Prede di don Sariddu

Serie: Ziu Pippinu


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Saretta fa una controproposta a don Sariddu

Franca rimase di pietra. Taliava a sua suocera con stupore. Cosa aveva fatto? Non sapeva se dare un senso al suo sguardo di ringraziamento o di rabbia, non sapeva bene il perché sua suocera sarebbe andata al suo posto. Lei, l’idea di mettere fine a quella storia con quel porco, non la lasciava un attimo.

— Facciamo una cosa. Sono un genio certe volte. A dir la verità mi ci portate voi ad esserlo. Vedrete che la mia idea vi piacerà, mia bella Saruccia e bellissima Francuzza. Mi immolo io! Bene, ce ne sarà per tutte e due. Sono un uomo molto generoso iu, non voglio vendere le mie virtù, ma vi assicuru che so quello che dico. Ma ne sarete testimone.—

— Don Sariddu, lei non si smentisce mai. — disse Saretta ‘ncazzata (diciamo: adirata)

— Mi offro io e basta e manco, arrivati a questo punto, o io o Franca, se vuole ci sono io e basta!—

— Ehi ehi, mia dolce Saruccia, la mia bella suocera che detta condizioni. Saretta, mi sono espresso più che chiaro. Tutt’e due! Prima Franca e poi tu. Questa bella figliola ha la precedenza però. —

Saretta lo taliava su quale parte del corpo lurido puntare e sprofondare il coltello che portava con sé. Se ne aggiunse un’altra opzione, sulla lingua, si, piantare il coltello su quella linguaccia e poi tagliarla e buttarla ai porci, dove sarebbe dovuta stare sempre. Le tremavano le ciglia. Taliava don Sariddu con una certa difficoltà, la figura impassibile di quell’uomo trimuliava (tremava) davanti ai suoi occhi. Cercò di calmarsi un po’ poi disse:

— Voglio vederi ma figghiu, sanu, e prima a mia, io ho avuto l’idea, a me tocca la priorità, anzi le dico che non se ne pentirà, lo sa no? Le fimmine con una certa esperienza non hanno niente a che vedere con le ragazze. Nun vuogghiu vendere nemmenu iu le mie virtù. —

— Gaetanu! Gaetanu!— gridò don Sariddu.

Dopo pochi istanti li raggiunse l’omone.

— Sì, comandi! —

— Porta qua il picciuottu che lo vogliono vedere le mie ragazze. Alliestiti! (sbrigati)—

— Sissignori.—

Gaetanu sparí.

— Beni, accetto la tua ultima offerta. Sei veramenti una bella donna. Che cosa vuole uno dalla vita. Ho davanti due belle fimmine che fra poco saranno mie!—

Don Sariddu ormai non usava nessun filtro, era alquanto eccitato. Taliava a ma figghia e sua nuora, nude! Fissava il suo sguardo sui seni di Saretta, ed una volta lasciata libera Franca, le guardava il sedere. Così in modo spudorato.

Il signorotto era sposato, si Pitruzzu, tu ti stai chiedendo questo, era sposato e per giunta sa mugghieri era in casa. Ma saprai quanto valeva quella! A volte doveva sentiri i gemiti di suo maritu e della fimmina di turno senza che potesse dire e fari nenti. Diciamo che sapìa prima di sposarselo a cosa andava incontro. Le stava bene così. Era sempre convinta che quelle distrazioni eranu, sicuramente, senza nessun dubbio, diritti acquisiti dal suo amato. Debiti di gioco, offese varie, favori, traffici vari, insomma faceva parte del loro matrimonio. Era un uomo d’affari don Sariddu, quindi ci rientravano anchi queste cose che potevano sembrari fora ro munnu (fuori dal mondo) ma in realtà era cosa normali. Anzi, e questa Pitruzzu te la confido, si sparse voci che la signora vulìa che suo maritu consumassi il suo diritto nella stanza accanto alla sua. Era, diciamo contenta, un diritto acquisito voleva dire benessere in più. E si faceva raccontari tuttu poi. Insomma in quella villa a volte c’era u cinima(il cinema). A lei bastava una, due volte al mese, era più che sufficiente. Lasciava a don Sariddu tutte le forze necessarie per lavorare. Alle sue intime amiche raccontava che era la vita per lei, anzi ne godeva. Ma quali corna, quelle hanno senso se sono fatte all’insaputa, lei no, lei era a conoscenza e voleva beni sempri di più al suo sposo. Davanti a suo padre, rattristato per la scelta che lei aveva fatto, raccontava che gli disse:

“papà io so quello che faccio, può non piacerti, ma ti assicuro che non è quell’uomo che descrivono, è di sani principi, stima le donne, le tratta bene, e mi ha assicurato un futuro diverso da qualsiasi altro uomo”.

Non diceva quello che suo papà le rispose però:

“ Foggia mia, nella vita si scegli il proprio destinu, dipendi quello che si vuole, tu vuoi fari na fimmina senza sensu, tu ti presti con lui a essiri un oggettu, nu divirtimientu, si, avrai na vita agiata, non avrai pinsera di soldi, ma a chi prezzu? E poi, sientimi, con uno come Sariddu non sei mai al sicuro, questa vita può caderti dalle mani all’improvviso, così di punto in bianco si fa notti”.

Ma la figghia diventò la mugghieri di don Sariddu. Erunu passati vent’anni e lei, come ti ho detto era felice na Pasqua! Suo patri se ne morì poco dopo il loro matrimonio, lasciando detto ai parenti stretti e agli amici intimi, dite a ma figghia che vita ne abbiamo una sula!

Eh si, vita ne abbiamo una sula caru Pitruzzu e lo doveva capire anchi tuo papà.

Peppi era stato portato in una stanza quasi vicino a dove si svolgevano i fatti che ti sto raccontando. Venne portato di peso da Gaetanu. Lo teneva stretto per le braccia piegate tutte e due dietro la schiena e lui curvo in avanti quasi nun respirava. Appena fu liberato da quella presa si accorse che in quella stanza c’erano altre due persone, un giovane dalla barba lunga e uno sguardo che incuteva terrore, aveva un occhio che stentava a guardare dritto, un po’ più grande dell’altro, rosso fuoco, come se qualcuno gli avesse appena infilato un dito nella pupilla, l’altro occhio era fisso, immobile, tanto da far pensare che fosse di vetro. Peppi appena lo vide sì confuse oltre ad avere un senso di paura, preferì non guardarlo, gli fissò le scarpe. Si accorse che agitava una gamba continuamente.

L’altra persona era un po’ più grande di età, sui cinquanta, si chiamava Turi. Era pelato, un po’ di pancetta e scricchiolava continuamente le dita, più lo faceva più rideva, più rideva e più i suoni che uscivano dalle sue mani erano forti e minacciosi. Un baffo che avvolgeva tutto il viso inferiore dava quella sensazione di rabbia e potere. Peppi ebbe appena la possibilità di guardare in fretta l’uomo,

che si ritrovò seduto su un divano, scaraventato con una certa decisione.

— Stai ca con nuiautri (noi) ‘npuzzuzzu (un pochino). Ti rilassi e ti guardi la televisioni — sentì dirsi da Turi.

— Turi, u picciuottu è bravu— disse Gaetanu

— Ora si calma, e puoi viriemu (vediamo) cosa c’è da fare. Don Sariddu perderà tempo piensu. Avi magnu (ha molto) chi fari con quelle due fimmine.— continuò Gaetanu sorridendo.

Pitruzzu, tuo patri, com’era naturali, ebbi l’istinto di alzarsi, di difenderi l’onori delle sue donne. Non sopportava niente di quella villa. Non le era mai piaciuta, ora a maggior ragione ne era schifato, perché oltre a quella casa orribile, secondo lui, una porcheria di costruzione, chi ci abitava era della peggior specie umana. Ma come mai si era trovato a giocarsi la sua vita con quelle persone? Come non aveva potuto capiri che era una partita persa, era u pollu della situazioni. U sapía (lo sapeva) ma ha voluto giocarsi la carta della fortuna. A volte voler accorciare strada porta a vicoli stretti e bui caru Pitruzzu. Tuo patri si è perso nella sua menti, vedi, quannu si sposò, chiamai a tua mamma e volli dire a lei di stari attenti a quel picciuottu, aveva bisogno che lei ci stapìa o cantu (gli stava accanto) e non lasciarlo mai. M le ristrettezze economiche e la voglia di fare come altri lo portarono in quei vicoli là. Franca mi guardò preoccupata in un primo momento, poi con dolcezza mi disse, ziu Pippinu, ci pienzu iu. So le sue debolezze, grazie comunque, ma credo di salvarlo.

Beh caru Pitruzzu, non è andata così. La prima volta che si arrese, vinni (venne) da me e mi disse di stari attentu iu a Peppi, lei lo aveva visto mancare giorno dopo giorno. Lo vide cedere, come fa un pallone quannu ci togli l’aria dentro. Che vuoi che faccia? Peppi è grandi, ha una compagnia strana, ma vediamo cosa posso inventarmi. Nel frattempo a me sono successe tante di quelle cose strane e, diciamo, l’ho perso un po’ di vista. Lo vedevo più nelle chiacchiere al circolo che di persona. Quannu alzò le mani a tua matri, per me era un uomo morto. Lui stesso si era condannato e dannato, e come hai visto, come ora ti dico, ancora una volta, quella sera fu l’ultima volta che se ne seppe qualcosa.

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