Storia di un ammutinamento

1856

Mi chiamo Abel, sergente del British Army, ma presto servizio in India.

Sto correndo.

«Signore! Signor capitano! Un’emergenza» grido e mi fermo giusto davanti al mio superiore. Non so se in futuro noi inglesi saremo ricordati per il sangue freddo, certo siamo sempre stati molto rigidi e rigorosi, non arretriamo mai di un passo e il nemico non avanza finché non ci uccide, ma stavolta…

Al capitano sfugge il monocolo. «Cosa succede, sergente?».

«Un ammutinamento» dico con un filo di voce.

***

Non so neanche questa cosa, non so molte cose, sono ignorante, però lo devo ammettere: proprio non sono certo se noi inglesi siamo razzisti.

Da qualche mese a questa parte, i progettisti della ditta che fabbrica i nostri Brown Bess hanno avuto un’idea “brillante”. Le cartucce che i soldati indigeni devono strappare con un morso per svuotarle nella canna dell’arma sono intrise di grasso di vacca. Fosse di maiale, le truppe coloniali di religione musulmana si offenderebbero, ma essendo di mucca gli induisti non possono fare altro che indignarsi, o quasi.

Ho assistito a scene curiose in cui i soldati, tutti soldati semplici se non graduati di truppa, sputavano a terra o si mettevano un dito in gola per vomitare.

“Perché lo fate, che vi salta in mente!” gli ho gridato.

Loro mi hanno spiegato tutto.

Che razzismo, che ottusità. I soldati indiani combattono per noi, ci fanno un favore, versano sangue contrastando sediziosi e ribelli di ogni tipo, e il ringraziamento della Compagnia delle Indie è il totale disprezzo nei loro confronti. Questa offesa… Sembra l’abbiano fatto apposta per torturarli, per fargli pesare che siamo noi i loro padroni e siamo liberi di fare i prepotenti.

Persino io, che sono inglese, non sopporterei se un induista sbeffeggiasse la mia fede.

***

L’ammutinamento divampa, le voci si sono diffuse come un’epidemia e tutti o quasi i soldati coloniali hanno preso le armi, hanno fucilato il personale europeo e hanno dato alle fiamme gli uffici della Compagnia.

Io stesso rischio la vita, ma alzo le mani, vado da loro e mi esprimo nella loro lingua, l’hindi:

«Sono con voi. Credo nella vostra battaglia».

Gli ammutinati apprezzano il fatto che mi sia preso la briga di imparare il loro idioma.

Mi chiamavo Abel, ora forse mi farò chiamare Arjun.

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Discussioni

  1. Hai sempre una grande capacità di immedesimarti in ciò che scrivi. Come se, in ognuno dei tuoi personaggi ci fossi tu. Interessante e, per quanto mi riguarda affascinante, in questo caso, l’ambientazione.