Mia cugina Elena

Serie: Mia cugina Elena


Giovani siciliani

La vidi scendere dal taxi bianco di don Raffaele. Era alta, snella, bella mia cugina Elena. Scese con una disinvoltura provocante. Appena liberatosi, con un gesto quasi di superficialità, dal taxista, si guardò tutta, cominciò a passare una mano su se stessa, dalla camicetta viola alla gonna blu mare; fece quel gesto come se volesse, ed è proprio quello che io capii, spolverarsi dello sporco  preso su quei sedili. Si lisciò tutta, accarezzò la sua lunga chioma nera, svolazzò la testa a destra e a manca, come a voler profumare l’aria attorno a lei, e si incamminò, trascinando il trolley rosa acceso, con un ancheggiare molto provocante che sfiorò il ridicolo. Aveva con sé una borsetta bianca che ondeggiava con estrema velocità da un fianco all’altro. Io ero lontano una ventina di metri. La aspettavo. Avevamo un appuntamento in piazza Monumento per le dodici. Guardai l’orologio. Segnava le dodici esatte. ‘Sempre puntuale la mia bella cugina!’ mi dissi nel frattempo che le andai incontro per farmi vedere. Lei, già di suo, portava il mento ben in vista, alzato con orgoglio, ma, non avendomi avvistato, lo fece con più decisione, portando quasi la testa all’indietro, sussurrando qualcosa fra le labbra rosso fuoco.

«Elena!» dissi con un tono di voce un po’ più alto del solito, ma contenuto nella discrezione. Lei si fermò e cercò quasi con cruccio da quale angolo della piazza fosse arrivato quel grido.

«Elena, sono alla tua sinistra, guarda.»

«Oh Marco, ciao. Scusami non ti avevo visto, immaginavo trovarti alla fermata del taxi, mi ero un po’ preoccupata. Sai, uno all’appuntamento si fa trovare ben visibile» disse poi sorridendo.

Ora, lasciamo stare il fatto che non eravamo a piazza grande, lasciamo stare che dopo due anni che non ci si vedeva non si inizia sicuramente con, seppur minimo, un rimprovero leggero, lasciamo stare che la fermata del taxi era a cuocere al sole ed io, forse in modo strano e assurdo, secondo lei, avevo cercato riparo sotto le palme che offrivano un po’ di ristoro. Lasciamo perdere tutto questo. Quello che mi sconvolse fu, il suo portamento prima di tutto, molto accentuato, il suo modo di porsi all’ambiente, decisamente fuori luogo, mi sembrò come l’ananas sulla pizza, un frutto buonissimo ma decisamente fuori posto, ecco, da lei, almeno questo, mi sarei aspettato, che avesse mostrato quello che in fin dei conti tutti ricordavamo lei essere, e non un’alterca signora con aria fritta che le girava attorno, come attaccata da uno sciame di api, sì, con i gesti della mano che svolazzava davanti al suo viso incipriato, mi apparve proprio quella scena delle api. Ma quello che mi ha letteralmente fatto rimanere in silenzio, in un primo momento, senza saper rispondere, è stato sia il modo, sia il tono, ma soprattutto l’accento che non era certamente quello siciliano. Come minchia aveva fatto a cambiare tutte quelle cose in cinque anni? Chi era quella ragazza? Non certamente mia cugina! E poi, perché? Perché aveva modificato tutta la sua persona, perché? Mi venne da pensare, in quei pochi secondi, che fosse finita al nord in mezzo a cattiva gente, fra persone che avessero imposto alla mia povera cugina di modificare il suo atteggiamento, il suo vestiario, la sua voce, il suo stile di vita, la sua espressione, il suo modo di essere. Ora, capisco che a Milano si parli con un altro accento, che forse o senza dubbio ci sono persone che esattamente possono atteggiarsi con una superiorità, non so a cosa dovuta, ma di questo se si viene influenzati, forse, avviene dopo anni di convivenza.

Subito corressi i miei pensieri, questo, pensai, poteva avvenire anche a Torino, Bergamo, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e in tanti altri posti. Non centrava nulla Milano, no, non centrava nulla il nord, quello che centrava era solo lei e chi come lei, meridionale immigrata, che atteggiarsi, come avrebbe fatto un camaleonte, mimetizzandosi con l’ambiente, e prendendo tutto quello che fosse ritenuto necessario e opportuno, per cambiare, fosse stato necessario. Emulando chi si riteneva superiore, pronandosi, imitando tutto di costoro, dichiarando nei fatti, di essere colui che, passivamente e tristemente, ammettesse di vergognarsi di quello che si è!  Mutare! Questo contava. Anche se addirittura fosse stato necessario modificare, anche il proprio DNA.

Sì, la mia bella cugina era diventata un camaleonte, un bello stupido camaleonte. Convinta di aver fatto il dovuto, di essersi resa accettabile solo perché aveva, a suo dire, ritenuto impresentabile la sua persona, per una ragione geografica. Mi veniva da piangere. Oggi per fortuna qualcosa è cambiata. Sono cambiati i cittadini di Milano o di qualsivoglia città del nord, salvo qualche eccezione incommentabile, e soprattutto è cambiato l’atteggiamento del meridionale. Bene.

La guardai, in quei pochi secondi, con una certa compassione.

«Eccoti qua, non ti avevo visto, sai che io mi muovo fra un milione di persone, neh, senza alcuna difficoltà, e riesco a gestire la mia giornata intensa in una metropoli, neh, e qui, invece, in una piazza semi vuota, guarda, ti dico, mio caro Marco, ho avuto quasi, quasi paura. Certo qualcosa è cambiato giù da voi, neh, ma non vedo un certo, come dire, un certo importante movimento. Ma tu, ti vedo sempre lo stesso cugino mio, come se due anni non fossero trascorsi. Neh!»

«Bhe che dire, mi mantengo giovane» dissi sorridendo. «Vieni, andiamo a casa, ti porto da tua zia Carmela, lo sai, ha tanta voglia di vederti.»

Serie: Mia cugina Elena


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Conosco bene il “camaleontismo” di cui parli: diversi miei parenti, trasferitisi più su, hanno iniziato a prendere l’accento di ciascuno dei posti in cui hanno vissuto. Ho sempre odiato questa cosa!
    Questa storia continua a piacermi! 👍

  2. “Mi venne da pensare, in quei pochi secondi, che fosse finita al nord in mezzo a cattiva gente”
    Mi piace tantissimo questo passaggio e mi è piaciuto davvero tanto l’intero testo. Mi sono divertita in questa iperbole in cui mi hai trascinata dall’inizio alla fine. E poi, lo sai, che qui al nord i meridionali li serviamo al ristorante al posto della Milanese? 😂

  3. “mi sembrò come l’ananas sulla pizza”
    E se noi donne fossimo semplicemente prosciutto cotto sulla pizza, voi maschietti, di cosa scrivereste? E chi vi farebbe girare la testa? E chi vi incasinerebbe la vita? Io sto dalla parte delle donne che stanno come all’ananas sulla pizza e grido un ‘Evviva a loro!’

        1. 😁😁😁 dai a pensarci bene senza pizza con l’ananas, effettivamente, sarebbe una noia mortale. Hai ragione

  4. Bel racconto che mette in giusta luce i cambiamenti, spesso discutibili e a volte ridicoli, di chi, pensando di elevarsi, si appropria in tempi brevi di gestualità e dialettica estranei al mondo da cui proviene. Il mio cognome chiarisce che l’ origine siciliana di mio padre (dintorni di Siracusa), ma sono nato e cresciuto in Trentino, terra materna, e in Sicilia ci sono stato poche volte. Dico questo perché il tuo racconto mi ha ricordato dei parenti saliti quando già erano adulti e quanto mi sembrassero sciocchi nell’intestardirsi a parlare un dialetto che non era il loro. Ciao Nino, a presto!

    1. Ciao Giuseppe, in effetti il tuo cognome è diffuso proprio nel siracusano, mi fa piacere. Sì, mi sono trovato molte volte davanti a soggetti, come dici tu, intestardirsi a dare un’immagine non propria, sfiorando il ridicolo, forse essendoci proprio. In passato c’era una forma di “complesso di inferiorità”, non sto qui a parlare di questo ovviamente, ma oggi non penso ancora si possa assistere a certe scene. E non lo dico da meridionale, lo dico da persona senza geografia. Grazie