrato in patria.

La sua giovane età lo rendeva schiavo dei pregiudizi altrui e tutti si sentivano in dovere di dirgli sempre cosa fosse giusto fare. Sapeva di non avere esperienza, suo padre era morto da pochi mesi e lui era sempre cresciuto nella spensieratezza e nell’incapacità di dover assumersi delle responsabilità. Ma adesso, il peso del mondo gli ricadeva sulle spalle e quegli anni di gaiezza gli sembravano un insulto. Nel primo mese ebbe dei veri e propri attacchi di panico e nel palazzo si vociferava che il nuovo Zar non fosse adatto al compito, addirittura che potesse essere impazzito. Molti commentavano sottovoce che cedesse il trono a suo zio. Dovette fare uno sforzo disumano per fingersi sicuro di sé, abbattere queste dicerie, e ottenere il rispetto del suo popolo. Durante le cerimonie ufficiali teneva sempre un fazzoletto stretto tra le mani, con gli occhi di tutti puntati su di lui in attesa di un suo cedimento. Il sollievo giungeva alla fine della giornata quando, rintanato nelle sue stanze, crollava sul pavimento tremante e in lacrime come un bambino.

A ogni suo risveglio temeva che qualcosa di tremendo accadesse, e che dovesse prendere delle decisioni che avrebbero stravolto il destino del suo paese.

E poi, una mattina accadde: un messaggero irruppe senza fiato nella sala da pranzo mentre lui faceva colazione, e gli consegnò una lettera. Il viso dello Zar sbiancò non appena lo sguardo cadde sulle prime righe del messaggio. Una rivolta. La nazione era in tumulto e si attendeva un suo intervento.

Convocò immediatamente i suoi consiglieri. No, non poteva decidere da solo. Era troppo importante e la sua mente, presa dal terrore, era completamente vuota.

Discussero a lungo, senza mai giungere a una conclusione. Lo Zar passeggiava nervosamente su e giù lungo tutta la stanza ascoltando le idee più assurde.

«Non possiamo attendere oltre. Bisogna intervenire duramente».

«Il popolo. Pensate alle persone, si rivolteranno contro. Li difenderanno sicuramente».

«Non si azzarderanno, stanne certo».

I più gli consigliavano di inviare la maggior parte del suo esercito e di sedare tutto nel sangue. Morte, distruzione, terrore, come suo padre prima di lui, doveva dimostrare la sua forza.

Un conflitto pari alla situazione reale tentava di dilaniarlo. Non era mai stato come suo padre, era molto più simile a sua madre, sensibile e di indole compassionevole. Eppure, in quel momento si rese conto di quanto suo padre dovesse subire ogni singolo giorno, e riuscì a comprendere la durezza del suo animo. Doveva diventare come lui per reggere alla pressione della reggenza? Era necessario cambiare se stesso per il bene del suo popolo? L’intestino gli si contorceva dentro facendolo piegare in due dall’ansia.

Decise di seguire il loro consiglio e continuare sulla scia di suo padre. In fondo, il regno era ancora in piedi dopo tutto quel tempo, no?

«Va bene», disse rassegnato. «Fate ciò che ritenete necessario».

Si pentì ben presto di quella decisione. I tempi erano maturi, e la popolazione esasperata. Erano pronti per una rivoluzione. La guerra scoppiò nel regno, sanguinaria più che mai. I disordini crebbero e divennero sempre più violenti. I morti venivano ammucchiati sul ciglio delle strade e la povertà e la disperazione crescevano in maniera esponenziale.

Lo Zar si rifugiò nella biblioteca, la sua stanza preferita e l’unico luogo in cui poteva essere se stesso. Un buon libro era l’antidoto a ogni suo cruccio.

Una dama entrò, sorprendendolo. Il libro gli cadde dalle mani finendo sul pavimento con un gran tonfo. Si guardarono per un istante infinito, incapaci di proferire parola. La prima a riprendersi fu la dama che s’inchinò in segno di rispetto. La ragazza dai grandi occhi neri si scusò in mille modi fino a che lo Zar le disse di tacere. Poi, preso dal senso di colpa dalle sue cattive maniere e bisognoso di distrazione, invitò la giovane a fargli compagnia.

Dopo un’ora, si rivelò la decisione più felice che avesse mai preso.

La giovane dama era molto bella e con un’indole dolce e delicata. La sua intelligenza lo conquistò e le confidò le sue sofferenze.

La giovane lo guardò negli occhi con il suo sguardo caldo e gli disse «Sire, credo di poterla aiutare»

Lo Zar la incitò a continuare, era aperto a qualsiasi suggerimento.

«In Italia», riprese la donna, «esiste un paesino sperduto tra le campagne, su una collina. Vive una donna che si dice sia una Veggente. Ho viaggiato molto prima di stabilirmi a palazzo, e in molte occasioni ho sentito fare il suo nome. A quanto si racconta, non ha mai sbagliato una profezia. Solo che ….».

«Cosa?», chiese lo Zar con il fiato sospeso dalla curiosità.

La giovane abbassò lo sguardo per un attimo. «Il prezzo da pagare è davvero alto».

Lo Zar sorrise, se questo era tutto non ci sarebbero stati problemi.

Ed eccoli li, dall’altra parte del mondo, ad andare in contro al suo destino. 

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