PAROLE

Quando uscì dal proprio corpo vide tutto distintamente: le persone intorno affannate, i polmoni che si svuotavano con l’ultimo respiro, la pelle biancastra del viso tirare sulle ossa.

Guardò il dottore staccare cannule e flebo, poi lo osservò girarsi verso il macchinario pieno di lucette verdi e rosse, premere alcuni pulsanti e spegnere il display.

Poi vide tutto tingersi di grigio, perdere i colori; i suoni diventarono attutiti, lontani, infine inesistenti.

Il senso del peso completamente sparito: era come partire, senza muoversi; era come andare via, senza spostarsi.

Sentì il bisogno di gridare, ma le corde vocali erano rimaste attaccate al corpo, sterili; cercò di piangere, ma le lacrime navigavano dietro agli occhi, ormai chiusi.

Era improvvisamente un nulla indefinito, ma presente e tangibile; un vuoto denso e pesante; una sinfonia di silenzi.

All’improvviso vide passare, come su uno schermo, tutte le parole della sua vita; dalle iniziali incerte e imprecise di quando era bambino, fino alle ultime. Buone e cattive, tutte a inseguirsi come in un grande girotondo, un danza muta: le prime a comparire lentamente sparivano, per lasciare il posto ad altre; così la lavagna nera diventava un foglio bianco pieno di maiuscole e minuscole, e poi canzoni al refettorio seguendo la voce di suor Maria, gli inni allo stadio, discussioni e litigi in ufficio, frasi d’amore sussurrate, poesie e pagine di diario, fino alle parole più recenti, cariche di rimpianti e di dolore.

Nessun dolore, adesso, ma pure nessun piacere; un cielo profondo e incolore, senza nuvole e senza sole.

Sentì nostalgia, allora, della vita: di vedere ancora un enorme arcobaleno, tra due montagne, dopo la pioggia.

Sperò di ritornare presto in un altro corpo; in pochi giorni, o qualche secolo: anche il tempo ora aveva un diverso significato.

Si accorse di provare ancora un sentimento, però: la speranza.

E dolcemente si lasciò avvolgere, dal più grande mistero.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Leggendo questo pezzo mi sembra di rivivere uno di quei déjà vu tanto affascinanti. Ricordo che quando ci si osserva da fuori, non si riconosce neanche il proprio corpo. Immagino perché la memoria risiede tutta in quell’involucro inerte e quindi quello che ti resta sono solo le emozioni, i turbamenti, le eccitazioni, ma scollegate da tutto. Bellissimo pezzo furioz! Forte e soave al tempo stesso.

    1. Grazie.. ma è un pensiero che mi “perseguita” da tempo: dove vanno a finire I ricordi quando la vita finisce? Mica sono dentro al cervello.. mica c’è un serbatoio..

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  2. Che dire…. tratti due temi profondissimi come la morte e la reincarnazione in poche righe e con grande eleganza, complimenti.

  3. ‘Sentì nostalgia, allora, della vita’. Bellissimo questo passaggio. Ce la vogliamo raccontare quando pensiamo che morire sia la soluzione ai problemi. Ce ne convinciamo perché siamo delicati e fragili, perché siamo esseri umani e spesso abbiamo paura. La soluzione invece andrebbe cercata proprio là dove troviamo dolore e sofferenza, che fanno parte della vita. Mi colpisce la solitudine del protagonista che hai saputo così bene descrivere in un letto di ospedale. Forse è per questo che alla fine decide di ‘lasciarsi avvolgere, dolcemente’. Credo che questo racconto sia più una metafora e un grido di aiuto. Molto bravo tu nel saper descrivere in maniera così incisiva e delicata.

  4. “Era improvvisamente un nulla indefinito, ma presente e tangibile; un vuoto denso e pesante; una sinfonia di silenzi.”
    È come poesia. Ho apprezzato davvero molti passaggi di questo testo. Se immagino come potrei lasciare questo mondo, sarebbe proprio questo il modo più vicino alla realtà, secondo me. Complimenti.