
Il vestito rosso (passeggiata nel ghetto)
Come in una favola, camminava accanto a lui.
Aveva ceduto ad entrare nel ghetto. Aveva paura ma non lo diceva. Stringeva la sua mano, forte, per attenuare la tensione.
Lievi i passi, per non disturbare quella quiete, una pace quasi irreale.
La gente seduta educatamente ai tavolini, cenava tranquilla, niente schiamazzi, solo un delicato brusio.
Luci soffuse illuminavano timide, le facciate dei palazzi, da cui trasparivano gli echi del tempo.
Era lì e respirava tutto questo… e pensare che la prima volta che le venne proposto quel luogo, la paura prese il sopravvento e non volle entrare. Sì, aveva paura di sentire troppo il dolore intriso in quelle vie.
Con stupore invece, varcandone la soglia, provó una sensazione strana. Era come se il tempo scorresse lento portando respiri di quiete, il che per lei era abbastanza insolito. Lei sempre così tesa, quasi fosse una corda di violino, tra quelle vie viveva una pace insolita.
Si aggrappò a quella mano e lui la tenne a se.
Avanzavano tra le vie incontrando i nomi di chi non era sopravvissuto all’egoismo e alla presunzione di certi esseri chiamati uomini.
Lei chiudeva gli occhi ed ascoltava; sì, si abbandonava a quel dolore che aveva temuto.
Lo sentiva entrare nel corpo e percorrerlo come un brivido. Era terribile!
Erano grida, pianti, erano sguardi attoniti, sorrisi di mamme che proteggevano i loro bambini. Erano speranze d’amanti, erano sconcerto e paura di chi incredulo subiva.
Tutte queste emozioni la turbavano ma, ma lui le teneva la mano quasi a farla restare ancorata alla realtà. Così il dolore restò solo una visione passeggera e non potè farle male.
Si fermarono davanti alle colonne passate. In pochi metri, secoli di eventi contrastanti. La morte e la grandezza contrapposti in una via. Figlie delle stesse mani ma di cuori diversi.
Restò ferma ad osservare sentendosi ancora più piccina mentre lui la sorreggeva per la vita con mani lievi. Quelle braccia per lei erano più del visibile.
Continuarono a camminare tra viuzze scomode e palazzi discordanti, tra vicoli silenziosi in un silenzio rispettoso di ciò che fù.
Era buio, non si vedevano le stelle, lucine brillavano al loro posto e la bellezza disarmante di un soffitto, nel frattempo aveva rubato un angolo di cielo.
Ritornarono sui loro passi lasciando la paura di avere paura tra quei vicoli magici e tra quelle mani che insieme agli sguardi avevan detto tutto ciò che la bocca si rifiutava.
Di quella sera restarono gli odori, le sensazioni, la magia.
Di quella sera restò il rosso.
Rosso il fuoco delle glorie passate ferme in quel luogo.
Rosso il sangue versato da chi abitava quei vicoli.
Rosso il vestito di lei che in quel luogo aveva lasciato una parte di se.
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Ciao Lucia, mi sono districato con passione tra i vicoli da te descritti con grande vena poetica, facendomi assaporare il rumoroso silenzio di un passato mai così lontano. Mi hai trasmesso una grande malinconia nonostante la magia contenuta in queste righe, e i versi finali sono davvero speciali. Un libriCk breve, ma certamente intenso e significativo?!
Grazie mille ☺️