Per tre punti passa l’infinito

Serie: Per tre punti passa l'infinito


Autobiografia con delle riflessioni su tre aspetti fondamentali: il rapporto con sé stessi, con dio e la fede, con l'amore. Alla ricerca dell'infinito, passando da tre punti chiave della nostra esistenza. Tre sono infatti i cardini attorno a cui ruotano le riflessioni, tre sono gli epi

Il 3 è la sintesi del pari (due) e del dispari (uno).

Mica lo ha detto uno qualunque, lo affermava Pitagora più o meno nel primo secolo avanti Cristo.

Che noi a scuola diventavamo matti a cercare di capire la teoria delle proporzioni, la matematica che sbuffava dalle pagine dei libri, e noi sbuffavamo sui teoremi di geometria, filastrocche alchemiche che legavano cateti e ipotenuse, triangoli a numeri, noi all’universo.

Lo ricordiamo tutti, a memoria, che il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Una proposizione che parte da delle condizioni prestabilite e per attestarne la veridicità, come se non bastasse, si doveva pure dimostrare.

Ma perché dimostrarlo? A noi bastava avere enunciato la pozione magica, in piedi di fronte al banco. Non eravamo altro che tenditori egizi di funi, piccoli babilonesi fieri della cantilena imparata a forza di ripeterla.

Non abbastanza saggi da comprendere che la realtà si definisce in numeri, e che la matematica (dal greco μάθημα, mathema, ciò che si impara) è conoscenza. Quindi conoscere i numeri è conoscere la realtà.

Realtà racchiusa in un universo finito – diceva sempre il nostro Pitagora – ordinato, armonico. Tutto calcolato con i numeri, appunto, che definiscono regole e relazioni.

È tutto lì, davanti a noi, perché dimostrare qualcosa di evidente. Guarda il 3 per esempio. Tutto perfetto, niente da dimostrare.

Pitagora era saggio, lui. Un occhio ai triangoli per dimostrare che si potevano dividere i terreni usando il suo teorema, e uno all’universo, per dimostrare che con i numeri teneva tutto sotto controllo. Tranne l’anima. Quella è divina, e quindi immortale. Quella non la poteva controllare.

E quindi meglio pensare ai numeri, che attraverso quelli poteva purificarsi l’anima perché grazie a loro poteva raccontare di avere compreso la struttura dell’universo e l’ordine delle cose.

Beh, vista da questa prospettiva allora è un po’ più complicato in effetti, professoressa un po’ ha ragione a chiederci di dimostrare che se riesco a tenere sotto controllo un angolo retto, con qualche linea tracciata sul foglio con matita e righello, allora posso dimostrare di essere in grado di tenere sotto controllo l’universo intero.

Mettendo in fila entropiche masse di ragazzini e ordinandole secondo le regole della geometria e del buon senso si mette ordine al mondo.

Ci servirà, in futuro, mettere ordine, quando saremo grandi e di cose da ordinare ce ne saranno davvero tante.

Sarebbe stato più semplice fidarsi di quello che scriveva Pitagora e prendere per buono quello che affermava lui, su quanto è ordinato e armonico il tutto che ci circonda, senza chiederlo a noi che per natura siamo quanto di più lontano da ordine e armonia si possa pensare, noi che siamo bombe ad orologeria, vogliamo scoprire il mondo, le file ordinate non le comprendiamo cosi come i teoremi che ci viene chiesto di dimostrare.

Ma poi crescendo cominciamo a vedere i numeri osservando le più disparate e meravigliose forme che rappresentano il mondo intorno a noi. Se pensiamo ai numeri non solo come simboli che servono ad esprimere misure e quantità, ma come entità che vibrando collegano l’essere umano all’intero universo, allora li riconosciamo nella musica e nelle sue armonie, nelle esistenziali forme geometriche che la natura mostra, nella ripetitività o sincronicità di certi eventi.

La spirale aurea, ad esempio. Una struttura che riflette una successione matematica rappresentata da un numero (il numero 1,618) che a quanto pare è un piacevole rapporto tra dimensioni che la natura ha deciso di applicare in numerose forme: dai fiori alle piante, dai cavallucci marini alle conchiglie. Le onde del mare, l’uomo stesso (ebbene sì, pare che anche la proporzione tra le dita di una mano sia governata da quel rapporto numerico.

Ma torniamo al 3.

Sintesi assoluta della perfezione, cielo-terra-uomo che per i cinesi è la totalità cosmica, le triadi divine induiste e la trinità cristiana, le tre dimensioni, i re Magi, le tre cantiche di Dante, da cui derivano i 33 canti e i nove (tre per tre) gironi infernali, padre madre figlio – che poi le famiglie sono tutte allargate, i tre porcellini, i tre dell’Ave Maria, il tre come mediazione nelle vendite, gli ingredienti della pizza (pensate un po’, e qui mi soffermo su qualcosa di più mistico delle terne religiose: pomodoro mozzarella e basilico, farina acqua e lievito (sempre tre), tre grammi di lievito ogni 30 chili di farina, lievitazione fino a 72 ore (tre giorni, appunto).

Ti do tre opzioni, vieni qui che non ti faccio niente ma conto fino a tre, tre tigri contro tre tigri, chi fa da sè fa per tre, non c’è due senza tre, tra i due litiganti il terzo gode, Gesù Giuseppe e Maria, la triplice luna (piena, assente o parziale), vita morte e rinascita.

Quanto vibra il numero tre.

È un numero magico, come cantava Bob Dorough.

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Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Benissimo, anche chi non ricordava il teorema di Pitagora o non sbuffava sulle equazioni, perché era una pippa colossale in quella materia là (altra grande tematica: perché in questo paese siamo tutti umanisti?), adesso può riprendersi una piccola rivincita privata, e trarre giovamento dalla scrittura divulgativa e intelligente di Luca. Mai riflettuto così tanto sul numero 3. Attendo gli altri episodi…

  2. Da curioso patologico, questa disquisizione sul numero tre e su come i numeri siano l’alfabeto dell’universo mi ha davvero colpito! Credo tu abbia reso giustizia ad una scienza spesso bistrattata e vista come “senz’anima”.