Volere e volare (episodio 3 di “L’incidente”)

Nei due giorni che seguirono (ammesso che fossero giorni, sempre con quella luce piena, senza mai la notte, chi poteva misurare il tempo correttamente?) non mi feci vedere molto in giro.

Non so bene nemmeno io a cosa pensassi, ma di certo pensavo un sacco. Ero quasi sicuro che mi uscisse il fumo dalle orecchie.

Mi pareva di essere in trappola, in un certo senso. In trappola dentro lo sguardo di qualcuno che non ero più soltanto io.

Perché certo, Ariel mi aveva inquadrato benone. Non mi ero mai reso conto, fino a quel momento, che il pulsare sordo di un’idea fissa in fondo alla mia testa fosse proprio questo: una gran voglia di volare.

Avevo passato tutta la vita a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato in me, che mi relegava all’angolo dell’azione, invece di spingermi in mezzo all’arena, a fare smorfie e boccacce e capriole, come vedevo fare a tutti gli altri.

Avevo finito per convincermi che loro sapevano cosa volevano, e io no. Ero una specie di rifiuto, qualcosa che l’evoluzione lascia da parte. L’inadatto, il non competitivo, quello meno pagato, meno acclamato…

Ma la realtà era molto più semplice di così. Io ero nato per volare; solo che avevo paura di farlo.

Tra l’altro, quand’è che mi ero trovato abbastanza in alto da scoprire che soffrivo di vertigini?

No, no. La verità era il volo. Il resto erano alibi.

Andai da Buster.

“Ci provo.”

Si stava rammendando la blusa colorata, e per un secondo ebbi l’impressione che non sapesse di cosa stessi parlando. Mi guardò con aria comprensiva.

“Senti, non devi mica farlo solo per lei. Lo sai come sono fatte le donne, vedrai che le passa…”

Ingoiai amaro. Era chiaro che Ariel era l’unica a darmi fiducia. Beh, pazienza. Era ora di tirare fuori il vero Gringo dall’armadio della mia vita.

“Non è per lei. È per me.”

Buster piantò gli occhi in fondo ai miei. Restò zitto un bel po’, mentre la sua espressione cambiava, da divertita a interessata.

“Per la miseria!” esclamò, decisamente sorpreso, battendomi una spalla.

“Che succede?”

“Lo vedo anch’io! Una gran bella voglia di volare, proprio in fondo ai tuoi occhi! Ma dove l’avevi nascosta?”

Poi si buttò la blusa su una spalla e mi indicò la pista centrale, con un inchino scherzoso.

“Da quella parte, ragazzo mio! Cominciamo subito!”

All’inizio stentavo a lasciarmi andare. Pretendevo certezze. Non volevo saperne di lavorare come lavorava Buster, senza la rete di protezione.

“Se sbaglio una presa vado giù da quindici metri, cazzo!”

Perché sì, avevo imparato a dire le parolacce, cosa che non avevo mai fatto, nel terrore che mi rendessero visibile.

Adesso imprecavo come un vecchio marinaio ubriaco – e Dio, se mi piaceva!

“Stai tranquillo” rispondeva Buster, volteggiando verso di me, appeso per le gambe al suo trapezio, mentre aspettava che mi decidessi a venirgli incontro a mezz’aria. “Non ti capiterà niente, sei nato per questo!”

Ma dopo un paio di volte acconsentì a lavorare qualche giorno con la rete, intanto che prendevo confidenza.

“La rete” mi confidò, mentre fumavamo una sigaretta “serve solo a ricordarti che non hai le ali. L’unica cosa che non devi mai, per nessun motivo, ricordare.”

Certo, aveva ragione.

Andai giù un bel po’ di volte, su quella rete, e ogni volta, giusto un secondo prima, avevo pensato di non potercela fare.

Dopo due giorni così, persi del tutto la pazienza.

“Leviamoci di torno quella rete di merda!”

Ma, quando vidi che davvero la ripiegavano, la sabbia della pista mi sembrò atrocemente vicina, e per non pensarci, mi misi a ridere, e cantai forte, mentre volavo incontro a Buster.

“…cosìsenzaaggrapparsiallaringhieradiuneffimerapoesia… lalalalalalà…”

Le mani di Buster mi afferrarono saldamente per i polsi. Fatto.

Lo sentii ridere forte, sopra la mia testa.

Quella sera, al riparo nella mia tenda, finalmente solo, mi girai e mi rigirai a lungo, senza potermi addormentare.

“Sono un trapezista.”

Lo dissi a voce alta, perché non ci potevo credere. Immaginai di avere di fronte mia nonna, come il giorno della mia laurea. Lei mi guardava, dritto negli occhi, e diceva:

“Sei sicuro che sia questo, ciò che vuoi fare?”

E io, senza nessuna esitazione, rispondevo con la voce ferma, e la mia nuova, meravigliosa sicurezza:

“Certo. Sono un trapezista. Non lo vedi, in fondo ai miei occhi?”

Era una fantasia bellissima, e dopo un po’ mi girai su un fianco e mi addormentai.

Sognai che passavo da una tenda all’altra, saltellando come un bambino.

Dietro ogni tenda c’era una diversa performance. Alcune le conoscevo già, altre mi erano del tutto sconosciute. Capitava che gli attori mi venissero incontro infuriati, agitando le braccia e facendo versi strani, gutturali, come se non sapessero più parlare, o fossero troppo arrabbiati per trovare le parole.

Era l’anima più oscura e antica del circo, quella che dardeggiava dai loro occhi offesi, e mi riempiva di terrore, tanto che scappavo con il batticuore.

Ma c’era anche un grande divertimento nello sfuggire alle loro minacce. Ero come un bambino che fa ciò che gli hanno proibito di fare, per il gusto segreto di sfidarli a prenderlo, se ci riescono.

Poi, mi passò accanto Ariel. Era vestita in modo strano, con un camice verde, una mascherina sul viso e una cuffietta stretta sulla parrucca di scena.

Le andai dietro senza parlare. Camminò fino in fondo, ad una tenda rossa.

Mi avvicinai. Da dentro, veniva un rumore strano, difficile da decifrare. Somigliava a qualcosa che conoscevo, ma non riuscivo a identificarlo.

Era ritmico, e ronzava – no, non era nemmeno così… Confuso, stavo per scostare la tenda e svelare finalmente il mistero.

Ma in quel momento, Pedro mi superò, borbottando da dietro una mascherina come quella di Ariel, vestito più o meno nello stesso modo. Pensai confusamente che si trattasse di una riunione, di una specie di società segreta, e che quella fosse la loro uniforme.

Pedro, al contrario di Ariel, mi vide, lì fermo e intontito. Mi si rivolse in modo molto aggressivo.

“Così ci fai qui? Torna subito a letto!”

“Volevo…”

Ma lui si mise ad agitare le braccia, come se dovesse distrarre un toro infuriato da un torero ferito.

“Volevovolevovolevo! Chi se ne importa, di quello che volevi! Qui stiamo lavorando, capito? Fila subito via!”

Stavo per ribattere che avevo tutto il diritto di stare dove stavo. Cos’erano, tutti quei misteri? Cos’era quel rumore? Cosa stavano…

Da qualche parte, fuori dal sogno, Zazà ruggì nel sonno, ed io mi svegliai, coperto di sudore gelido.

La mia vita diventò magica.

Buster mi diede una casacca colorata, come la sua, e un po’ di bianco per il viso.

“Io non l’ho mai usato, ma a te sta bene.”

Ariel mi sorrideva e mi incoraggiava con gli occhi; e io volavo, volavo, insieme a Buster. Ogni tanto, dal basso, sentivo un poderoso ruggito. Era il mio vecchio amico Zazà, che partecipava così della mia nuova felicità.

Non desideravo altro che starmene lassù, a provare e riprovare prese ed esercizi con Buster; ma dovevo pur scendere, qualche volta, per andare in bagno, per mangiare e dormire.

In quelle occasioni, mi accorgevo di muovermi con grande disinvoltura. Non mi ero reso conto, prima, di quanto fossi goffo. Ma adesso, nella nuova elasticità dei miei muscoli, mi sentivo bello e al sicuro, invincibile, come dentro una corazza.

Gli altri artisti mi guardavano in modo un po’ strano. Forse si stupivano di scoprire in me quello straordinario talento per le altezze.

Un pomeriggio, quando era quasi ora di mangiare e tutti cominciavano a dirigersi verso la tenda della mensa, accadde una cosa strana e inaspettata.

Il cielo pomeridiano, di solito sempre pieno di sole, si coprì all’improvviso di grosse nubi nerastre, come se fosse sul punto di scoppiare un brutto temporale. Attraversai in fretta il piazzale, e mi infilai nella tenda della mensa, per cercare rifugio dalla pioggia in arrivo, certo; ma anche perché mi sentivo improvvisamente solo, e avevo paura.

Mi sedetti con Ariel e Buster. C’era anche Pedro, che si guardava attorno con la faccia di un piccolo animale che speri di passare inosservato ad un grosso predatore.

Smisero all’istante di parlare, quando mi avvicinai.

“Sembra che stia venendo un temporale.”

La loro reazione fu immediata. Buster scattò in piedi e corse all’imbocco della tenda, a controllare il cielo fosco. Pedro emise un gemito strozzato, affondando la faccia tra le braccia incrociate sulla tavola.

Ariel, immobile, si versò un bicchiere d’acqua e mescolò la minestra che aveva nel piatto, apparentemente tranquilla.

“Che succede?” chiesi.

Ma Buster stava tornando allegramente verso di noi.

“Tranquilli, ragazzi! È davvero solo un temporale!”

Io tentai di ridere.

“Beh, per forza è un temporale. Che altro potrebbe essere? L’Apocalisse?”

Pedro gemette, ma non disse nulla. Buster scosse la testa, indifferente.

“Sia come sia, c’è uno spettacolo da mandare in scena” disse, serio.

Guardai Ariel. Lei mi fece una boccaccia.

Mi misi a ridere.

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Discussioni

  1. ““La rete” mi confidò, mentre fumavamo una sigaretta “serve solo a ricordarti che non hai le ali. L’unica cosa che non devi mai, per nessun motivo, ricordare.””
    ❤️

  2. Mi accodo a Giancarlo, anche io avrei voluto scrivere questo racconto, veramente brava. La trama e i colori dei personaggi si sovrappongono pennellata su pennellata, ma senza mai appesantire il foglio,

  3. Bellissimo. Peraltro – non so dirlo bene – l’intero racconto è proprio nelle mie corde, vorrei averlo scritto io. È davvero coinvolgente, mi sento dentro la storia come se uscisse dalla mia testa. Complimenti.
    Qualcosa mi fa ora intuire come andrà a finire, credo che sara ci stia pian piano accompagnando verso l’uscita.
    Per quanto riguarda la serie, se non ricordo male sara ha scritto che aveva difficoltà a creare una serie.

    1. è vero giancarlo, l’ho detto. è per questo che metto in parentesi a quale serie appartiene. i ragazzi hanno detto che lo sistemeranno, ma per adesso credo sia comprensibile…
      semmai, alla fine, fammi sapere se ci avevi visto giusto… e ricordati che aspetto il tuo con tema simile! 🙂

  4. L’aspettativa che avevo è pienamente soddisfatta. La trama è originale, ma con qualcosa di ‘antico e sognante. Come deve essere la giusta atmosfera. I dialoghi che scivolano e volano sostenendo tutto l’impianto narrativo. I personaggi restano impressi. Di lei mi sono innamorata. Bravissima.

  5. Credo che sia la prima volta che leggo un racconto ambientato in un circo e con protagonista un trapezista.
    Molto bella l’allegoria che hai usato per collegare le sue esibizioni sul trapezio e il concetto di “volare”.
    Piccolo suggerimento: perché non raggruppi tutti e tre i racconti in una serie vera e propria?
    In questo modo sarebbe più immediato per i lettori recuperare gli “arretrati”: ti basta solo selezionare l’opzione apposita del menù nell’editor. 😉