Alba e notte senza vincitori

Parole stampate, incise a fuoco o sulla pelle, per spiegare, scusarsi, ferire. Questa è l’essenza di tutto. Una confessione travestita da duello, che accusa, chiede perdono e, infine, cerca di guarire. Un trittico contorto che svela il tormento.

Dopo anni di silenzio, due amanti si ritrovano. Lui se n’è andato, lasciando dietro di sé l’eco di un’assenza ingombrante, impossibile da dimenticare. Nel tempo della loro separazione, nessuno dei due ha smesso di soffrire. Sogni, promesse, ricordi, parole non dette bruciano ancora nella pelle.

Il confronto è inevitabile. Lui porta il peso del rimpianto, un dolore così profondo da diventare veleno.

Lei ascolta. Non abbassa lo sguardo, non cerca giustificazioni. Incassa ogni parola, ogni accusa, e non arretra. L’odio è il rovescio dell’amore. Il veleno può anche essere una cura.

Quando tutto è stato detto, come una furiosa poesia, resta solo una domanda: ciò che si è spezzato può essere ricomposto? O forse, non si è mai davvero spezzato.

Le prime parole sono feroci, una confessione sofferta che oscilla tra accusa e autodistruzione. Lui è consapevole delle sue colpe, ma non cerca giustificazioni. Il suo odio è un atto d’amore deviato, un attaccamento malato che non trova pace.

“Io sono la morte dell’alba, e tu non hai idea di cosa voglia dire.”

Alcune parole sembrano enigmatiche, ma in realtà sono solo fragili, come noi,

che facciamo del carattere un’armatura… di carta.

Oppure tu, nella vita, non hai mai sofferto.

Io sono il consiglio che non dovevi accettare.

Perché non ho fatto nulla di buono.

O forse i miei consigli erano troppo buoni

e tu, ottusa, hai voluto sbagliare lo stesso.

Sbagliando si impara?

No. Idiozia. Follia. Ignoranza.

Fluttuano sopra le nostre teste

e ridono di noi,

sotto un cielo di polvere.

Ora siamo faccia a faccia,

e cerchi belle parole per chiedermi scusa.

Tu, che hai divorato le mie scuse

e me le hai sputate,

contaminate dal tuo veleno.

Io ti ho odiato.

Io ho odiato te,

dopo averti amata.

Ti ho odiata perché hai dato verità a cori spergiuri e menzogneri.

E ho odiato me stesso,

perché per orgoglio – un orgoglio che ancora non comprendo –

non ti ho mostrato la verità.

L’alibi era un legame che non potevamo spezzare.

Strano, o destino?

Volere, o volontà?

Abbiamo vissuto la menzogna, la falsità, l’odio.

Ho perso la cognizione del tempo.

E in quel tempo ho reso immortali delle storie,

estratto ricordi, cancellato il passato.

Chi sono?

Chi siamo?

Tormentati.”

La risposta di lei è intensa, tagliente ma più lucida, meno avvelenata. Lei ha sofferto, ma ha anche trasformato il dolore in consapevolezza. Le sue parole sono una lama affilata.

“Tu sei la morte dell’alba?

E io, allora, chi sono?

Colei che è rimasta a guardare la notte cadere.

Colei che ha teso la mano

e l’ha trovata vuota.

Enigmatiche, dici.

Fragili.

Ma non erano le tue parole a essere fragili.

Era la tua convinzione,

il tuo sguardo quando cercavi la verità

e la nascondevi a te stesso.

Dici che non ho mai sofferto.

Eppure ti ho visto andartene.

Ho sentito il silenzio riempire i vuoti

che prima colmavi con il tuo orgoglio.

Dici di essere il consiglio che non avrei dovuto accettare.

Forse.

Ma non perché fossero buoni consigli,

non perché io fossi ottusa.

Eri tu che parlavi con la paura,

non con l’amore.

E io non volevo vivere delle tue paure.

Volevo cadere e rialzarmi con le mie gambe.

Perché non tutto si impara dalle parole.

Alcune cose vanno vissute.

Sbagliando si impara?

Dici di no.

Ma solo perché tu hai scelto di imparare l’odio,

di vedere solo la follia e l’ignoranza,

di condannare i tuoi errori come se non potessero insegnarti nulla.

Io ho scelto diversamente.

Io ho scelto di imparare anche dal dolore,

di non lasciarlo marcire dentro di me.

Dici che ho divorato le tue scuse,

ma io ho aspettato,

aspettato che non fossero veleno

ma cura.

Hai odiato?

Io ho imparato a smettere.

Perché l’odio pesa più del rimpianto.

Perché l’odio è un veleno che ho sputato

prima che diventasse parte di me.

Tu parli di verità,

ma hai vissuto di omissioni.

Hai sacrificato tutto su un altare di menzogne

senza mai cercare la verità.

E ora chiedi chi siamo?

Siamo storie non raccontate.

Siamo parole lasciate a metà.

Siamo il tempo che hai cancellato.

Ma io no.

Io non mi cancello.

Non cancellerò nemmeno te,

né il tempo usurpato lontano. Nulla.

Io e te siamo ancora un legame,

un filo che non si è mai spezzato,

anche se il tempo lo ha reso sottile e teso fino a farlo tremare.

Il tuo destino è stato peggiore del mio,

e questo lo sai anche tu.

Ma io non posso colmare quell’oblio,

né voglio fartelo dimenticare,

né voglio sostituirlo.

Io sono solo colei che c’era prima di tutte,

colei che c’è ora.

Colei che, nonostante tutto,

non se n’è mai andata davvero.

Io e te, ora, siamo per sempre?”

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Discussioni

  1. Non so se sia solo una mia impressione, ma da questo dialogo la figura femminile ne esce come la vera vincitrice, la vedo mentre parla, consapevole e “integra” nel suo dolore che non ha mai rifiutato (come fa spessissimo l’uomo, cioè il maschio), che ha metabolizzato, elaborato e, soprattutto, accettato. Bel racconto! Complimenti!!!

  2. Molto bello, mi hai ricordato una danza, un passo a due. Molto più difficile di lasciarsi, credo sia questo ritrovarsi, questo coraggio di dirsi le cose non dette, invece di lasciar perdere e voltarsi semplicemente le spalle. Molto bravo.

      1. Beh proprio facile non direi. Anzi. E la parte più coraggiosa è proprio qiesta: trasformare la perdita in un pezzo meraviglioso.
        Per il resto, spero tutto bene 😊

  3. Fin dalle prime righe di questa ‘poesia’, ho pensato che fosse il tuo protagonista a parlare, ho trovato attinenze, affinità, fatti, emozioni. Poi, il repentino cambio di scena e allora era lei a parlare, a spiegare, senza giustificare, come avesse finalmente trovato il canale per dare parole al suo pensiero. Trovare conferma, alla fine del testo, da parte tua, è stato rassicurante. Credo che questo che tu chiami ‘sfogo’, sia davvero ben riuscito. Mi è parso come stare di fronte a uno specchio in quattro: loro, lo scrittore e il lettore. Molto efficace.