Il disordine della camera
Era una mattina come tante, e una mattina come tante sarebbe stata. Sole si svegliò nel solito disordine della sua camera, che un po’ rispecchiava il disordine che aveva in testa. Rimase a letto per un paio di ore dopo essersi svegliata, valutando di metterla a posto quella stanza, ripromettendosi di farlo.
“Sole è pronto, ti vuoi alzare?”
Scocciata dal solito tono un po’ aggressivo del padre, che in fondo comunque sapeva essere nel giusto, Sole si trascinò verso il tavolo per mangiare. Stava morendo di fame.
Intanto nella sua testa viaggiavano mille pensieri come uno sciame di api quando il nido viene minacciato, i pensieri pieni di agitazione si muovevano nella sua testa con un ronzio assordante che nessun altro poteva sentire. “Devo rimettere a posto quella stanza” pensava. Arrivava ad immaginare se stessa mentre la sistemava la camera, come se pensasse che risistemare quel disordine infernale la potesse aiutare a rimettere insieme i pezzi delle cose che non stavano andando. Sentiva che ogni vestito lasciato a caso sulla sedia o sulla scrivania potesse collegare i tasselli di un futuro che le appariva come un puzzle di cui non trovava i pezzi, come quei puzzle delle foto dei bambini che la zia le aveva regalato da piccola e su cui aveva speso ore.
Era una settimana strana, nell’ultimo periodo aveva iniziato a misurarla così la vita, di settimana in settimana, come se il weekend fosse un magico momento di ricarica e il lunedì fosse un terno al lotto, dove non sai mai cosa aspettarti e la settimana potrebbe prendere una qualunque piega. La cosa che però voleva iniziare a controllare era il fatto che l’intera settimana, almeno psicologicamente per lei, prendesse la strada segnata dalle prime ore di quel lunedì. Che poi il lunedì era proprio un giorno brutto, pensava, una sveglia brusca dal torpore di un weekend di svago o di riposo.
La giornata passava ed oltre alla camera doveva anche lavarsi i capelli, “chissà perché” -, rifletteva, – “quando sono giù mi lascio così andare, come se il mio corpo e la mia mente dovessero cadere in un baratro di trascuratezza per poi ritornare a sentirmi un essere umano consapevole”.
Era sabato però, quindi ancora c’era un po’ di tempo per rimettersi in sesto no? I pensieri e le paure cercavano conforto in questo pensiero, come nella possibilità di mettere il muto in mezzo ad una folla di gente che sbraita. Tutti questi pensieri l’avvolgevano di continuo senza che nessuno lo notasse, forse solo a volte, quando fissava un punto nel vuoto, allora lì qualcuno le chiedeva “a che pensi?” e lei si sentiva quasi violata, quasi smascherata da quella domanda, come se avesse mostrato troppo pensando di esser protetta da uno strato velato, ma qualcuno lo avesse improvvisamente spezzato, risvegliandola di colpo, come un urlo assordante in una campagna silenziosa e solitaria.
Comunque era quasi buffo per lei pensare che tutte queste ansie e paure che le ronzavano in testa non avevano una soluzione, stavano li a stagionare fino a quando non ne sopraggiungevano delle nuove. I ragazzi, il futuro, la carriera, gli amici, “oddio che figuraccia ho fatto quella volta?”. Sembrava tutto così duro e lo era anche a dire il vero, capire il da farsi, capire dove andare, fidarsi degli altri soprattutto. Era quasi impossibile per lei credere che qualcuno credesse in lei, che la potesse aiutare realmente senza voler nulla in cambio, che a qualcuno davvero potesse importare. Lei d’altro canto era si egoista, e lo riconosceva, si forse era anche egocentrica e non sempre mossa dalle più nobili delle intenzioni, ma cercava sempre di aiutarli gli altri. Per esempio si muoveva sempre a dare una mano in quelle piccole minuscole cose, apparentemente banali, e la affliggeva sempre quella piccola delusione, la trovava quasi lancinante, di rendersi conto che gli altri questo non lo facevano mai o quasi mai. Era anche vero che non chiedendo mai non poteva davvero rimanerci male, si ripeteva.
Se solo fosse riuscita a rimettere a posto quella stanza, a lavarsi i capelli, a togliersi i peli superflui dalle sopracciglia, forse le sarebbe sembrato di poter ricominciare una settimana diversa, che il lunedì non sarebbe poi stata una così brutta giornata. Lunedì sarebbe andata a lavoro e avrebbe dato il meglio, non avrebbe sofferto ad ogni battuta fuori posto o ogni volta che le sarebbe venuta in mente la domanda “ che lo sto facendo a fare? tanto qui non ho futuro, forse dovrei solo lasciar perdere”. La verità è che voleva imparare a chiedere e dire quello che voleva ma non sapeva come, c’era una forza maggiore, una paura del rifiuto e del giudizio che andava oltre tutto, che la faceva irrigidire, bloccare, che non le lasciava l’aria e lo spazio per aprirsi, per dire “credete in me, posso farlo, datemela questa possibilità”.
Ma era ancora sabato e doveva ancora rimettere a posto la camera.
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Racconto particolare, una lunga riflessione interrotta dagli altri che ogni tanto, qualcuno con bontà, altri con malevolenza, si affacciano nella mente e vita della protagonista.
Un senso di noia generale pervade la protagonista che non riesce a rialzarsi da qualcosa che tiene nascosto al lettore e forse proprio per questo riesce a catturarlo fino al punto finale.
Alla prossima lettura…
Grazie mille del commento, spero ti sia piaciuto il racconto! 🙂
Forse sbaglio, ma io giudicherei questo librick un’allegoria
Non è un modo sbagliato di definirlo