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Serie: Cinquanta Racconti


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Sono seduto in uno di quei bar che ormai frequento più per inerzia che per piacere. La solita luce soffusa, i bicchieri sporchi sui tavoli, le voci che si mischiano nell’aria viziata dal fumo. L’alcol è diventato il mio fedele compagno di serate solitarie, la costante che mi aiuta a sopportare la merda che mi circonda.

Sono lì, a metà del mio terzo bicchiere, quando li noto. Una coppia, due ragazzini, non avranno più di vent’anni. Lei con i capelli biondi, lunghi, il viso truccato come se dovesse uscire in passerella, ma con un’aria troppo consumata per la sua età. Lui, uno di quei tipici ragazzi di periferia, vestito come uno che ha appena lasciato il liceo ma ha già visto troppe cose.

Non dovrei nemmeno notarli, ma c’è qualcosa di strano. Escono dalla porta sul retro del locale, quella che di solito è riservata ai dipendenti. E non sono soli. Un vecchio li segue, e subito mi colpisce la sua faccia: la pelle cascante, gli occhi piccoli e affilati come quelli di un ratto. Ha l’aria laida del pervertito, uno di quelli che farebbero di tutto per sfamare le loro voglie malate.

Non so perché, ma mi alzo e li seguo. Forse è la noia, forse è il fatto che il mondo è una cloaca di merda e io non posso fare a meno di voler vedere quanto in fondo arrivi.

Il retro è buio, illuminato solo da una debole luce al neon che lampeggia. Li trovo lì, in un angolo, nascosti dalle ombre. E quello che vedo mi fa sentire come se fossi appena entrato in uno di quei film porno scadenti degli anni Settanta, quelli che trovi per caso su qualche sito di streaming marcio.

La ragazza è in ginocchio davanti al ragazzo, che ha i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Lei sta facendo il suo lavoro con la bocca, muovendosi su e giù come se fosse meccanica, senza emozioni. Lui si appoggia al muro, il viso contorto da una smorfia di piacere vuoto, senza significato. Ma la cosa più assurda è il vecchio. Sta lì, a pochi passi da loro, con il telefonino in mano. Riprende tutto, ogni secondo di quella scena squallida. Ma non si limita a filmare: con l’altra mano si sta masturbando, i pantaloni abbassati, la mano ossuta che scorre su e giù in un ritmo disgustoso.

Rimango lì, nascosto nell’ombra, a guardare. Non dovrei. Dovrei voltarmi e tornare al mio bicchiere, lasciarli nella loro merda. Ma non riesco a smettere. C’è qualcosa di perversamente magnetico in quella scena. È una tragedia mascherata da pornografia, un pezzo di umanità che si sta autodistruggendo davanti ai miei occhi.

Tutto finisce in un lampo. Il ragazzo viene, la ragazza si ferma e si pulisce la bocca con il dorso della mano. Il vecchio ansima mentre si libera con un grugnito soffocato. Poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, tira fuori cinquanta euro dalla tasca e li porge alla ragazza. Lei prende i soldi senza battere ciglio, come se fosse solo un altro giorno di lavoro.

Rimango lì, immobile, mentre il vecchio si ricompone e il ragazzo tira su i pantaloni. Non si parlano, non si guardano nemmeno. Il vecchio se ne va, sparendo nell’ombra, mentre i ragazzi tornano nel bar come se nulla fosse. Io sono ancora lì, a cercare di capire cosa cazzo sia appena successo.

Non c’è nessuna sorpresa in questa scena. Nessuna morale da tirare fuori. È solo un altro giorno in questo fottuto mondo, un altro pezzo di realtà che ti fa capire quanto possa essere squallida la vita. Ma mentre torno al mio bicchiere, non posso fare a meno di chiedermi cosa cazzo stia facendo. Se questo è tutto ciò che mi resta da vedere. Se siamo tutti solo spettatori di un film che non ha senso, che non finisce mai e che continua a ripetersi in loop, sempre uguale, sempre più vuoto.

Ricomincio a bere, ma il sapore del whisky è diventato più amaro.

Serie: Cinquanta Racconti


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Discussioni

  1. Un flash che fa riflettere. Perchè non provi ad aggiungere i lati psicologici dei personaggi, magari veloci flahback che arricchiscano il tutto e “spighino” qualcosa di inaspettato?

  2. Un racconto duro come un pugno nello stomaco e una narrazione efficace, a sostenere la storia dall’inizio alla fine. Ottima la scelta della prima persona con il narratore che fa da spettatore, come fosse i nostri occhi. Se posso permettermi, io avrei ‘spogliato’ ancora di più il racconto, quasi fino a ridurlo all’osso. Nel senso che avrei tolto una bella manciata di aggettivi e, forse, anche qualche considerazione da parte dello spettatore, rendendo la narrazione del tutto cruda. A mio avviso avrebbe accompagnato meglio la scena. Però, sia chiaro, questo è solamente il mio parere. Tu, in questo labirinto di vite, ti sai sempre perfettamente districare. Bravissimo.

    1. Cara Cristiana hai colto nel segno. questo racconto è stato scritto molti mesi, prima che affinassi la scrittura. Il tuo suggerimento di asciugarlo degli aggettivi superflui è azzeccato e proverò a farlo.
      Grazie mille.

  3. Normalmente evito di soffermarmi sullo squallore e sulla depravazione, per una sorta di principio Zen lontano da posizioni giudicanti e moraleggianti. Nel tuo caso, non posso che complimentarmi. La catena voyeristica che si moltiplica in una sequenza a specchio senza fine, rivela il genio non solo dello scrittore, ma anche del regista. “La tragedia mascherata da pornografia” (una delle frasi più lucide e vere che abbia mai letto) unisce spettatore e attore in un vortice di degrado, in una atto meccanico, che è povero anche dello schifo che rappresenta. La domanda, a mio avviso, tocca anche il lettore: ma cosa ci faccio qui? Molto, molto bravo.