La rivoluzione delle barche arcobaleno
C’era una volta una spiaggia, e su questa vivevano, divertendosi, molte barchette di legno, e queste barchette vestivano tutti i colori del mondo: blu come il cielo, rosse come le fragole, arancioni come le carote, ma anche verdi come i prati o gialle come il sole! O a righe, come l’arcobaleno sotto la pioggia.
Se ne stavano a riva, a riposo, oppure a galleggiare lontane, al primo sorgere di stelle. Le amiche del cielo le guidavano in silenzio, attraverso le onde del mare; i loro scafi forti e allegri, portavano per mare piccoli umani intenti a cantare ninne nanne agli Dei, sia a quelli del cielo sia a quelli del mare.
Le barchette e il mare erano felici che i piccoli umani indaffarati e contenti viaggiassero con loro in cerca di cibo; lo scambio era equo: grazie agli umani un poco di mare tornava alla terra così che la terra potesse crescere, e prosperare, e, alla fine del viaggio, restituire gli avanzi al mare.
Le allegre barchette chiamavano le onde per nome, e di ogni piccolo umano conoscevano l’anima e il cuore profondo.
La vita di tutti era buona e giusta: umida, aromatica, ricca e melodica. L’uomo in equilibrio con la vita tutta.
Infrangendo le note del sali e scendi delle maree, le tempeste governavano terra e acque, dettavano il ritmo del riposo dell’uomo e delle barchette arcobaleno; se i venti cantavano forte si accendevano i fuochi e venivano cotte le zuppe nelle case di pietra sul mare che non si muovevano mai. Melodia per i cuori e piedi caldi, ninna nanna per menti e mani esauste dal lavoro in mare.
Poi arrivarono loro: grandi vascelli grigi e senz’anima, s’infilarono, scaltri, nel ritmo della vita, dell’uomo, e del mare.
Ogni giorno di più, entravano e uscivano dal piccolo molo sul viale delle case di pietra. Poi il molo fu piccolo e ne misero uno molto più grande. Ombre dense di rumore. Metallo.
Le boe delle barchette arcobaleno sballottate da navi di ferro e di acciaio; prive di cuore. Non giungeva più silenzio, dopo il rumore. Il mare, da amico e amante del cielo, venne messo in casse con codice a barre: un numero, un peso in denaro.
E le barche furono navi, e le navi sempre più grigie e veloci. E quelle grigie e veloci navi scavavano buchi sempre più grandi nel mare su cui le stelle avevano smesso di indicare la via.
Oceano e terra spezzati, divisi. Scambio ed equilibrio interrotti. Prendere, e poi prendere ancora, senza mai nulla da dare in ritorno.
Il canto delle onde sovrastato da voci, urla frettolose e ingorde. La danza della vita, le ninne nanne, il flusso e il riflusso, il futuro calpestò tutto.
Sterile.
Niente più carene da pulire, niente più piccoli fuochi accesi nelle piccole case di pietra che non si muovono mai. Scatole di plastica, lattine di metallo impilate l’una sull’altra nel rumore della notte, e del giorno. E poi ancora della notte.
E sulla spiaggia, oltre le case di pietra che non si muovono mai, sdraiate di lato e con poca voglia di ciarlare, ecco le nostre barchette arcobaleno: si sono rifiutate di uscire, e di massacrare il mare. Congelate a terra dall’avarizia del nuovo uomo. Hanno visto, sentito le urla, la rapida scomparsa degli amici degli abissi. Notte dopo notte il bottino del mare scaricato più in fretta di quanto le navi erano in grado di attraccare. Odore frenetico di olio, alienazione. Niente ninne nanne per gli Dei. Sudore sui ponti delle navi; umani indistinguibili, individualità soffocata dal grigio multi tono; niente anima.
Le barchette arcobaleno, arenate.
Restie a partecipare alla caccia degli abissi perpetrata dalle grigie navi, e guidata dai grigi uomini vestiti di giallo, le barchette arcobaleno misero da parte la millenaria amicizia e il millenario sostegno con gli amici del mare e si misero di lato, sulla sabbia, lontane dal mare: iniziarono ad aspettare.
Passarono i giorni. Settimane. Poi anni. Dagli scafi sparirono i pigmenti vivi, un lontano ricordo dalla sfumatura di sabbia; scrostati scafi e cuori. Le barchette si sfaldarono, una tempesta alla volta.
Navi grige dominavano il mare, ora. E, oh cielo, con che velocità!
Ora solo rapidissimi ingegneri a gridare ordini rapidissimi, su motori rapidissimi, dentro a navi rapidissime che, come cormorani, si tuffano, rapidissime, dentro alle onde. E portano coraggio e false idee ai cervelli degli umani grigi e spenti.
Gridano ordini e parole senza un senso, sopra profondità del mare, e sotto il sorgere di luna e stelle. E dentro i raggi del sole. E sono soli, là, in alto mare.
Tornate nei nostri ventri, avevano detto le barchette arcobaleno, ma parlavano a umani senza più volto. E gli umani vuoti non sentirono, non parlavano più la lingua delle piccole barchette che un tempo avevano i color dell’arcobaleno.
Ora avevano il progresso, gli umani!
Potevano lasciare la riva con qualsiasi vento e burrasca, e sempre tornavano in porto carichi di pezzi di oceano in scatola. La vita era veloce ora, per gli umani, non avevano più bisogno delle barchette arcobaleno.
Niente più piccoli fuochi nelle case di pietra che non si muovevano mai. Quelle case vuote, ora, si sgretolavano al vento come uno strato marino di mezza estate. Sagome vuote e fredde, un ricordo che non serviva più.
Il progresso.
L’erosione del tempo e dell’equilibrio. Abbondanza senza fondo.
Ma ancora per poco, perché presto l’abbondanza sarà carenza. Dentro, e fuori dal mare. E poi niente più navi grigie, grida, ordini e gocce di sudore stanco.
Tornerà il silenzio. Verranno abbandonate terra e acqua, sterili di vita, lasciati tutti i ricordi: dimenticati nella fuga per il prossimo porto. Locuste di terra e di mare: l’uomo.
Le barche arcobaleno ancora nella sabbia. Più impronta digitale che presenza. Eppure vivono, ricordano la vita dell’oceano che era stata.
Aspettano. Pazienti. Un altro giorno, un altro umano arriverà e avrà un volto. Un sorriso intorno al cuore. E occhi per vedere.
Arriveranno. Arrivano sempre, dopo la fine.
L’oceano tesserà nuova vita e colori, il sole bagnerà nuovi arcobaleni sui loro scafi, e le stelle canteranno ancora e poi ancora una volta, pronte a specchiarsi negli abissi dell’oceano mare.
Perché l’uomo sempre si scorda dei peccati e riparte. Riscopre dopo il vuoto nuova vita. E le barche aspettano l’arrivo dei nuovi bambini: loro giocheranno con la sabbia sulla riva e il mondo sarà saturo di iridi e risate; sarà infranto un’altra volta il vuoto.
E i camini torneranno a bruciare e a cuocere minestre nelle case riassestate. La legna verrà bagnata, piegata e inchiodata, poi dipinta di colori sgargianti e forti, contro il sale del mare. Le stelle canteranno la via e la luna illuminerà la notte. E l’equilibrio tornerà in terra con l’aiuto del mare. Niente casse, niente acciaio. Solo lische, avanzi, condivisione.
Le barche arcobaleno, loro sanno. Sono pazienti, sanno aspettare.
Un giorno.
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Bello! Mi ha riportato a molti anni fa, quando passavo le estati in un villaggio (allora) di pescatori sulla costa tirrenica. I gozzi da pesca colorati , tirati in secca sulla spiaggia e noi ragazzini che aiutavamo a pulire le reti dai granchi e dalle alghe. Le mani callose dei pescatori, le albe e i tramonti vissuti a bordo di quelle piccole barche di legno. Complimenti, ha riempito di poesia un inno all’ambiente e al mare.
È bello sapere di averti potuto riportare in un luogo passato che, da come lo descrivi, pare essere stato in certi versi magico. Grazie per averlo condiviso.
Emozionante questo librick!
Grazie.
Questo racconto sembra, a tratti, un poema. Veramente molto bello e di grande attualità
Grazie Cristiana 🙂
Forse speranza vana, quella delle barche arcobaleno. Ma non per questo non meritevole di essere coltivata.
Molto attuale. Grazie
Se non si continua a sperare tanto vale gettare la spugna su tutto no? 😉
Bellissimo inno al rispetto della natura e in particolare del mare. Qualcosa da proteggere, con cui vivere in armonia e non una risorsa da sfruttare. Mi hai fatto pensare alla storia dell’isola di Pasqua e di come la popolazione abbia letteralmente tagliato il proprio futuro sradicando l’ultima palma.
Speriamo di riuscire, un giorno, a imparare dagli sbagli del passato!