36 ore (parte I)
Serie: Prima della fine del mondo
- Episodio 1: Il mio mestiere
- Episodio 2: 36 ore (parte I)
- Episodio 3: 36 ore (parte II)
- Episodio 4: La terra di Caino
- Episodio 5: Fuori, una sera
- Episodio 6: Un lavoro pulito
- Episodio 7: Colpo di grazia
- Episodio 8: Una scia di virtù
- Episodio 9: Posto di blocco
- Episodio 10: À rebours
STAGIONE 1
Orib Kettelsen e Ianos Utter avevano parecchie cose in comune: erano nati lo stesso giorno, nella stessa città. Null’altro che questo, ma non è poco. Per quanto provenissero da famiglie diverse – piccola borghesia i Kettelsen, alto ceto imprenditoriale gli Utter – la città, lo sfondo, la scenografia, erano apparsi uguali ai loro occhi di bambini, di ragazzi, di uomini.
Ianos frequentava il circolo canottieri e, qualche volta – avevamo vent’anni appena – lo avevo incrociato in sala bar il sabato pomeriggio. Erano celebri le sbornie affabulatorie con le quali incantava le ragazze, come i numeri da spostato con i quali teneva a distanza i rivali. Sarebbe diventato un eccellente avvocato, come suo zio. Come suo zio avrebbe speso il suo talento soprattutto fuori dalle aule di tribunale: nei salotti buoni, negli attici vista fiume. L’azienda di famiglia avrebbe marciato anche senza una guida assidua, ragionieristica. L’importante era non far mancare le commesse e, per questo, la strategia più efficace era non dispiacere alle signore.
Ma la vera passione di Ianos erano quei giochi pericolosi ai quali si era avvicinato da ragazzo: quel sottobosco di buttafuori, mezzani, trafficanti, dai quali non comprava mai nulla, se non l’amicizia. Era una forma di perversa ribellione: accanto alle maggiori lingue europee, Ianos parlava correntemente il gergo internazionale della periferia. Torcergli un capello significava non soltanto incorrere nell’ira del padre potente, ma anche rischiare la vendetta degli amici: povera, furiosa e celere.
Ianos aveva capito presto che quella ribellione, quella posa che si era concesso con imprudenza, sfidando con i suoi begli occhi scuri lo sguardo paterno, poteva garantire alle sue ambizioni una base solida. Perciò si era risolto a frequentare la periferia non più soltanto per la partita del giovedì sera. Anche i suoi compagni di gioco avevano i loro capi: uomini sordidi ma danarosi, cui mancava soltanto una faccia presentabile per spendere degnamente la propria ricchezza. Ianos era il loro lasciapassare per la buona società.
Io, con altri, stavo dietro a Ianos da quasi un anno. Riciclaggio: ecco il motivo del nostro interesse. Un’indagine dal sapore squisitamente finanziario, se non si fosse trattato proprio di lui. Ianos bisognava seguirlo passo passo, letteralmente pedinarlo. Inutili le intercettazioni, poco efficaci le cimici messe in posti fissi: da quando aveva saputo che eravamo sulle sue tracce non passava che pochissimo tempo al chiuso, sempre in posti insospettabili o rumorosi. Ormai si era garantito una comodissima via di fuga: ancora due giorni in città, poi via, verso un paese sicuro dove avrebbe vissuto per un po’, sostenuto da un capitale senza volto e senza fine, prima di far definitivamente perdere le sue tracce. Si sarebbe ripresentato poi, quando gli amici avrebbero saputo organizzargli un rientro trionfale. Poco tempo ancora prima della fuga, solo quello necessario a concludere l’affare più grosso e più rischioso, tutto da risolvere in quei due giorni. Passato quel tempo, il castello di bugie che i suoi avvocati avevano laboriosamente architettato sarebbe crollato, le sue amicizie non avrebbero potuto più proteggerlo e nessun magistrato avrebbe potuto ragionevolmente negare l’arresto. E Ianos, il vizioso, l’intemperante, mostrava in quegli ultimi giorni un contegno assolutamente impeccabile: niente, niente poteva frapporsi tra lui e la fuga.
Per scrupolo, Ianos guidava personalmente la sua fuoriserie: certo, era il suo autista che lo accompagnava in società, ma quando si recava in periferia era solo. Nessuno, che non fosse ampiamente ricattabile, poteva testimoniare direttamente di averlo visto in compagnia di delinquenti di primo piano. E poi le cose vanno regolate sempre e solo tra pari: gli intermediari costano e tradiscono. Tutti, prima o poi. Qualche volta lo fanno per soldi, qualche volta solo per invidia. Basta essere prudenti: questo paese promuove la libera associazione tra gli individui. Bastava trovare un luogo dove discutere gli affari, un campo neutro, un porto sicuro, non troppo prossimo al mondo di Ianos (per non rischiare di compromettere un potente), né a quello della periferia, perché la delazione non è che uno dei sacri nomi della delinquenza. Quel porto Ianos l’aveva trovato. Noi no.
Mi chiamarono verso le 22: la radiospia sul telaio della fuoriserie era servita a qualcosa. Ianos Utter era stato fermato presso il lungo–fiume da una pattuglia della stradale opportunamente allertata. Alla domanda dell’agente sul motivo per cui il cofano dell’auto fosse ammaccato e insanguinato, l’avvocato Utter non aveva saputo dare spiegazioni convincenti. Pochi minuti prima un uomo di circa trent’anni era stato investito e ucciso poco fuori dal centro sociale in periferia, mentre rincasava col suo motorino. Anche se non potevamo sapere cosa facesse, sapere dove si trovava Ianos in ogni minuto del giorno e della notte si era rivelata una scelta fruttuosa. Sugli schermi degli agenti erano apparse strane quella fermata e quella manovra in prossimità del centro sociale. Poco dopo qualcuno aveva chiamato soccorso, si era saputo che una fuoriserie aveva investito una persona, ma il conducente dell’auto, dopo pochi secondi di incertezza, era ripartito a forte velocità senza neanche scendere. Un’ingenuità colossale da parte di Ianos. Quando è così palese la responsabilità in omicidio colposo, aggravato dal mancato soccorso, la legge del nostro Paese impone un fermo di 36 ore per il reo, scaduto questo termine il magistrato può stabilire la carcerazione preventiva o la libertà.
Troppa grazia: trentasei ore sarebbero state più che sufficienti; giusto il tempo di veder sfumare l’ultimo affare dell’avvocato Utter, giusto il tempo per fargli perdere il volo prenotato. A Ianos non restava che l’ultimo, patetico, tentativo di difesa, forse suggeritogli dallo zio: mi si è buttato in mezzo, lo ha voluto lui. Sì, forse i soldi degli Utter avrebbero convinto la giuria che il morto era ubriaco, o pazzo e che Ianos, sconvolto, aveva fatto soltanto quello che ci si poteva aspettare da chiunque altro. Forse. Ma a noi non interessava questo, a noi bastava che se ne stesse buono e zitto per quasi due giorni, trascorso quel tempo non avrebbe più potuto espatriare tanto facilmente, poi valanghe di accuse si sarebbero rovesciate sulla sua testa; magari all’inizio non sarebbe nemmeno finito in prigione, ma sarebbe stato un uomo rovinato e, con lui, sarebbe andato in rovina anche il mondo col quale, temerariamente, si era alleato.
Serie: Prima della fine del mondo
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- Episodio 2: 36 ore (parte I)
- Episodio 3: 36 ore (parte II)
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- Episodio 10: À rebours
ecco, non mi ero sbagliata. Concordo con Giuseppe riguardo Poe, e ribadisco l’invidiabile controllo del ritmo narrativo.
Ringrazio molto.
Sembra proprio di tenere fra le mani un bel giallo d’altri tempi, di quelli che appassionano dalla prima all’ultima pagina.
L’intrigo che stai strutturando è molto interessante e ben fatto, così come i personaggi, i cui nomi, originali e perfettamente calzanti al loro ruolo, sembrano quasi fuoriusciti da un racconto di Poe.
Chi scrive ritiene di doverla ringraziare a nome di Ian Elias
Uh, interessante!