La terra di Caino
Serie: Prima della fine del mondo
- Episodio 1: Il mio mestiere
- Episodio 2: 36 ore (parte I)
- Episodio 3: 36 ore (parte II)
- Episodio 4: La terra di Caino
- Episodio 5: Fuori, una sera
- Episodio 6: Un lavoro pulito
- Episodio 7: Colpo di grazia
- Episodio 8: Una scia di virtù
- Episodio 9: Posto di blocco
- Episodio 10: À rebours
STAGIONE 1
La storia delle origini dice che un tempo il delitto imperava. Gli uomini prendevano le altrui ricchezze, toglievano ad altri uomini la vita e tutto coprivano dietro una fitta cortina di menzogne. Esistevano leggi severe e molti uomini giusti, ma poco potevano contro i malvagi. Così il probo si era adattato a vivere accanto al disonesto e ciascuno trasmetteva ai figli il proprio esempio. Si usava punire i delinquenti togliendo loro un po’ di libertà e si erano costruiti degli edifici adatti all’uopo: ‘carceri’, si chiamavano. Ma la promiscuità favoriva il contagio, giacché la via più facile per raggiungere ricchezza e potere è sovente quella del male.
Tutto questo durò fino a che, venti secoli fa, alcuni saggi non stabilirono la più giusta delle regole: poiché non esiste alcuna società senza legge – e lo stesso malfattore che sottrae un bene a qualcuno si aspetta che gli altri non facciano lo stesso con lui – chi non rispetta la legge da essa non deve aspettarsi protezione. Perciò colui che si fosse macchiato di un reato grave avrebbe dovuto esser bandito da questa società e prendere la via dell’Est. Là, in quella terra immersa nella più cupa barbarie, costruire il suo mondo, scoprendo, suo malgrado, l’eterna utilità delle regole che aveva violato.
Fu così che la nostra civiltà cominciò a prosperare. La mala pianta dell’omicidio, del furto, della menzogna e della disobbedienza fu piano piano sradicata. I malvagi venivano allontanati alle prime avvisaglie delle loro perverse inclinazioni, finché del male cominciò a mancare l’esempio. I reati si fecero sempre più lievi e ingenui. L’omicidio fu il primo a scomparire, poi si fece sempre più raro il furto, poi la frode e, lentamente, nessuno ebbe più alcun bisogno di mentire. Il grano era stato definitivamente separato dal loglio: sorse così la società dei purissimi.
Oltre il muro che i nostri governanti avevano fatto erigere, in quello sconfinato Est che era divenuto la terra dei banditi, cominciò a sorgere, come era prevedibile, una società in tutto simile alla nostra, con la stessa legge dell’esilio. Si racconta anche che, una volta, i discendenti degli antichi esiliati, ormai anche loro purificati dal male, chiesero ai nostri governanti di abbattere il muro e fare delle nostre due una società sola. Sorse un acceso dibattito tra gli anziani, ma infine prevalse il buon senso: se si fosse concesso ai nostri vicini di mescolarsi a noi, ben presto la società che era sorta loro accanto, oltre il muro che anche loro avevano costruito, avrebbe chiesto la medesima assimilazione; così, in breve, pur incorporando solo società purificate, si sarebbero mescolati gradi diversi di purezza, col rischio di regredire di secoli e secoli: ad ogni apertura, infatti, si sarebbe contaminato un poco il nostro sentimento del giusto e, per tale via, non avremmo saputo più stabilire un limite netto all’assimilazione di società meno pure. Noi purissimi, pur riconoscendo il successo degli sforzi di purificazione dei nostri vicini, continuammo ad evitare ogni contatto con loro. La nostra era una missione religiosa: il nostro perpetuo isolamento doveva testimoniare la possibilità di una purificazione assoluta e garantire così la bontà eterna della legge dell’esilio.
Tuttavia sapevamo che il nostro mondo non è infinito. Le terre dell’Est più avanzato, forse, confinano con il mare, necessariamente lo stesso che lambisce il nostro occidente. Si pose un problema: se anche gli abitatori dell’estremo oriente avessero voluto applicare la regola dell’esilio avrebbero dovuto inviare con navi sul mare i loro delinquenti, i quali, certo, sarebbero prima o poi sbarcati da noi. Bisognava assolutamente evitare che questo avvenisse. Gli anziani decisero pertanto di inviare una spedizione sul mare occidentale con lo scopo di verificare quanto fosse distante la terra d’oriente, se fosse già abitata e se i suoi eventuali abitatori avessero intenzione di applicare la regola dell’esilio. Io, che ero a capo dell’ambasceria, avrei dovuto, con molto riguardo, dissuaderli ed avanzare proposte alternative: la costruzioni di carceri in loco ad esempio. Solo questo avrebbe garantito la nostra sopravvivenza.
I preparativi della spedizione furono molto laboriosi. Nessuno poteva minimamente immaginare come era stata organizzata la terra dell’estremo oriente, nessuno sapeva se l’avremmo mai raggiunta navigando verso ovest. Di certo essa era la patria dei più malvagi tra gli uomini: persone che avevano alle spalle generazioni e generazioni di delinquenti, ricettacolo di un male che secoli e secoli di punizioni non erano riusciti a spegnere. Per due anni leggemmo le storie lasciateci dai nostri antichi saggi: racconti che dovevano scaltrire le nostre menti, rese ingenue dalla lunga pratica della virtù. Noi, prescelti per il viaggio, imparammo a conoscere, su libri vietati da secoli a tutti i nostri concittadini, la potenziale crudeltà del cuore umano e la sua doppiezza.
Fummo accolti con sorprendente cortesia. I governanti del paese dei pravi dimostrarono di conoscere bene le regole dell’ospitalità. Noi, d’altro canto, cercammo, per quanto possibile, di non lasciar trasparire la consapevolezza della loro indegnità. Del resto, nelle azioni, nulla ci distingueva. Anche la società dei pravi pareva essersi purificata del tutto. Chiedemmo solo di non dover mangiare ad ogni pasto assieme a loro e di non dover passare con loro il tempo del nostro riposo, per paura che le loro parole, nei momenti in cui eravamo più vulnerabili, potessero involontariamente violare la nostra purezza. Fummo accontentati senza che ci fosse chiesta alcuna spiegazione; spesso, anzi, erano loro ad accomiatarsi da noi adducendo deboli scuse: ci parve una forma di grande delicatezza nei nostri confronti.
Venne il giorno in cui chiesi di parlare con una rappresentanza dei loro governanti. Dovevo, per quanto imbarazzato, rendere esplicito quello che fino ad allora eravamo riusciti a tacere. Il motivo della nostra missione poteva contrariare i pravi: la loro legittima aspirazione alla completa purezza avrebbe infatti dovuto esser frustrata dall’angustia del mondo. Bisognava, insomma, chiarire che noi purissimi (e della nostra purezza essi erano evidentemente consapevoli) non volevamo e non potevamo dare ricetto ai loro criminali. Eravamo disposti a sostenere tutti i costi delle carceri che si sarebbero costruite sul loro territorio. Ci pareva una soluzione ragionevole, volta alla perpetuazione di un sistema che aveva garantito l’elevazione spirituale del mondo intero.
I pravi ascoltarono in rispettoso silenzio la mia orazione. Alla fine si guardarono tra sé, mi parvero stupiti, addirittura spaventati; uno tra loro fu incaricato di rispondermi. I purissimi, disse calmo, non avevano nulla da temere: tra i pravi non esisteva più il male. Delitti e menzogne erano stati banditi per sempre anche dalla loro terra grazie alla legge dell’esilio istituita venti secoli prima. Perciò potevo tornare in patria tranquillo.
Il dubbio mi colse una sera silenziosa, durante il viaggio di ritorno, la luna vegliava sul mare calmo. Capii d’improvviso i loro sguardi attoniti, impauriti, capii la loro precedente delicatezza. Venti secoli prima alcuni pravi avevano preso la via dell’esilio. Quale esilio, se venti secoli fa la regola era appena nata nella nostra società e la loro non esisteva ancora? E poi quale via? Erano forse andati ad est i loro delinquenti? Allora siamo noi i loro figli, meno puri di quanto immaginiamo di essere. O, peggio, erano andati ad ovest e allora sono loro i purissimi e noi i pravi.
Ma c’è un’altra risposta che mi posso dare e, tra tutte, è la più terribile. Il male del mondo, distillato in venti secoli di accurate esclusioni (poco importa se verso est o verso ovest), si è concentrato in una sola colossale menzogna. Grazie ad essa – contento della sua vittoria – Satana regna sul migliore dei mondi possibili.
Serie: Prima della fine del mondo
- Episodio 1: Il mio mestiere
- Episodio 2: 36 ore (parte I)
- Episodio 3: 36 ore (parte II)
- Episodio 4: La terra di Caino
- Episodio 5: Fuori, una sera
- Episodio 6: Un lavoro pulito
- Episodio 7: Colpo di grazia
- Episodio 8: Una scia di virtù
- Episodio 9: Posto di blocco
- Episodio 10: À rebours
scritto con grande abilità e cura, si chiude su una domanda alla quale è impossibile dare risposta. L’antico e sciagurato sogno di tracciare una linea netta fra bene e male, fra puro e impuro, fallisce ancora una volta. Ma poi, Caino non era stato un grande fondatore di città? La civiltà- le città – hanno un bel marchio d’origine stampato sulla fronte.
Se si potesse ripetere l’esperienza di Wu Ming, quando mi piacerebbe!
Con temi diversi e diverso stile, ovvio, ma il medesimo nascondimento, almeno per un poco.
Rispetto ai tre episodi precedenti ho notato uno stile narrativo diverso, come fosse stato scritto da un’altra mano. E, forse, è proprio così: forse, dietro il profilo di Ian Elias si cela un gruppo di persone, che fornisce il proprio contributo alla scrittura di questa bella ed intrigante serie.
Ad ogni modo, senza che ciò costituisca un limite o un aspetto negativo, mi ha molto colpito questo flashback, che narra del passato remoto del mondo in cui si svolgono i fatti.
In particolare, ho apprezzato il linguaggio per certi versi aulico del narratore, che è perfettamente in linea con l’idea che loro hanno di se stessi, ovvero una società di purissimi, elevatasi, forse addirittura evolutasi, spiritualmente fino a diventare una forma di vita completamente nuova.
Sono curioso di scoprire come questo flashback si andrà ad incastrare nella trama principale, narrata nei primi tre episodi.
Chi scrive ritiene di doverla ringraziare a nome di Ian Elias. La serie è destinata a rivelare – attraverso una serie di indizi estremamente difficili da cogliere e da riunire – la/le identità di Ian Elias. Chi scrive augura buon divertimento.
Pensavo di chiederti se ti sei nutrito di Borges ma in realtà non m’interessa saperlo: sono stata felice di leggere lui e sono felice di leggere te. A prescindere da tutti i possibili accostamenti, che comunque non sono un difetto, anzi!
Chi scrive ritiene di doverla ringraziare a nome di Ian Elias. L’analisi/accostamento è esatta/o. Ian Elias conosce Borges.
Bello! Siamo di fronte a un mistero?
Una sola parola: wow!
Chi scrive ritiene di doverla ringraziare a nome di Ian Elias.