
Serrature
Mi è arrivato all’improvviso e senza una ragione eclatante, senza che ci fosse dietro il significato del mondo a sorreggerlo, mentre tentavo di chiudere a chiave il bauletto del mio motorino.
Che devo accettare le cose. In realtà, non è che non lo sapessi già da prima, è che stavolta mi sono risposto che sì, che è ovvio, che così deve essere, e così sarà.
Che non farò il Capodanno al freddo, perché mia moglie lo detesta nonostante io lo adori. In questa cosa non è disposta a venirmi incontro, e io non gliene faccio un biasimo.
Che mi piacciono i film, ma mi ci addormento davanti, anche a quelli più coinvolgenti. Non c’è una ragione, succede e basta. Dovrei guardarli d’in piedi, o in ginocchio sui ceci forse, ma perderebbero di attrattività. Preferisco vederli in due volte. O tre magari.
Che non cambierò macchina tanto presto, perché semplicemente non ho soldi a sufficienza. E che il desiderio di cambiare macchina non è tradire i propri principi sul concetto di superfluo, ma solo manifestare la propria umanità.
Che non sono capace a stendere l’isolante sul terrazzo. Anzi, probabilmente sarei anche capace, ma non ne ho voglia. Mi mettono in crisi in preparativi, e preferisco pagare qualcuno che lo faccia al posto mio mentre sono al lavoro. Che devo dire, si vede che ho altre doti. So imitare il suono della cornamusa tappandomi il naso e picchiettandomi sulla carotide ad esempio. Può compensare?
Che probabilmente non cambierò mai casa, perché se non ho soldi per cambiare la macchina, beh, non è che ci sia molto da aggiungere.
Che non farò soldi nel modo che mi piacerebbe, con la scrittura, perché in tal senso riconosco di avere qualcosa di più che il solo pollice opponibile, ma riconosco anche di avere iniziato troppo tardi a dedicarle il tempo che merita, e non arriverò mai a certi livelli prima che il mio, di tempo, sia scaduto. Ma mi alleno con convinzione per la prossima vita, sperando che mi rimanga qualcosa.
Che non ci sarebbe stato niente di immorale se, invece, ci fossi riuscito, perché (e stavolta la ragione non me la spiego) ho sempre un cazzo di senso di colpa che mi mangia la testa ad ogni passo che compio, e sarà anche un po’ l’ora di levarselo dai coglioni a cinquant’anni suonati.
Che cammino storto e che non è che me la sia cercata calandomi acidi col cucchiaino quando ero giovane. Nemmeno uno a dire la verità. E anche fosse stato, tutti facciamo cose stupide di cui ci pentiamo. Il pentimento è già una punizione sufficiente, non serve rincarare la dose rompendo il cazzo a destra e a manca, tanto non è che torni indietro nel tempo. Certe cose che una volta riuscivo a fare, adesso, non ci riesco più; e ho il sospetto che la cosa non andrà a migliorare. Per cui mi dedico al possibile, e per il resto, boh, non è che possa avere proprio tutte le risposte.
Più tante altre cose.
E questo rende tutto così incredibilmente semplice.
Guarda te cosa viene fuori da una chiave che si incastra nella serratura.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
sono meditazioni che ho fatto anche io, forse anche oggi, per cui ho provato molta empatia con il personaggio. l’obbiettivo è anche questo, sapere che c’è un lettore che ti legge e può provare un pensiero simile, aldilà del lavoro e valore tecnico, dovrebbe essere l’obbiettivo di un autore
Scusa David, mi rendo conto solo ora di non averti mai risposto. Grazie per le tue parole, le condivido appieno
Caspita questi cinquant’anni come ci pesano. Il senso che sia tutto perduto o addirittura finito. Il fatto che non sia più il nostro momento. Forse, piuttosto, in un’altra vita. Il fatto che la chiave di un bauletto qualsiasi non giri più nel verso giusto. E meno male che ogni tanto qualche ‘cazzo’ spezza la narrazione, interrompe i pensieri, ci dice che forse così da buttare non siamo 😅. Mi è piaciuto lo stile che hai usato per mettere su carta i pensieri storti di una giornata iniziata storta. Direi scorrevole e molto fresco, nonostante i cinquant’anni 🙂
Cara Cristiana, giusto nelle scorse settimane Andrea, il docente di un corso che sto seguendo (anzi, è proprio il caso di chiamarlo Maestro), ci parlava del senso nella scrittura. Di quanto non sia necessario mettersi per forza lì a lambiccarsi il cervello per trovare un significato recondito nelle cose che ci escono dalle dita; di scriverle e basta, perché probabilmente, alla fine, ci pensa già chi ci legge a trovare un significato. E magari anche più di uno.
Ecco, se Andrea avesse letto il tuo commento, penso che si sarebbe tolto quegli occhiali dalla montatura quadrata che porta con estrema naturalezza e senza i quali quasi non lo riconoscerei, li avrebbe posati sul tavolo, si sarebbe massaggiato le palpebre con i due indici, si sarebbe abbandonato sullo schienale della sedia a braccia conserte e nel suo accento romano che sempre mi ipnotizza e segretamente un po’ invidio mi avrebbe detto: “Lo vedi che non dico cazzate?”.
Questo è il mio modo per ringraziarti.
Ti capisco fino in fondo 🙂
Mi piace quello che ho letto. Pensieri che sembrano tratti da una pagina di diario. Da questi frammenti di vita semplice ci rivedo la mia di vita, e penso che molti potrebbero affermare la stessa cosa. Se crei una connessione empatica con il lettore, lo hai conquistato.
La parte dove scrivi che avresti voluto fare soldi con la scrittura, che però ritieni sia troppo tardi, è anche quello un pensiero dove mi sono riconosciuta. Toccare questi punti, un po’ dolenti, è un valore aggiunto al tuo lavoro. Credo che tu debba valorizzazione di più il finale, ma è solo un mio parere, non me ne volere. Il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace fare può essere poco, ma tutto ciò che puoi scrivere, passa prima dalla tua mente. E quello, lo puoi fare in qualsiasi momento, senza bisogno di una tastiera sotto le dita.
Grazie Rita, sono d’accordo con te sul fatto di scrivere prima nella mente e poi, quando possibile, su altri supporti. Quello che non finisce mai di stupirmi è come le righe che mi scrivo in testa acquisiscano poi una volontà loro e si riversino in forme del tutto inaspettate. Quasi una forma di stregoneria. Per il finale, sì, può dire di più. L’ho buttato giù in fretta, quasi sotto forma di esigenza, davvero nello spazio tra il baule del mio scooter e la scrivania del lavoro. E all’idea di rivederlo ho sentito una voce fuori campo che mi diceva “Ahi ahi ahi, la prima risposta è quella che vale Sig. Toso. E ora mi dica, quale busta vuole? La uno, la due o la TRE?”
Se Gerry Scotti fosse qui alla tastiera, probabilmente ti direbbe di prenderti del tempo per rispondere. Vale la stessa cosa per il tuo finale. Che preciso, va benissimo anche così, ma che sono sicura può essere formulato ancora meglio. Ti faccio ancora i miei complimenti comunque. Non è facile parlare dei propri pensieri con tale scioltezza e ironia.
Un approccio diretto ed umoristico ad una delle prese d’atto più vere ed inevitabili che esistano.
Ti stai allenando bene per la prossima vita, Roberto. Pensa che io ho scritto le mie prime cose vent’anni fa (se escludiamo i raccontini composti quando ero ancora post-adolescente) e ancora non ho venduto nulla. Certamente non sono bravo abbastanza mentre tu sì che mi sembri bravo abbastanza.
Ma la vita non dà sempre quello che vorremmo, giusto?
Fa parte delle cose che prima o poi, magari a cinquant’anni, impariamo tutti…