Quale soluzione?

Serie: Ziu Pippinu


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La proposta viene elaborata dalla madre e dalla moglie di Peppi

Quannu arrivò a casa, con sua sorpresa trovò mia figghia, tua nonna. Tuo patri non vulìa parlari più di tantu davanti a sua madre, cercò di nascondere il suo stato d’animo, ma non seppe farlo. Anchi perché davanti aveva le due fimmine che lo conoscevano più di tutti gli altri. Peppi con grande difficoltà raccontò quello che era successu alla villa del “bastardu”, così lo chiamò per tutto il conto, e che vulìa entro due giorni i soldi indietro. L’unico che poteva aiutarli era Lu zu Pippinu. Ma comu sapieunu (sapevano) tutti, non era aiutu che potevo dari iu.

Tuo patri, Pitruzzu, meritava vedere la morte con gli occhi, vedersela davanti, scantarisi(spaventarsi) sul seriu e ravvedersi. A tua nonna alla fine nun seppi fingere e taliando negli occhi a tua matri disse la verità, la vera intenzioni di quel bastardu. Tua matri scoppiò in lacrime, si sedette sul divanu e non alzava la testa da terra. Mia figghia rimasi eretta, nella sua orgogliosa fattezza femminili, prendendo quelle paroli come una sfida.

— Lo vado ad ammazzare io stessa— disse Saretta, con rabbia senza muovere granché le sue labbra chiuse, serrate dal dolore.

— Mamma!— gridò tuo patri. — Non puoi dire sul seriu. Dobbiamo trovare una soluzione insieme, senza ad arrivare a fatti estremi. Non certu lo dovresti fare tu casomai.—

— Peppi, di seriu c’è che tua mugghieri sta in periculu. Don Sariddu la voli. E sienti a mia, sarà difficili fermarlu.—

— Possiamo fare un tentativo tutto e tre prima dal zu Pippinu e casomai andiamo a trovari o bastardu.— disse Peppi.

— Da mio patri è inutili andari— disse ma figghia. E aveva ragione. Iu di tuo patri, mi dispiaci ribadirlo, non ne volevo sapere nulla, pi mia doveva uscire dalla mia famigghia. Voi due, tua mamma, seppur ora in pericolo, si, eravate parte del mio cuore, ma lui, lui no.—

— Ma era sempre il padre dei tuoi nipoti. Non è per giustificarlo, non ho niente da difendere, ma i tuoi nipoti, noi, c’eravamo grazie a lui.— disse con dolcezza Pitruzzu.

— No. Un patri non è chi ti mette al mondo, è questo tu lo sai meglio di me. So che è una cosa che dicono tutti, ma è la verità. Punto. Lui non era vostro patri, era il genitore, colui che si è messo con vostra matri, e basta. Per il resto, matri e patri sono finiti nella stessa persona, Francuzza. Pitruzzu, non voglio infierire ancora su quell’uomo, non farmi parrari di più.—

— E tu non lo fare. Mi fa male comunque sentir giudicare mio padre in questo modo. Oggi ho diciassette anni, e non c’è stato un solo anno che qualcuno mi abbia parlato bene di lui, ma, nonno, credimi, non ne posso più.—

Pitruzzu taliò negli occhi allo zu Pippinu, il quali non seppi rispunniri.

— La mamma non ne parla mai.— continuò Pitruzzu. — come se fosse stata sempre da sola a questo mondo e che noi, io e mia sorella, fossimo stati dati a lei dall’universo. Una forza misteriosa aveva deciso che lei doveva occuparsi di noi a tutti i costi. A tutti i costi! E così ha fatto.—

— Tua matri era perfetta. Aveva commesso solo un errore. Quannu andarono da don Sariddu, tutti e tre, lei era rassegnata. La sua intenzione nella sua mente era più che chiara. In ballo c’eravate voi, non poteva sorvolare e fare finta di niente. Se avesse avutu sulu a Peppi, mi devi credere, lo faceva friggere nel suo stesso olio. Ma aveva voi. Non poteva permettersi di stare con le mani in mano.

È chiaru ca tuo patri sotto sotto voleva risolvere la questioni senza tirari fora i soldi, non li aveva! L’alternativa era il sacrificio di tua madre. Non lo disse mai, ma sono sicuro che sotto sotto ci spirava.—

Il picciuotto ascoltava in silenziu, sapìa della storia naturalmenti, e sapìa com’era andata a finiri. Però ascoltava lo zu Pippinu come fosse na storia nova, come quannu uno, pur sapiennu come finisce, spera in un finali diversu. Donava i suoi occhi spalancati un po’ umidi di lacrime, le sue orecchie tese come un animale attento a qualsiasi suono particolari ca putìa(poteva) nèsciri(uscire) alla bocca di zu Pippinu.

— L’indomani di questo incontro, era un sabato, per le strade c’era magna(molta) gente. La strada principale, quella che dovevano fari loro, era particolarmente affollata. Erano le nove del mattino. Una giornata di sole, come al solito, era circa quindici mesi che non si vedeva acqua decente cadere dal cielo, il che rendeva tuttu aridu e secco, l’aria trasìa(entrava) dalle narici, ustionandole un po’. Non rari erunu gli starnuti di rifiutu di quell’aria rovente e polverosa. Alcune fimmine si sciusciavanu(soffiavano) addosso quell’aria calda con ventagli improvvisati, chi un fazzoletto, chi con un foglietto, una pubblicità che aveva trovato un senso, chi con una manu cercava di fari altrettanto, ma ti lasciu immaginari cosa si poteva otteneri. Loro attraversarono la piazza dedicata a Garibaldi, Pitruzzu, non apriamo questo argomentu, poi un giorno ti racconterò la mia su questo personaggio, comunque sia, quella piazza era stata dedicata a iddu, mah! Attraversarono quella piazza non evitando lo sguardo divertito delle persone che si truvavunu là. Tutti i ventagli per un attimu non mossero mancu un filo d’aria. Tutti erano presi a fissari i tre parenti che andavano verso la villa di don Sariddu. Era un sabato rovente in tuttu. Chissà come andrà a finiri la storia. C’è da diri che quella proposta indecenti che quell’animali aveva fatto a tuo patri, uscì dalla villa per finiri nelle orecchie di tutti i paesani praticamente nello stesso tempo che fu detta. Tutti sapieunu di quella storia. Tutti sapieunu che tuo patri era un perdenti della vita.—

Pitruzzu abbassò la testa in segnu di umiliazioni, ascoltava a zu Pippinu e sapìa che doveva ancora sopportari tutte quelle qualifiche che a Peppi, suo patri, gli affibbiavanu.

— Pitruzzu, scusa se parlo così di Peppi. Non ti scordari che mi ha rovinatu. Non puozzu(posso) diri cose diversi. Pazienza ragazzo mio, pazienza.—

Zu Pippinu si fermò un attimo. Stette in religioso silenzio. Tirò un bel tiro dalla sua pipa e a Pitruzzu, una volta alzato la testa perché non lo sintìa(sentiva) più, parse di intravedere una timida lacrima mischiarsi al fumo che di prescia coprì tuttu.

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