
Ceresole Reale
Serie: Mediamente in pericolo!
- Episodio 1: Solo arrivare a domani
- Episodio 2: Più la notte è buia, più l’alba è vicina
- Episodio 3: Ceresole Reale
- Episodio 4: Sospesi nel vuoto
- Episodio 5: Verso la tempesta
- Episodio 6: Tuoni, fulmini e saette
- Episodio 7: La “frascata”
- Episodio 8: C’è qualcuno là fuori?
- Episodio 9: La strada verso il Nivolet
- Episodio 10: Il Gigante Silenzio
STAGIONE 1
(Immagine di copertina di Fabio Elia)
I mediamente organizzati non possono stare, a lungo, fermi in un punto. C’è un irrequietudine di fondo che li spinge a non sostenere l’immobilità e il sollazzo per troppo tempo. Sarà che sul loro lavoro hanno sempre un obiettivo, un “forecast” da raggiungere, devono “fare indice” e questi ritmi serrati li hanno forse ormai assuefatti ad una frenesia di fondo che li costringe a stare sempre in movimento. Forse. Eppure altre persone, con lavori altrettanto stressanti, colgono l’occasione, nei giorni festivi, per non fare nulla e darsi al relax, proprio per ristabilire ritmi più naturali, maggiormente in armonia con l’universo. Nel buddismo, si sostiene che il nostro karma pervada le relazioni e non renda causali gli incontri che facciamo e i legami che stringiamo, ma che essi abbiano in qualche modo a che fare con la nostra profonda energia. Allora, forse, i mediamente organizzati si sono “riconosciuti” per un certo tipo di inquietudine comune e una continua ansia di ricerca, o di fuga. Cosa cerchiamo? Il limite, forse. Il nostro, che vogliamo saggiare, superare; quello della realtà quotidiana che ci lasciamo alle spalle, in città, e che una volta arrivati di fronte a silenti paesaggi naturali, sembra un sogno lontano, pazzo ed irreale ; quello della vita stessa, saggiando il pericolo, la selvatichezza muta e acritica della natura. Forse ciò ci avvicina a quello che la gente, qui in Occidente, chiama Dio. Sentire la vita. Ascoltarne il respiro. Lontano da tutte le sovrastrutture di pensiero e i finti obiettivi che la vita sociale impone. Ma perchè, una volta raggiunto ciò, non si cheta quella frenesia, quella ricerca? Forse un posto risolutivo non esiste, se non dentro di noi, ma gli occhi hanno fame di bellezza, le narici inseguono nuovi profumi e lo spirito vuole nutrirsi con montagne e fiumi di bellezza, farne scorta, affinchè siano un serbatoio valido da cui trarre giovamento, quando saremo di nuovo immersi in un ufficio schiamazzante, pieno di pc con dentro numeri da raggiungere, da comunicare. Dati, dati, cifre, soldi, statistiche, problemi, stress, stipendio, benzina, bollette, medicine, contratti. Da ciò, credo, fuggiamo. Da questo, forse, vogliamo disintossicarci. Cerchiamo l’ “altro” da questo. L’essenza della vita, senza cifre, senza schiamazzi, senza elaborate strategie o particolari maschere sociali. Natura silenziosa e semplice.
Tant’è, siamo scesi verso Ceresole.
La prima volta che ricordo di essermi recato a Ceresole era con la mia ragazza storica, quella dell’adolescenza, insieme a cui sono diventato adulto. Ricordo che sarei voluto andare al mare e che, allora, quel lago era stato solo un ripiego. C’era un fondo di tristezza, in quel ferragosto. Lei era bella, ma io avevo sempre qualche insoddisfazione dentro di me. Già, allora, sempre alla ricerca di “altro”. Ricordo quando siamo venuti via, nel tardo pomeriggio. Lei aveva quel vestitino estivo e delle scarpe aperte con tacco corto. Ricordo gli sguardi famelici degli uomini su di lei. E già me ne riveniva voglia, di risentirla mia, ancora una volta, ancora di più. Siamo proprio strani. Noi persone, intendo. Proprio su ciò, il buddismo punta i riflettori e fa capire l’insensatezza di un tale circolo. “Dobbiamo essere padroni della nostra mente- scriveva il monaco Nichiren Daishonin- e non lasciare che la mente sia la nostra padrona”.
Anche in seguito, con i mediamente organizzati, ci saremmo tornati, al lago, dopo quel giorno. D’inverno, con la superficie ghiacciata. Giocando, sulla riva, a sfidare il ghiaccio a vedere se teneva. Sulla parte del lago, opposta alla diga, dove c’è una spiaggetta accanto ad un campeggio, il ghiaccio diventava sempre meno spesso, fino a fondersi con l’acqua. Io mi meravigliavo per questa cosa e Favie ed Ele mi prendevano in giro, per questo. Ele cercava di raccontarmi un episodio della serie Black Mirror, ma la mia mente schizzava da una parte all’altra, come succede ai bambini quando sono molto entusiasti ed è difficile trattenere la loro attenzione su uno stesso argomento. Lei si arrabbiava e a me veniva da ridere, poi le chiedevo di riprendere il suo racconto, ma mi succedeva, poco dopo, di essere attratto da qualche altra cosa intorno. Poi siamo andati a mangiare in un ristorante, carne e polenta. A tavola, il nostro discorso è andato su un collega che si era da poco suicidato. Questo evento ci aveva sconvolti un po’ tutti. Allora ci siamo messi a parlare del significato della vita, del suicidio, di quanto, a volte, la vita può apparire insensata e di quanto, altre volte, può apparire bellissima. Poi siamo tornati alle nostre solite goliardate e i discorsi hanno ripreso ad alleggerirsi, così come i nostri animi.
Un’altra volta, Veo ha campeggiato vicino al lago con una coppia di amici. Io e Blaco siamo andati a trovarli per cena e poi, noi tre ci siamo fatti una passeggiata lungo tutto il perimetro del lago, per smaltire un po’. Era una camminata di circa 7 km, di notte, con le torce in fronte e le musiche di Twin Peaks sullo smartphone di Veo. Gli altri due campeggiatori non riuscivano proprio a capire perchè facessimo queste robe stancanti. Sono rimasti a poltrire in tenda. Molte volte, ho visto quella stessa perplessità sui volti di altri colleghi che ci considerano bizzarri e non riescono a cogliere il fascino che si può trovare nel compiere queste stancanti escursioni. Ciò mi rattrista. Io guardo con tristezza e rammarico all’omologazione di ciò che la gente trova sia appropriato fare nel weekend, tipo un drink nel quartiere di San Salvario, o seguire le partite di calcio in Tv, o la passeggiata in centro guardando le vetrine dei negozi. Non demonizzo queste cose, capita anche a me di farle, ma mi dà un forte senso di estraniamento vedere le persone come tanti automi, “programmate” per fare determinate cose e non altre. Chi ha deciso cosa è strano e cosa non lo è? La stranezza e la normalità sono solo dei “meridiani e paralleli” che ci si dà, diversi per ciascuna cultura, per capire come comportarsi, cosa fare della propria vita, quali obiettivi perseguire. Ma, io credo, una volta adulti, abbiamo il dovere di non seguire ciecamente quei binari, bensì guardarci dentro e capire cosa può farci stare bene, cosa può essere utile; rivedere la rotta e trovare coordinate nuove.
Ma, tornando a quel giorno, scesi dal Nivolet, siamo andati a fare una passeggiata a bordo lago. Scendendo sui tornanti, stavolta non ero seduto dal lato dei precipizi e quindi l’ho vissuta un po’ meglio, ma sorvegliavo Veo che aveva dormito poco. Era un’altra giornata di sole ed il lago era fantastico. Ad un certo punto, Veo aveva deciso di cercare un bar, prendendo le auto, ma noialtri preferivamo prosegure a piedi alla ricerca di un bar. Veo, credo indispettito dal fatto che il gruppo non lo seguisse, è partito comunque con l’auto. Io ero preso alla ricerca di un bagno, con una certa impellenza, quindi ho abbandonato temporaneamente il gruppo, che indugiava, fermandosi per ogni motivo. Gli altri, accortisi solo dopo un po’ che Veo se n’era andato in macchina, gli avevano telefonato e lo stavano raggiungendo ad un bar in riva al lago, un chilometro circa più avanti. Blaco è venuto a cercarmi per dirmi dove avrei potuto trovarli, ma io ero già uscito dal bagno ed andato oltre. Molti di noi avevano il telefono spento per via del fatto che eravamo fuori da due giorni.
Ancora una volta, capite perchè ci chiamiamo i mediamente organizzati? In realtà non è solo per questo. Scilli, ad esempio, fa tutte le escursioni con i jeans, a prescindere da quanto un posto possa essere selvaggio ed il cammino impervio. Ricordo che proprio quel giorno, una ragazza, vicino al lago, aveva commentato, vedendolo, dicendo che il loro gruppo era molto più organizzato di quanto credessero, ora che aveva visto uno coi jeans.
Insomma, non trovavo gli altri ed ero stanco di camminare finchè, per un caso fortuito, ho incontrato Blaco rifacendo la strada a ritroso. Quando mi ha raccapezzato, ero furioso nei confronti di Veo che ci stava facendo vagare, stanchi, andandosene con la macchina. Mi ero imposto di stare calmo, ma, ricongiuntici con gli altri, con l’intento di tirare un po’ il fiato lì, quando Veo ha detto:
-Oh! Che facciamo? Andiamo da qualche altra parte?-
Sono saltato su e l’ho insultato in tutte le maniere possibili. Lui rispondeva con quei suoi nonsense che ti snervano ulteriormente. Gli altri assistevano divertiti. Favie fotografava una bimba che raccoglieva dei fiori a bordo lago.

(Foto di Fabio Elia)
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