
L’Attesa
Era mattina presto quando lasciai il piccolo borgo di montagna dove mi ero recato per un breve soggiorno. L’aria frizzante scivolava sulla pelle come se volesse destarmi, risvegliando ogni fibra, e l’odore della brace che saliva dai camini si diffondeva in nuvole di fumo denso, impregnando la rugiada e lasciando nell’aria una nota forte, decisa. Il mio obiettivo era raggiungere un punto panoramico da cui ammirare l’intera vallata, un luogo sospeso tra storia e natura che, a detta degli appassionati, regalava la sensazione dell’infinito.
Il sentiero, ben tracciato, si apriva tra gli alberi del bosco, offrendo il cammino. Attorno a me regnava un silenzio sospeso, armonico, rotto soltanto dal fruscio delle foglie che cedevano al ritmo dei miei passi. Poco a poco, il primo canto della natura si levava nel risveglio del mattino, muovendosi tra i rami con vibrazioni armoniose, intonate ad intervalli regolari, simile al lungo respiro di un’orchestra di violini. Più in basso, un ruscello scendeva rapido verso valle, seguendo la mia stessa via ma in direzione opposta, come se, di ritorno, volesse indicarmi la strada.
La salita era dolce e regolare, senza strappi, e il sentiero si snodava tra gli alberi. La luce filtrava tra i rami, disegnando il percorso, interrotta solo dalle ombre sottili che si allungavano sul terreno. Ogni passo accompagnava il lento cambiare della vegetazione, le foglie più basse si piegavano leggermente e i cespugli si aprivano al mio passaggio, come se il bosco stesso riconoscesse il cammino che percorrevo.
Quando raggiunsi la cima, il sole era ormai calante alle mie spalle. I profili spigolosi delle montagne in lontananza tracciavano un confine nitido, mentre la vallata sottostante si offriva con curve morbide e generose, come seni prosperosi che invitano lo sguardo a indugiare. Ogni dettaglio sembrava scolpito con precisione, come se il Creato stesso ne avesse tracciato i contorni, armonizzando le forme in un disegno perfetto. Dopo un lungo meditare, quando la mia anima si fu nutrita di quella visione paradisiaca, ripresi il cammino, consapevole che il rientro mi attendeva.
Lungo il sentiero del ritorno mi sentii avvolto da una nebbiolina leggera, sempre più inquietante ed enigmatica. Il ruscello scorreva ora lento e il suono si era fatto sottile e ovattato, mentre il silenzio intorno si faceva denso, carico di mistero. Quasi stupito, intravidi una sagoma muoversi davanti a me. Mi avvicinai mentre un brivido mi percorreva la schiena. Era una donna. Vestita come una contadina d’altri tempi, i suoi occhi quieti mi scrutavano e un sorriso lieve le sfiorava le labbra.
Le chiesi indicazioni e lei mi parlò con voce calma, quasi un sussurro che si mescolava al silenzio del bosco ma, carica di sorpresa, mi rispose che il paese non era lontano, consigliandomi un sentiero alternativo. La ringraziai e ripresi il cammino. Dopo qualche minuto la vidi venirmi incontro. Mi fermò e disse che, ripensandoci, forse era meglio se mi accompagnasse, altrimenti rischiavo di perdermi. Accettai.
Proseguimmo insieme sul sentiero e il paesaggio sembrava costruirsi davanti a noi. Iniziò a raccontarmi una storia, con la dolcezza di chi custodisce un ricordo prezioso. Raccontò di essere cresciuta lì, in quel paese, con due sorelle e la madre, senza mai poter frequentare la scuola, perché c’era sempre bisogno di mani per tirare avanti. Aveva imparato a leggere da sola, sfogliando un vecchio libro illustrato sulla danza, e sognava di diventare una ballerina, ma la madre le aveva già scritto il futuro. Guardava il mondo dalla finestra e, da lì, un giorno vide un ragazzo. Passava spesso sotto casa, profumato di dopobarba speziato e vestiti puliti. Con uno sguardo attento la salutava ogni giorno, e lei, compiacente, lo attendeva.
A vent’anni, la madre le impose di sposare il figlio di un parente, un matrimonio combinato deciso per il bene della famiglia. L’uomo l’aveva vista sì e no qualche volta, ma le famiglie acconsentirono: lui avrebbe avuto una moglie, lei una vita almeno dignitosa, libera dalla fatica quotidiana che l’avrebbe condotta, insieme a madre e sorelle, a una vita al limite della sopravvivenza. Non era un matrimonio d’amore, ma un salto nel buio, un sacrificio necessario, l’unica possibilità di sottrarsi a un’esistenza segnata dalla fatica e dalla costrizione. Una casa, un marito, una famiglia come tante, nate per necessità . Eppure, dentro di sé, continuava a custodire il ricordo di un sogno a occhi aperti: il volto del ragazzo visto dalla finestra, il profumo sospeso nell’aria, un sentimento segreto, fragile, che nessuno le avrebbe mai potuto portare via. Ogni volta che ne sentiva il bisogno, un pensiero la avvolgeva, e il cuore le si stringeva in un abbraccio virtuale. Il mondo attorno a lei sfumava, come se quel sogno fosse l’unica libertà possibile.
Ebbi un attimo di esitazione, come se cercassi le parole giuste senza trovarle. Risposi con il silenzio, perché qualunque parola mi sembrava un errore. Imbarazzato dalla mia esitazione, incapace di prendere posizione sul suo passato, non sapevo se leggerci una rinuncia o una forma di rassegnazione. Mi attraversò il pensiero di chiederle perché non avesse seguito il suo cuore, ma le parole mi si fermarono in gola. Rimasi lì, sospeso, come chi si affaccia sul vissuto altrui e scopre che giudicare è sempre una scelta superficiale.
Non si scompose, ma si fermò. Indicandomi il paese in lontananza, disse: «Ora puoi andare. Sei quasi arrivato, puoi proseguire da solo. Io torno indietro».
«Indietro dove?» chiesi.
«Lì dove mi hai incontrata. Resto in attesa del mio ragazzo. Di quel desiderio e del suo profumo di dopobarba speziato. La guerra lo ha portato via dal mio cuore. Ma io spero ancora in lui. Spero che torni a prendermi. Voglio tornare a sognare dalla finestra della mia stanza».
Mi voltai di scatto, il cuore in gola. Era buio. La luce dell’alba filtrava dalla finestra della mia stanza. Avevo il respiro corto, il corpo sudato. Mi alzai stordito, cercando di riavvolgere le immagini: il bosco, la donna, il profumo, la guerra. Avevo sognato? O avevo davvero incontrato la sua anima?
Nel silenzio di quella valle restava una donna spezzata dalla guerra, con la speranza di un amore mai nato, ma talmente forte da mantenere la sua presenza lì, in attesa, come se il suo destino non si fosse mai compiuto.
Il naso mi sanguinava, la testa mi pulsava. E dentro di me cresceva un senso inspiegabile di responsabilità , come se fossi stato scelto per raccontarla, per ricordare ciò che la guerra aveva distrutto: i sogni, le attese, le libertà negate. Tutto ciò che quella donna non aveva mai avuto — e che ancora aspettava.
Sentivo il dovere di ricordare quei due destini sfiorati e provare a farli incrociare.
Almeno una volta. Almeno in un sogno.
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Bellissimo e struggente questo amore mai nato che trova una possibilità attraverso il sogno. Come la scrittura, che ci dà la possibilità di esplorare infiniti mondi e vivere infinite vite.
Ti ringrazio di cuore per le tue parole. Mi fa piacere che tu abbia colto l’essenza del racconto.
“seguendo la mia stessa via ma in direzione opposta, come se, di ritorno, volesse indicarmi la strada”
Molto bello questo passaggio
Grazie
Ciao Maurizio. Il tuo è un racconto elegante e malinconico, che intreccia con finezza sogno e memoria, lasciando al lettore il compito di distinguere ciò che è reale da ciò che sopravvive solo nel ricordo. L’atmosfera è intensa, costruita con immagini sensoriali di grande efficacia, e la figura della donna emerge come simbolo struggente di un destino sospeso.
Ho personalmente riscontrato una certa ridondanza descrittiva nella parte iniziale, che rallenta il ritmo prima della svolta narrativa. Forse, un risparmio sul numero delle parole avrebbe giovato a una maggiore caratterizzazione del finale, ma è semplicemente un mio parere da lettrice. Nel complesso, il tuo testo cattura per la sua capacità di far percepire il peso del non detto e la bellezza amara dell’attesa.
Ti ringrazio per il tuo commento e per la lettura attenta. Osservazioni come le tue mi aiutano a migliorare e a rivedere con maggiore consapevolezza il mio modo di scrivere. Grazie davvero per le tue parole.
Una escursione montana che diventa il pretesto per raccontare una storia, o un sogno. È ben scritto e una strana trasformazione dell’ambiente, complice un repentino imbrunire, fa da preludio all’incontro con la donna, introducendo lì un cambio di ritmo e l’uscita dal mondo reale. Mi ha intrigato l’esitazione della voce narrante, la sospensione del giudizio, che lascia intuire il tempo che è passato dagli eventi raccontati da lei. Il finale, a mio avviso, perde un po’ di mordente, forse nel voler spiegare al lettore qualcosa che è già arrivato. Grazie molte per la bella lettura
Ti ringrazio per il commento. Feedback come il tuo per me sono preziosi, perché mi aiutano a capire cosa arriva e cosa posso ancora migliorare. Grazie di cuore per aver condiviso le tue impressioni in modo così costruttivo.
Mi è arrivato tutto. L’aria fredda. Il bosco che si apre. L’odore di brace. La donna sembra vera. Una presenza gentile. Il profumo. L’attesa alla finestra. Il risveglio ti lascia nel dubbio. Sogno o chiamata a raccontarla. Mi resta addosso una malinconia buona e la voglia di regalarle un incontro. Anche solo nei sogni.
Grazie