Solo arrivare a domani

Serie: Mediamente in pericolo!


Ho ripreso a camminare, andando incontro a quel mugghiare che il vento produceva passando tra due picchi.  Avido di alture, da cui ingozzare gli occhi di bellezza, avanzavo freneticamente, dandomi di volta in volta una nuova cima come meta finchè, giunto sull’ennesima e guardando di sotto, non ho visto un posto che ha placato quella fame di panorami. Uno spiazzo tra due laghi.

“E’ questo il posto!” Ho pensato.

(Foto di Fabio Elia)

Un cartello ammoniva sul fatto di non inserire, nei laghi, pesci forestieri, poichè, informava, era avvenuto in passato che qualcuno lo avesse fatto con nefasti effetti per flora e fauna autoctoni. Un’occhiata ai laghi e ai due maestosi picchi antistanti; chissà come sarebbe piaciuto agli altri, questo posto. Con questo pensiero in testa, sono tornato a cercarli, determinato a convincerli.

-Ragazzi! Ho trovato un posto magnifico, vicino a due laghi!-

-Ma è riparato?-

-Credo di sì. E’ in basso, in una conca.-

Il mio tono era quella di un bambino supplichevole quando vuole convincere il genitore a portarlo al parco dei divertimenti. Favie non era convintissimo, ma si è arreso di fronte al mio entusiasmo. Gli altri sembravano bendisposti a svegliarsi, al mattino, di fronte all’azzurra superficie di due laghi di montagna. Era fatta, ma ora veniva il difficile, ossia portare la roba sul posto senza farci notare dalla gente del rifugio e dagli avventori. Dopo aver portato le auto al fondo della strada, dove una transenna sanciva la fine della percorribilità e il mondo civile incontrava l’area selvaggia dei picchi disabitati tra Piemonte e Val d’Aosta, abbiamo preso zaini e borsoni e ci siamo avviati su per i ripidi pendii erbosi, inframmezzati da letti rocciosi di ruscelli. Io ero carico come un mulo. Avevo uno zaino sul davanti, uno sulla schiena e due borsoni, uno per mano. Stavo morendo. Il cammino sarebbe stato disagevole anche senza pesi; così era estenuante. Arrivati a metà percorso,  ci siamo seduti su qualche pietrone a rifiatare. Favie si è offerto di farsi carico di uno dei borsoni che stavo portando e io gliel’ho ceduto senza opporre resistenza, in cambio avrei portato la sua quechua, molto più leggera. Dopo pochi minuti, il paesaggio lacustre da me scelto, si rivelava anche ai loro occhi meravigliati. Scilli urlava per l’entusiasmo qualcuna delle sue frasi sconnesse. Favie era corrucciato per due motivi: uno, ci sarebbe stata un’umidità elevatissima; due, dall’altro capo di uno dei due laghi, su di un’altura, due tipi ci stavano osservando attentamente.

-Stanotte verranno ad ucciderci nel sonno.- Commentava Ele, tra l’impaurito e l’eccitato.

-Saranno due come noi. Perciò vuol dire che si può pernottare.- Ho cercato di rassicurare gli animi.

-E se fossero due di guardia, posti lì proprio per individuare i trasgressori?- Si chiedeva Favie.

-Addirittura sarebbero così zelanti da fermarsi la notte qui per controllare?- Ho chiesto io, poichè in effetti si stava già facendo buio.

(Foto di Fabio Elia)

Favie ha deciso di giocare d’anticipo ed andare a chieder loro se si potessero o meno piazzare le tende. Quelli continuavano a fissarci, immobili, in modo inquietante. Io, Favie ed Ele, muniti di torce, abbiamo costeggiato il lago che ci divideva da quegli individui, saltando di roccia in roccia, fino ad arrivare a tiro d’urlo.

-Scusateee!- Ha urlato Favie- Sapete mica se si può pernottareeee?-

Qualche secondo di suspance, poi uno ci ha risposto:

-Una notte sola sì, perchè è considerato bivacco.-

Ci aveva visto giusto. Erano due spioni stacanovisti. Li abbiamo ringraziati per l’informazione e siamo ritorniati verso gli altri per dare la lieta novella. Ele, comunque, non era del tutto convinta e continuava a formulare ipotesi da film horror, in cui ci avrebbero inevitabilmente fatto fuori nel modo peggiore.

Rasserenati gli animi circa la questione multa, abbiamo cominciato a preparare il campo per la notte, piazzando le nostre tre tende. Favie ed Ele avrebbero dormito ovviamente assieme; Scilli e Blaco, giocando forse d’anticipo per non dormire col problematico Veo, si sono subito scelti come compagni di tenda, e così le coppie erano fatte. Veo, dal canto suo, piazzati i fornelli, era tutto intento, tra padella e pentolino, a prepararsi la pasta; sembrava un dj alla consolle. Io, Blaco, Scilli e ed Ele, mangiando panini, ci siamo stesi su un materassino e abbiamo cominciato a fare a gara di stelle cadenti. Se ne vedevano continuamente, tanto che avevo difficoltà a trovare ancora desideri da esprimere, così finivo per ribadire quelli già espressi.

(Foto di Fabio Elia)

Favie ci faceva foto e prendeva in giro Veo. La pasta era piuttosto scotta, ma il dj dei fornelli si è mangiato quella più un panino e per digerire, se n’è fumate un paio di quelle buone, una dopo l’altra. Nel frattempo, la temperatura cominciava a scendere vertiginosamente, in maniera inversamente proporzionale all’umidità, che raggiungeva livelli inverosimili, tanto che, toccando il materassino o la superficie  esterna delle tende si poteva constatare che erano fradici, come se stesse piovendo. Era il momenti di prepararsi per la notte. Io, oltre ad indossare maglietta, maglia, felpa e k-way, ed essere entrato nel sacco a pelo, avevo avvolto quat’ultimo in un pile e una coperta. Accucciato in questo modo, la temperatura nel mio fagotto si faceva sopportabile e scivolavo, così, in un sonno ristoratore, ma non per molto…

-Meex, stai dormendo?- Mi ha chiesto Veo, svagliandomi.

-Sì…- Ho risposto io, pensando all’inutilità di una domanda simile. Evidentemente non aveva sonno e voleva che non dormissi neanche io.

-Ma non ti manca il respiro?-

-No. Ho il fiato un po’ corto, ma è normale. Siamo a 3000 metri e c’è poco ossigeno. Però ti ci abitui.-

-Io ho sentito che due escursionisti sono morti soffocati nella tenda perchè mancava l’ossigeno.- Ha detto lui, mentre spingeva continuamente il “soffitto” della tenda verso l’alto.

-Ma che cazzo dici, Veo. Sarebbero illegali le tende se soffocassero le persone. Hai solo un po’ di fiato corto, non ci pensare.-

-Non so. Mi sento strano. Forse devo vomitare.-

-Probabile. Hai mangiato pesante e poi ci hai fumato sopra, poco prima di stenderti. Esci e vomita e dopo starai meglio.-

-Vieni con me.-

-Cazzo, Veo, non mi chiedere questo. Ci ho messo una vita ad infilarmi dentro questi strati di coperte, dovrei disfare tutto. Mi stendo al contrario, con la testa fuori e ti guardo da qui.-

-Ok.-

E così, è uscito dalla tenda a vomitare, mentre io mi “godevo” lo spettacolo, dopo essermi capovolto, facendo contorsionismo nella tenda, con la leggiadria di una larva. In effetti, pensavo, Veo aveva contravvenuto, tra l’altro in maniera rigorosa nel suo trasgredire, a tutti gli accorgimenti che andrebbero presi, se si è soggetti a ipossia, per evitare quello che viene chiamato “mal di montagna”, ossia la sofferenza per la scarsità di ossigeno (tra l’altro raro sotto i 5000 metri). Prima regola: evitare di salire, in un solo giorno, da zero a tremila, ma fare delle tappe intermedie. Seconda regola: perlomeno, se si è trasgredito alla prima, evitare di pernottare. Terza regola: evitare grossi sforzi fisici. Quarta regola: non appesantirsi con pasti troppo abbondanti. E io ce ne aggiungerei una quinta: non fumarsi due “sturzi”, soprattutto prima di coricarsi e dopo aver mangiato pesante. Lui le aveva ciccate tutte. Però, dato che aveva vomitato, adesso tutto sarebbe andato per il meglio. Infatti, poco dopo, sarebbe rientrato in tenda ed io mi sarei riaddormentato, ma non per molto…

-Meex! Ma tu riesci a dormire?-

-Sì, Veo, se non fosse per te ci riuscirei.-

-Mi manca l’aria. Non ci posso stare qui. Devo andare via da questo posto.-

-Ma dove vuoi andare, Veo? E’ notte fonda e siamo in alta montagna.-

-Prendiamo la macchina e andiamo a cercare un bar. Prendiamo un caffè.-

-Veo, a quest’ora, qui in montagna, non troveremmo un bar aperto nel raggio di decine di chilometri e, inoltre, sei pazzo a pensare di guidare su quei tornanti pericolosi con il buio…e in questo stato.-

-Arriviamo almeno fino alla macchina e dormiamo lì.-

-Ti prego, Veo, è solo questione di testa. Non ti fissare. Rilassati.-

-Non ci riesco. Tu sei psicologo, dimmi qualcosa.-

Il vuoto. D’altronde, come setting non era proprio il massimo del comfort. La prima cosa che mi è venuta in mente da fare, non chiedetemi perchè, è stato cantargli la sigla di Jeeg Robot D’Acciao. Stava in silenzio ad ascoltare e, per un po’, ho pensato che stesse funzionando. Ma, poco dopo, sarebbe balzato sulle ginocchia, verso l’uscita, dicendo:

-Ora, io scenderò fino alla macchina e tu dovrai accompagnarmi in quest’avventura.-

-Noooo, Veooo, ti prego!-

-Va bene, allora vado da solo. Io qui non ci riesco più a stare.-

Indeciso, l’ho guardato trafficare con la cerniera e mi ha fatto tenerezza. Non potevo fargli attraversare quei pendii, da solo, col buio, in quello stato. Che cazzo di amico ero?

-Va bene, dai, vengo anch’io. Ma restiamo a dormire in macchina, non ci mettiamo alla guida.-

-No, no. Rimaniamo a dormire lì.-

Ed eccoci fuori, nella notte buia di montagna. Io mi tenevo la coperta sulle spalle, tipo Batman, e guardavo le tende degli altri, invidiandoli. Abbiamo cominciato la discesa, con le nostre torce sulla fronte, ma dovevamo andare a naso perchè, tra noi e la macchina, non c’erano sentieri, solo pendii che, col buio, sembravano tutti uguali.

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