Perdersi e disperdersi

Osservo il fumo disperdersi, mentre assume direzioni diverse e sconosciute. Chissà verso quali mete ignote si sta dirigendo, e con quale intento. Vorrei essere anch’io una di quelle diramazioni, per volare lontano, senza avere bisogno di conoscerne il perchè. Senza quella disperata ricerca di un senso che mi attanaglia, stringendomi e soffocando ogni respiro spezzato.

Forse allora riuscirei a raggiungerti.

Se qualcuno mi avesse detto che quella ragazza, con quegli occhi così sproporzionatamente grandi, così maldestra, così disinteressata agli altri e a se stessa, tanto da mostrarsi superflua allo sguardo dei molti, sarebbe stata la fonte della mia follia, non gli avrei creduto. Anzi, avrei di certo pensato che si trattasse di un pazzo, o ancor peggio di un romantico.

Ora parliamo, beviamo, fumiamo, cercando di scavalcare barriere che ci sfigurano lo sguardo.

Spesso ci capita di ridere insieme, adoro quei momenti, mi fanno credere che tu possa comprendere la grandezza di ciò che il tuo sorriso ha lasciato cadere in me. A volte vorrei che tu fossi in grado di spiegarmelo, quando io mi sento troppo perso per credere che qualcosa abbia un senso.

Forse caricare eccessivamente di significato la vita alla fine ti porta a credere che niente abbia un motivo o una ragione di essere. Io però ho ancora troppo paura del grigiore che la vita mi potrebbe mostrare se non mi sforzassi continuamente di dipingere la tela. Cambio pennello, cerco colori non ancora dipinti, giro e rigiro la tela finchè questa non mi parla, dicendomi di stare tranquillo.

Il suono della tua voce mi calma, come un bambino è tranquillizzato dal calore delle coperte e del corpo della madre, in quelle notti in cui il buio avanza, aumentando il passo di continuo.

Le tue labbra si muovono rapidamente, intralciandosi tra loro di tanto in tanto. Stai provando a dirmi qualcosa. Cosa? Non capisco, non ho mai capito. Mi racconti di te, della tua famiglia, del ragazzo con cui stavi. Non vorresti parlarne, ma io continuo a spingerti a farlo, per quanto male mi faccia, come se avessi bisogno di aiutarti a essere veramente te stessa, per essere veramente me stesso. I tuoi sogni, le tue paure, le scelte da compiere e quelle già compiute, molte delle quali destano in te rimorso. Guardiamo casa tua dall’alto e, mentre cerco di tenerti vicina, mi scopro con paura ad osservare il tuo sguardo trasognante che cerca la strada in grado di condurti via, il più distante possibile. Lontano da quel mondo, da tutto, lontano da me, da te.

Mi specchio nel tuo dolore, ciò mi spaventa, ma al contempo ne sono attratto, e mi domando il perchè. Come mai siamo così affascinati dalle persone che soffrono? Attribuiamo un valore enorme alla sofferenza. Tutti quanti desideriamo partecipare alla straziante danza intorno a quell’unico fuoco universale, nel quale, avvicinandoci sempre più, speriamo di scottarci, incidendo sul nostro corpo abrasioni che potremo mostrare al mondo con orgoglio. Siamo dannatamente bravi a mascherare la nostra volontà autodistruttiva come un indesiderato scherzo del destino.

Vorrei aiutarti, tranquillizzarti, ma non ne sono in grado. Ti parlo, e tu fingi che in quelle mie parole vi sia davvero qualcosa, che non si perdano nel vento caldo che ci soffia addosso, scompigliandoti i capelli, rendendoti così bella.
Sai quanto mi fa male quando cerco di coglierti e tu mi sfuggi.

Ancora mi convinco di intravederti in ogni alba e ogni volta che il mare si fa violento, nelle strade della mia città, e in quelle della tua. 

Girovagando nel fumo del passato ho perduto la capacità di distinguere il presente, alla continua ricerca di un’amnesia fatale che si offra di salvarmi.

Ho allungato la mano fino a sfiorare la felicità con le punta delle dita. Poi, improvvisamente, sono riuscito ad afferrarla, per quelli che ora mi sembrano essere stati pochi, illusori istanti. Prima che riuscissi ad accorgermene, la mia mano era vuota, gelida. Mi eri già scivolata via, veloce come sei arrivata.

Non ricordo quanto tempo sia passato, i tratti del tuo viso iniziano a sfocarsi al pensiero, divenendo persino più angelici. La memoria sfigura il ricordo, rendendolo più piacevole. Tutto di te si sta allontanando, librandosi dolcemente in cielo, proprio come vorresti tu. E io, patetico testimone di un modo sbagliato di intendere le cose della vita, non posso fare altro che rimanere a guardare, mentre alta ti disperdi, unendoti alle stelle.

Di recente ho scoperto di amarti, proprio ora che non ci sei più, che te ne sei andata. Poi ci ho ripensato: l’amore non si scopre a posteriori, o si vive, o si invecchia, pieni di nostalgia, di ricordi dolceamari, ma non certo di amore. 

Dunque, ti ho dimenticata.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “l’amore non si scopre a posteriori, o si vive, o si invecchia, pieni di nostalgia, di ricordi dolceamari, ma non certo di amore. Dunque, ti ho dimenticata.”
    Parto da questo finale che hai scelto e che mi ha decisamente colpita. Forse un pensiero che non facciamo mai, convinti come siamo che l’amore sia uno stato d’animo, una euforia, quasi totalmente vissuta nel nostro immaginario, dove ci possiamo crogiolare e dove possiamo amare secondo i nostri canoni. Ma tu ci ricordi che l’amore è un’altra cosa, che l’amore si vive. Mi è piaciuto questo tuo racconto che assomiglia a una pagina di diario, a una lunga riflessione. Inoltre, scritto molto bene, valore che non deve essere dato per scontato.