
Pagina bianca
Luca chiuse con stizza lo schermo del suo portatile.
Da un po’ di tempo era cosa consueta.
Da troppo tempo e troppo consueta.
Non gli riusciva di scrivere quattro righe che lo soddisfacessero; rileggendo trovava tutto banale o fuori contesto o inutilmente contorto. Più giovane sfogava la frustrazione trasformando i fogli scritti a macchina in palline di carta da cestinare ma l’uso del computer aveva tolto agli artigiani dello scrivere anche quella minima valvola di sfogo. Guardò dalla finestra, pioveva ancora e le nubi basse tra gli abeti creavano quel mondo grigio e senza tempo che lui amava. Si infilò la giacca deciso a farsi inzuppare da quella pioggia leggera e silenziosa.
Uscì, quasi euforico.
Non rimase all’aperto a lungo: solo quei pochi minuti necessari perché, tolto il berretto dalla testa, sentisse i rivoli d’acqua scendere dalla nuca sul collo e giù fino alla schiena; appena per il tempo di riempire i polmoni di quell’aria densa ed umida.
Si ripensò bambino a gioire delle stesse sensazioni.
Ebbe nostalgia e la scacciò a male parole.
Rientrò fradicio e desideroso di altra acqua, calda, sulla pelle. Dopo la doccia si avvolse un asciugamano sui fianchi e vedendosi riflesso nello specchio ricordò quanto era molto più sexy Elena con lo stesso asciugamano, avvolto più in alto, a coprire parzialmente il seno.
Anche Elena era un pensiero che voleva evitare.
Erano stati amanti ma tra loro non funzionò bene fin dall’inizio e scoprirono assieme che erano nati per essere amici e, per loro, fu una fortuna.
Capirlo insieme intendo, perché se è uno solo dei due che se ne accorge la sofferenza per l’altro è inevitabile.
Anche questo capita e avvertirlo in tempo evita molti problemi.
Tipo essere ex che si odiano.
Elena era anche la proprietaria della casa che aveva chiesto in prestito per fuggire dagli aperitivi serali che, immancabilmente, lo restituivano al suo letto sfatto (non il letto) ad improbabili ore mattutine.
Aveva detto all’amica che solo lì avrebbe ritrovato la scioltezza nello scrivere ma ora, trascorse due settimane, ebbe dubbi sulla sua sincerità o, perlomeno, sulla validità dei suoi propositi.
Aveva letto molto, Luca, prima di cimentarsi nel comporre e poi aveva continuato a leggere anche quando la sua mente dettava alle mani racconti che prendevano corpo velocemente e che lasciavano attoniti gli amici a cui li concedeva. Era conscio di non essere un eletto ma ciò che produceva, quasi esclusivamente per riviste e giornali, gli permetteva di vivere e di continuare a fare ciò che più amava che era, appunto, scrivere intrappolandolo in un gradito circolo vizioso.
Ora però quella sua facilità narrativa era venuta meno. Sapeva benissimo che nel blocco incappavano tutti coloro che avevano l’ambizione di considerarsi scrittori e sapeva che tutti si facevano l’inutile e odiosa domanda: “E se fosse per sempre?”
Domanda oziosa perché, in ogni caso, non lo era mai per sempre.
Gli tornarono alla mente le parole dette tanto tempo prima da un amico:
“Mi riesce di scrivere bene solo a Ponza davanti a una finestra affacciata sul mare o a Courmayeur al cospetto del Monte Bianco.”
Ricordò la risposta, acida e non proprio sincera, con cui lo bacchettò:
”Beato te! Io per scrivere ho bisogno di una camera buia e di assoluto silenzio perché di fronte a un mare o a un monte o a un riso di bambino o a un canto di donna mi blocco e penso che è già tutto scritto, se si ha la capacità di vedere e sentire, e qualsiasi cosa crediamo di aggiungere è solo nostra presunzione.”
Si perdevano spesso, assieme ad altri amici, in discussioni sulla funzione e l’utilità dello scrivere.
Inutili sofismi il più delle volte.
Quasi tutti riconoscevano che quella del saggista o del giornalista fosse una professione nobile, così dedicata al divulgare o all’informare, salvo in quelle occasioni, non rare, in cui si piegava a certe necessità politiche che ne inquinavano l’autenticità.
Ma lo scrittore di narrativa poteva vantare le medesime credenziali?
Giulio, uno del gruppo, affermò che lo scrittore è solo una puttana che, per un corrispettivo, si piega ai desideri del cliente esaudendoli.
Ricordò il moto di rabbia che dovette reprimere per rispondere con pacatezza:
“Non è così Giulio e, se non sapessi che la tua è solo provocazione, ti manderei dove sai. Se non avessi la certezza che scrivendo restituisco a chi mi legge parte della vita che non ha saputo, o voluto, vivere o sognare smetterei di farlo. Se noi diamo anima a personaggi di fantasia e chi ci legge si immedesima e li ama o li odia; se noi riusciamo a provocare emozioni solo mettendo in fila delle parole beh, credimi, non è prostituzione. Ciò che facciamo permette a molti di entrare in storie che mai sarebbe riuscito ad immaginare: ne è soddisfatto e il suo appagamento è la nostra gratificazione.
Se ci riesce abbiamo rinnovato la magia.
Perché scrivere, alla fine, è un grandissimo gioco di prestigio: dal nulla facciamo apparire persone che non esistono, raccontiamo vite che nessuno ha mai vissuto.”
Luca riaccese il portatile e restò a fissare la pagina bianca cercando nella sua mente il capo di quella matassa che gli riusciva difficile dipanare.
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Giuseppe! Hai il raro talento di rendere letteraria qualunque tipo di esperienza o di considerazione personale. Anche in questo caso sei riuscito ad appassionarmi narrando una storia senza trama, nata forse da frammento di discorso e pezzi di quotidianità. Ho sempre pensato anche io che la scrittura fosse un meraviglioso gioco di prestigio. Il più magico di tutti👏🏻
Ciao Nicholas, scrivere è veramente una magia! Riuscire a disporre le parole per esprimere, in maniera gradevole, emozioni e sentimenti è, per chi se ne lascia rapire, una enorme soddisfazione. Non tanto nella ricerca di plauso, che ci serve a ben poco, quanto nella riuscita di creare situazioni, personaggi, amori e sofferenze tanto vere quanto fittizie. Siamo i testimoni di una umanità in continuo mutamento e, scrivendo, partecipiamo e rendiamo pubbliche emozioni che sono di tutti e nelle quali molti trovano parte di se stessi e spesso ne ricavano conforto. Un abbraccio!!!
un modo assai lieve e gentile per parlare del senso che ha, o non ha, lo scrivere racconti – o romanzi, se vuoi. Porti in luce le domande che chiunque scriva si fa prima o poi e alle quali difficilmente si trova una risposta. Ma perché poi si dovrebbe trovare? Scrivere è un’attività totalmente arbitraria e gratuita e se c’è o non c’è un legame col mondo, o se ha o non ha effetto sugli altri e sul mondo medesimo, lo decide chi legge. Hai esposto tutto ciò molto bene e col giusto tono, molto efficace.
Bravo Giuseppe, un racconto di coraggio e di voglia di continuare in quello che ci sta piacendo tanto. Grazie
Grazie a te Cristiana.
Sei davvero un artista poliedrico.
Sono solo un artigiano caro Roberto!