Wild Card
Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.
Fedor Dostoevskij “Il Giocatore”
“Ci vogliono i soldi per fare soldi perché l’acqua va sempre verso il mare”. Questa è una delle massime di quel dandy dei bassifondi – Daniel Malignaggy: gran maestro dell’ordine dei biscazzieri, altresì detti giocatori d’azzardo. Dopo l’ennesimo spreco di spicci ed energie, proprio ora, mentre sto scrivendo questo incipit della storia, starà ancora rintanato dentro qualche centro scommesse: stanleybet ma potrebbe anche essere alabet, insomma in qualsiasi posto il cui finale è bet (scommessa).
Sono tutti uguali questi tuguri, bui ed umidicci: quelli più areati lo sono per via del venticello che si genera per via di rutti, scatarri e scoregge dei giocatori incancreniti e tubercolotici: venticello spiacevole soprattutto negli afosi mesi estivi, in cui l’aria stantia e pestilenziale e’ ferma.
O magari si sarà bunkerato dentro la Planet dove sparano musica commerciale a volume industriale che riesce a coprire anche il rumore del getto del phon scassa-minchia dei parrucchieri cinesi, che popolano il locale adiacente.
Siamo di nuovo al verde! Dopo un altro tour dell’Atp, in cerca di un sogno, una svolta, che tarda sempre ad arrivare.
Ma che, anzi, con l’afa di fine luglio si cementifica come napalm nel nero e catramoso asfalto di un vacuo incubo suburbano in cui giannizzeri perditempo si svendono al demonio per pochi centesimi solitamente lasciati per mancia.
Il passo verso il mondo dei dannati è sempre più breve di quel che si pensi ed io ed il mio socio di scommesse abbiamo il breviario a portata di mano.
In qualsiasi momento esibiamo il pass tatuato in petto per mutarci in quegli zombie psycoscemi che popolano le stazioni cancerose poco dopo l’alba: derelitti agganciati come storpi ai videopoker della demenza sedile.
Dopodiché esiste solo la rovina, il gioco è sempre un azzardo, un auto-sequestro nel limbo tra il Lidl e la libido.
Malignaggy è il prototipo dell’ebreo molto errante ma poco osservante e meno che mai ortodosso. Fotocopia sputata del pugile di Brooklyn siculo-americano Paulie Malignaggi: ci va giù forte con le scommesse sul Tennis, qualsiasi torneo planetario basta che ci sia una racchetta ed un set di palline: dai più quotati e prestigiosi del circuito Atp, o grande Slam a quelli dell’ oratorio dietro casa, statene certi, ci sarà sempre e comunque una sua schedina pronta a sventolare nei rari casi di riscossione o, molto più probabilmente, carta straccia.
In fondo lo spirito primigenio dello scommettitore seriale è giocare sempre e comunque; ovunque in “ogni luogo, in ogni lago”, con qualsiasi temperatura corporea ed esterna, contro tutto e tutti.
Ma soprattutto sfidare il pronostico più favorevole. E’ una vera e propria guerra con e contro se stessi, questo non è un knowhow sull’estetica del gioco o un oscuro almanacco allegorico del basso medioevo, questa e’ una lotta corpo a corpo con il proprio karma, con l’ineluttabile indeterminatezza del proprio destino, verso tare metagenetiche: la possibilità anche se statisticamente non provata che il ribaltare il pronostico della sorte non può e non deve restare un atto intentato per lo scommettitore puro.
Quella mattina il Maly mi svegliò con una uozzappata molesta: “’Nciò capito un cazzo, s’è ritirato Dodig (Ivan) e lui ha perso con un altro ma sicuramente ce la daranno perdente, cioè Dodig ha fatto giocà un altro che ha perso con Stakhowsky (Sergiy), un bordello, io poi passo alla Stanley e vedemo se… porco Dio …nce va mai ‘na cosa liscia, sempre un casino”
Il fatto che il messaggio avesse toni così foschi e brutali non mi turbò affatto: conoscevo ormai i suoi up e down, montagne russe del sistema dopaminergico.
Questo torbido girovagare nei posti in cui non penetra mai la luce del giorno lo porta ad imbattersi in equivoche signorine a rota di psiconevrosi da bamba, e Daniel riesce sempre a salvarsi insperatamente con un passante incrociato alla Sampras, suo idolo, di giudee comuni e scomunicate origini, chiudendo subito il punto della conversazione con “Sto al paese, è tardi, non posso parlare ho mal di gola” e lasciando la piagnucolosa di turno stizzita e stecchita nel suo trip. Questo al paese mio si chiama savoir-faire da minorati. Si diventa padroni della strada quando nessuno ti si mette fra i piedi. La nostra paranza si limitava alla direttrice Esso-terica che unisce il distributore appunto con le agenzie di scommesse: Stanleybet, Alabet e Planet. Il “Re Sinagoga” era solito sbracciarsi, inalberarsi, dare in escandescenze in un ambiente, quello delle scommesse, notoriamente silenzioso ai limiti dell’omertoso: Maly impartisce dritte e dirige come un maestro di musica diarroica e dodecafonica l’orchestra dei malconci delle sale a suon di soffiate, studi statistici, accanite ricerche su motori di ricerca albanesi, rigorosamente da effettuare nella free zone del wifi.
Deve provare un godimento orgasmatronico nel fallimento collettivo, muoia il Giudeo con tutti i filisterici…
Se Malignaggy si ispira per il suo lifestyle a Pete Sampras, un Federer ante-litteram, invincibile e maniacale serial killer delle wild card, da collezione.
Per quanto mi riguarda, mi riconosco come il figlio dimenticato degli anni ’90, assolutamente convinto che nella “Società dello Spettacolo” anche la rivoluzione ha bisogno della sua estetica e nel tennis questa rivoluzione aveva il nome di un punk dei circuiti Atp: il pirotecnico, imprevedibile e discontinuo Mr. “Trucco Parrucco”Andrè Agassi. Dal canto suo Daniel, è solito dividere i professionisti top 10 nel ranking mondiale in froci/non froci e scopatori/non scopatori. Ed anche in base a questo orientamento fenormonale imposta le sue scommesse: Ivanisievic , ad esempio, a sentir lui era un grande montatore libero. Pare infatti che prima della partita si imboscasse per breakkarsi la raccattapalle di turno. Per questo suo vizietto una volta arrivò addirittura in ritardo sul campo da gioco, prendendosi un warning dall’arbitro. Il tennis è lo sport solitario per eccellenza. Mancando il contatto fisico, si è condannati ad interminabili soliloqui, una continuativa alienazione fisica e mentale. Nel tennis avviene una trasfigurazione, cadono le impalcature e le sovrastrutture dell’ego e non si capisce più bene cosa rimane. L’urlo disumano mentre si colpisce la pallina con la racchetta ricorda il grido ancestrale dell’uomo primitivo che con una clava sferzava fendenti contro scheletri di mammuth. Oppure nel tennis femminile quell’ urletto strozzato pare più simile ad un orgasmo rubato in qualche pornoshop di seconda mano.
E Sigmund Freud muto! Un professionista della solitudine e del nomadismo come Agassi nella controversa biografia “Open”, liquida la faccenda esistenziale del tennista in campo: “Il tennis è lo sport in cui parli da solo. Nessun atleta parla da solo come i tennisti. I lanciatori di baseball, i golfisti, i portieri borbottano tra sé, ma i tennisti parlano con se stessi – e si rispondono”. 8 Se è già insostenibile la solitudine, ed insopportabile il solipsismo del tennista che vince, figurarsi di quello che perde. Essere sconfitti perdere la partita che vanifica uno sforzo sovraumano nello psicodramma di un tie-break o nell’escatologia di un match point. L’homo cum racchettam è nel migliore dei casi un misantropo e nei peggiori un sociopatico.
Il nostro Fabio “PsychoFogna” Fognini ad esempio è un apologeta del TSO da Atp.
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