Mi offrono un lavoro (episodio 2 di “L’Incidente”)
Ariel invece era un clown. Non l’ho mai vista struccata.
Il suo viso bianco, i suoi occhi e le ciglia allungati dalla matita e dal rimmel, gli abiti multicolori, larghissimi, che nascondevano le forme, e la grande bocca rossa disegnata, divennero compagni abituali per me; proprio come il sapore del vino da due soldi alla mensa, l’odore della sabbia, che aveva qualcosa di caldo e confortante, come una promessa sconosciuta; o la donna che leggeva la sfera di cristallo all’ingresso del tendone principale prima di ogni spettacolo, e la sua buffa cantilena venghinnovenghinosiorreesiorri!letturadellasferadellamanotarocchi!!venghinovenghino!!
Mi innamorai di Ariel subito, appena la vidi china su di me, al risveglio. Ma non sono stato mai bravo, in questo genere di cose. Continuavo a dirmi che stava con Buster – li avevo visti, qualche volta, in atteggiamenti un po’ ambigui… Di sicuro non avrei potuto competere, anche se l’avessi voluto.
E non lo volevo, giusto? Stavo bene come stavo, senza niente da dimostrare a nessuno, e con una vita serena e tanti nuovi amici.
Giusto? Giusto.
Ariel era molto importante nello spettacolo. Ogni volta che si tardava ad andare in scena per qualche motivo, le scenografie o gli attrezzi non erano pronti, oppure a qualcuno prendeva un’irresistibile voglia di una sigaretta dell’ultimo minuto, era lei che riempiva gli spazi vuoti.
Praticamente, si buttava sulla sabbia della pista con in mano la prima cosa che trovava, e qualche secondo dopo sentivamo la gente spaccarsi in due dalle risate.
Faceva anche un sacco di fotografie dopo la spettacolo, perché i bambini andavano matti per lei.
A me, che la guardavo di nascosto da dietro le scene, sembrava la creatura più straordinaria del mondo. Restavo impalato, a bocca aperta, ad osservare la grazia apparentemente priva di fatica con cui si esibiva in esercizi complessi, acrobazie, salti, boccacce… Mi sembrava che il mondo intero si sarebbe dovuto fermare a contemplarla, in silenzio, invece di ridere di lei.
Ma lei era così soddisfatta, quando ridevano!
Una volta, a conclusione di un numero, scivolò dietro le scene, e trovandomi lì mi volò tra le braccia. Questo prima che avessi avuto il tempo di inventare una buona scusa per giustificare il fatto che la spiavo. Non sembrava che gliene importasse, era troppo felice. Pregai che, una volta esaurito l’entusiasmo, non le venisse in mente di chiedermi conto di quella presenza.
“Gringo!! Ma li senti? Stanotte sogneranno il circo, e domani ne staranno ancora parlando!! Fantastico, Gringo, fantastico!”
Non riuscii a dire niente, perché volteggiò subito via, a prepararsi per il numero successivo.
Una farfalla coloratissima, la cui meraviglia trasformava le bocche delle persone in tanti oooooo di spalancato stupore.
Faceva loro credere che la vita fosse semplicemente meravigliosa.
Anche a me, qualche volta, capitava così.
Questo, però, era niente, in confronto agli spettacoli di Buster.
Vederlo muoversi lassù in alto, rigorosamente senza la rete di protezione, passare da un trapezio all’altro come se volasse, mai un’esitazione, mai un dubbio…
Certo, dubbi ed esitazioni gli sarebbero costate molto care. Forse per questo aveva imparato a farne a meno. O, forse, faceva quel lavoro proprio perché non le conosceva.
Sapevo che, in qualunque momento avessi deciso di alzare lo sguardo, sarebbe stato là, sospeso nel vuoto sopra la mia testa, ad esercitarsi, oppure concentrato nel pieno di un’esibizione.
Era quella la forza segreta di Buster, credo.
Lui era soltanto e sempre ciò che faceva.
Per me, così scisso e distaccato dalle mie ragioni profonde, che era un miracolo che non dimenticassi di respirare, era un conforto saperlo lassù, intento a dimostrare costantemente che tutto è possibile.
Ma era anche motivo di disagio, perché mi dicevo che non sarei mai stato come lui.
Una volta, assistetti alle prove di un numero dei clowns.
Ma era strano, ancora in lavorazione, credo, perché non mi sembrò affatto divertente.
C’era un tavolo, al centro dell’arena, montato su rotelle. Sul tavolo, qualcosa gonfiava una coperta verdina, simile a quelle che si vedono nelle corsie degli ospedali.
Sembrava un corpo umano, ma era completamente coperto, così avrebbe potuto trattarsi di qualsiasi cosa.
Attorno al tavolo, che via via compresi essere una barella, tre personaggi si agitavano affannosamente, eppure in qualche modo ordinatamente.
Uno era un vecchio clown, un artritico personaggio che si aggirava dietro le quinte col nome di Pedro, ed era ormai così difficoltoso nei movimenti che veniva praticamente mantenuto come memoria storica del Circo Vandelli, e poco più.
La seconda era la mia Ariel. Cioè, non mia. Insomma, era Ariel.
Il terzo era il direttore del circo in persona.
Uno dei più grandi misteri del Circo Vandelli era il fatto che il suo direttore non si chiamasse Vandelli, ma Andrian Adelaidi.
Che poi, se volete la mia opinione, è un nome davvero assurdo, indipendentemente dal lavoro che uno fa.
Era un uomo magro, che non alzava mai la voce, ma faceva filare tutti in riga come sul ponte di una nave da guerra.
Non sopportava di vedere qualcuno seduto, beatamente intento agli affari propri. Pretendeva che si alzasse, corresse in giro, si desse da fare. Spiegargli che era già tutto a posto, tutto fatto per quel giorno, costituiva un’impresa superiore alle forze di chiunque, tra noi.
Aveva una vera adorazione per Buster, questo sì. Ma dipendeva dal fatto che Buster stava sempre facendo qualcosa di importante. Se non penzolava a testa in giù, provava un numero con la fune. Buster era fatto così; ma mi pare proprio che fosse l’unico.
Il direttore Adelaidi faceva gli occhiacci a tutti noi scansafatiche, ripetendo, con tono basso e ammirato, che dovevamo prenderlo a esempio, perché ‘Buster non perde tempo, lui, nossignore!’
Se ne stavano tutti e tre chini sul fagotto informe sopra la barella, seri e concentrati.
Avevano anche degli strumenti da ospedale, stetoscopi, perfino bisturi e aghi per ricucire, ma tutto sproporzionato e coloratissimo, come sempre lo sono gli strumenti dei clowns.
“Dottore, qui c’è poco da fare” commentò Pedro, da dietro la mascherina sterile che gli copriva il volto bianco.
Aveva sollevato la coperta e dato uno sguardo a quello che c’era sotto. Mi venne la pelle d’oca, non so per quale motivo.
Adelaidi, che evidentemente era il dottore dello sketch, allungò imperativamente la mano verso Ariel, che fungeva da assistente: “Bisturi!”
Fui assalito da una nausea improvvisa.
“Tutto a posto?”
Buster mi era comparso accanto mentre ero assorto ad osservare quei tre.
Dovevo essere molto pallido, perché mi sostenne per un braccio, accompagnandomi fuori, dove la chiromante si pettinava i lunghissimi capelli neri in attesa del pubblico.
Sedette su una pila di vecchi copertoni, tirò fuori dalla tasca un pacchetto di tabacco e cominciò a rollarsi pigramente una sigaretta.
L’accese con un fiammifero e diede un paio di profonde boccate, con l’aria più soddisfatta del mondo.
Accennò con la testa al tendone.
“Meglio sbrigarsi, prima che ‘il dottore’ mi becchi.”
Gli sorrisi. Era proprio un bel tipo. Il dottore!
“Ti ha fatto impressione, eh?”
“Figurati. È solo un numero.”
Buster mi osservava come se mi stesse pesando.
“Il Circo è un posto strano” disse poi. “Non si capisce mai quanto ci sia di vero, in quello che succede.”
Non capivo dove volesse andare a parare.
Tirò un altro paio di boccate, poi lasciò cadere la bomba.
“Di’: avresti voglia di farmi da secondo?”
Per poco non cascai giù dai copertoni. Farfugliai che soffrivo di vertigini, mentre temevo che il cuore mi saltasse fuori dalle orbite dopo averne spinto fuori i bulbi oculari, come in un vecchio cartone animato.
Buster sogghignò apertamente, gli andò di traverso il fumo, sputacchiò e tossì e saltellò in giro per qualche minuto, tutto senza riuscire a smettere di ridere.
Quando finalmente si fu calmato, mi mise una mano sulla spalla, come se si fosse trattato di uno scherzo divertente.
“Già, me l’immaginavo. Ma lei insisteva, insisteva…” Raddrizzò le spalle, e la voce gli uscì in falsetto, come quella di una ragazza. “‘Chiediglielo, Buster, chiediglielo! Non vede l’ora di volare, io lo so! Glielo leggo negli occhi!’”
Diede un ultimo tiro alla sigaretta prima di schiacciarla sotto il tacco della scarpa. “A volte le donne ti guardano negli occhi, e chissà cosa vedono…” commentò.
Ma io ero rimasto lì impalato, con i pensieri che ruggivano suggerimenti sconclusionati al mio cervello.
“Chi? Chi te l’ha detto?”
Mi guardò come se quella fosse la domanda più idiota del mondo.
“Come chi? Ma Ariel, naturalmente!”
In quel momento, il tendone principale fu scostato, e il direttore Adelaidi, seguito da Pedro e Ariel, sbucò nel piazzale.
La chiromante si mise subito a lucidare con impegno sospetto la già lucidissima sfera di cristallo. Buster mi strizzò l’occhio, balzò dritto sulle mani e si allontanò a testa in giù, fischiettando.
Rimasi lì a chiedermi cosa avesse visto Ariel nei miei occhi, che io, dopo tanti anni di specchi, ancora non avevo notato.
“Allora, giovanotto! Ce la prendiamo comoda, eh? Direi che hai delle bestie da sistemare, prima dello spettacolo, o sbaglio?”
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Che meraviglia questo episodio. Amo il circo e sto concludendo un racconto con questo tipo di ambientazione. Tu diventi per me un’ispirazione. I personaggi sono magici e io salto all’altro episodio. Complimenti.
Ah, che bellezza quando l’ultimo racconto della giornata è uno dei tuoi. È come quando ti serve un prestito di positività e ottieni un finanziamento a fondo perduto.
ah, che bello quando le metafore sul mio lavoro riguardano i soldi… è una rivincita socio-culturale XD
“A volte le donne ti guardano negli occhi, e chissà cosa vedono…”
Meraviglia
la vita in un circo è come una vita nella vita, e Ariel, in quel suo essere sempre truccata, è forse la meno truccata di tutti. Anche io aspetto il seguito.
sarai presto accontentato 🙂 grazie dell’apprezzamento.
Anche io come Giancarlo son troppo curioso di sapere il prosieguo della storia. Il testo è davvero scorrevole, si riesce a saltare rapidamente da una frase all’altra come fa Buster sui trapezi.
grazie federico. bello il collegamento tra buster e le frasi, il mio mercurio interiore ti ringrazia… molto rumorosamente, peraltro… XD
Un circo in cui la magia continua dopo lo spettacolo, come nelle favole che ci hanno colpiti da bambini, ma anche come in alcuni racconti “di paura” che abbiamo letto da grandi.
Sono curioso di sapere come prosegue, anche perché mi ha ricordato la prima parte di “Cristalli sognanti” di Sturgeon. Una cosa mia.
Questa serie mi piace tantissimo.
grazie giancarlo. sì, la paura c’è, come al solito nelle mie storie… certe volte è la protagonista, certe altre, come in questo caso, cammina in punta di piedi, si svela via via che il protagonista la riconosce per quello che è… ma alla fine, resta sempre e soprattutto una compagna di strada. per quanto mi riguarda, una delle più gradite. non ho letto sturgeon, purtroppo; ma sono felice di metterlo in lista 🙂 e grazie della dritta!