
30 metri
30 mt… su per giù…comunque abbastanza in alto per schiantarsi. Chissà quanti secondi può durare un volo da quest’altezza? 3? 4? Sono qui da 7 minuti, 7 minuti lunghissimi. Lo so perché erano le 10.25 quando ho messo i miei piedi scalzi su questo masso e ora, che aspetto l’attimo perfetto per buttarmi, sono le 10.32. Ho un po’ la mania dei numeri, l’ho sempre avuta, ho sempre e solo contato, calcolato, misurato. Andavo benissimo in matematica e malissimo in italiano. Eppure non ero autistica come ad un certo punto hanno pensato i miei genitori, i miei maestri, i miei amici… Ero solo molto ferrata per la matematica. Lì tutto torna, senza se, senza varie possibilità, senza imprevisti, incertezze, sfumature. Non ci sono sentimenti, emozioni, considerazioni, riflessioni, critiche, giudizi, battiti cardiaci alterati, sfarfallamenti vari in ogni dove, sudore ascellare, pallori, svenimenti… insomma, la matematica è fantasticamente lineare, semplice, “sintetizza i pensieri e accende i sogni” come canta Ermal. O forse ho sbagliato un’altra volta le parole della canzone; l’assonanza è un altro mio grande problema.
Che ore sono? Le 10.34, sono passati solo 2 minuti. Giù si è riempito di gente. Ma la gente ha proprio il gusto del macabro! Ti vedono lì su in alto, sul punto di buttarti e aspettano con trepidazione il momento emozionante in cui spiccherai il volo, il salto nel vuoto. Guarda! C’è anche chi mi sta riprendendo. Ma per forza ci metto un sacco! Con tutta questa gente non riesco a concentrarmi. Non è che buttarsi da 30 mt, o su per giù, sia una cosa così facile. Io ho paura.
Vabbè, provo a chiudere gli occhi e a vedere se riesco a farlo. Voglio ripensare alla mia vita. Perché si dice che quando ti butti ti passa tutta la vita davanti in quei 2 o 3 secondi. E io non ci credo. Sono qui soprattutto per questo. Non mi torna: 34 anni di vita riassunti in tre secondi. Quindi voglio pensarci un po’ prima del grande passo. Ripensare alla mia vita. Alla mia schifosa infanzia, alla mia schifosa adolescenza, al mio primo schifoso amore e anche all’ultimo. Solo che proprio non mi viene in mente niente in questo momento. Il buio più totale! Chiudo gli occhi e vedo solo quello che c’è: il buio più totale.
Guardo l’orologio. Le 10.36. altri due minuti. Giù saranno arrivati a una trentina. Ora li conto. A due a due faccio prima. 2, 4, 6, 8, 10, 12, 14, 16…no! Quello si è spostato, non so più da dove ripartire! Lasciamo stare, non ce la faccio da qui, ora… ho perso anche questa, l’unica cosa che mi era rimasta, l’unica cosa che non mi era stata strappata, l’unica cosa che mi dava sicurezza e pace: la lucidità numerica.
Basta, mi butto, sono stanca, anche di contare i secondi tra un pensiero e l’altro. Vada come vada, vado!
Il respiro si è bloccato nel petto, ingabbiato, schiacciato, compresso. Non arriva ossigeno, il cuore non batte più, non vedo niente, gli occhi lacrimano, non riesco ad urlare, la voce è imprigionata nel mio cervello.
Vedo la brutta faccia di mia madre, il viso teso, i denti in bella mostra, pronti a mordere, gli occhi spiritati. Probabilmente un demone si è impossessato di lei. Ha già la mano sollevata, pronta a schiaffeggiarmi. Ma improvvisamente sento sciogliersi una carezza sulla guancia e fiorire un dolce sorriso sul suo volto. Quasi non la riconosco. Forse non è mia madre, questa donna piena di tenero amore per me. Per me… forse è la madre che lei avrebbe voluto essere se non fosse stata tanto malata.
Ecco lui! Lo sapevo! Ne ero certa, matematicamente certa! Il sogno, la promessa, il desiderio, il giuramento, la più grande delusione, la più forte illusione. E questo sarebbe un fantastico testo per una canzone. Avevo creduto in lui con convinzione. Non perché si fosse impegnato per rendersi credibile, ma perché lui era la credibilità in carne ed ossa! Nessuna donna avrebbe mai potuto dubitare della sua integrità, della sua solidità. Parlava poco, faceva poco, aveva quell’espressione pacata ma decisa, risoluta. Nulla lo sfiorava, nessun timore, nessuna perplessità, nessun giudizio. Lui sapeva, lui era. Era un uomo tutto d’un pezzo. Ma un pezzo di che?
Sì, perché, alla fine, ha continuato a non dire, a non fare, a starsene lì pacato mentre il mondo mi crollava addosso. Chiuso nella sua indifferenza mi ha vista cadere nel precipizio senza fare niente, consapevole di tutto ma totalmente immobile. Perché l’uomo tutto d’un pezzo difficilmente si muove, è duro, rigido, piantato lì dove lo vedi. Ci puoi sbattere contro e lui non fa una piega. Ti puoi disperare, urlare, piangere, ma lui non si commuove, non si piega verso di te, non ti abbraccia, non ti consola, lui si infastidisce, si disgusta dei tuoi lamenti, del tuo dolore…insomma, lui il concetto de “La cura” di Battiato non l’ha proprio mai capito!
Mia nonna! Un battito, ho sentito il cuore rivivere, un solo colpo, ma sufficiente per sentire che c’è ancora vita. Nonna! Che bella che sei! Lo sei sempre stata. La più bella di tutti! Peccato che nessuno di noi abbia preso da te, soprattutto tua figlia. Se avesse avuto il tuo sorriso, la luce dei tuoi occhi pieni d’amore, quei tuoi occhi azzurri, la tua intelligenza! La mia vita sarebbe stata migliore, io sarei stata una persona migliore, non avrei rincorso l’amore di nessuno perché… non ne avrei avuto bisogno, l’amore sarebbe stato parte di me, avrebbe irrorato il mio sangue, alimentato la mia carne, avrebbe dato vita alla mia anima. Nonna, perché non hai insegnato l’amore a tua figlia? A mia madre? Ora non sarei in volo da 30 metri…
Quanti pianti, quante ferite, quante cadute. Le vedo tutte. Mi scorrono davanti mentre altre lacrime segnano le tempie e volano nel cielo.
Il botto. Il gelo attraversa tutto il mio corpo. Non capisco se ho ancora le braccia attaccate al busto o se si sono staccate con l’impatto. Non so dove sono, se sono viva o morta, se sono qui o altrove… Non sento più niente, mi sembra di essere dentro ad una bolla grandissima…
Basta, ora apro gli occhi e guardo, e scopro, e decido.
È tutto blu, un immenso blu. “Voglio restare dentro questo quadro blu, qui in fondo al mare. In fondo al mare naviga il silenzio, rinchiuso dentro a sfere d’aria. L’universo in fondo al mare”. Grazie Cristina (*) ora comprendo fino in fondo la tua poesia, il tuo canto.
Piano piano il mio corpo viene riportato alla luce dalla forza incontrastata del mare. Spalanco la bocca e un’ondata di ossigeno riempie i miei polmoni rimasti in apnea il tempo sufficiente a farmi assaporare la morte, il tempo sufficiente per farmi desiderare la vita.
Nuoto fino a riva e lì, sul bordo dello scoglio c’è lui ad aspettarmi, col sorriso di un bambino felice. Lui che il significato de “La cura” l’ha capito fino in fondo e che mi ha spinto a fare un volo di 30 metri per farmi desiderare la vita. Andrea allunga la mano e io l’afferro con quel poco di forza che mi è rimasta. Il resto della forza ce la mette lui che mi tira su come se io fossi una piuma, come se non pesassi 80 kg.
“Sei stata meravigliosa! Abbiamo trattenuto il fiato insieme! Dopo questo tuffo non avrai più paura di niente! Il tuo passato è rimasto su quella roccia lassù in alto!”
Un’ondata leggera d’acqua salata ci investe, dev’essere un altro tuffatore folle come me, o forse chissà, lui è un professionista che ha bisogno di sfiorare la morte tutti i giorni.
Restiamo lì fermi, come se quello spazio e quel momento fosse occupato solo da noi e dal calore del sole che ci bacia la pelle. Andrea mi guarda, amandomi con i suoi occhi azzurri, mi abbraccia, mi sposta i capelli bagnati dal viso e io sono felice.
* Cristina Donà, “In fondo al mare”. Brano contenuto nell’album “Dove sei tu”.
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Cara Pamela, sono arrivato a questo tuo racconto grazie a una parola: “Bellissima” che hai dedicato a una mia breve poesia. Il tuo racconto è potente, un inno all’amore rigenerante che ti permette di sminuire tutto il negativo del prima. La nonna ed Andrea come senso del vivere, nostalgia e incentivo come vitamina per rimettersi in piedi. Scrivi ancora, per cortesia, perché abbiamo bisogno anche delle tue parole. Grazie!!!🌹🌹🌹🌹
Grazie @Beppe !!! Ma che belle parole hai speso per questo racconto ❤️. Mi hai emozionata!
Io ho un affetto particolare per gli anziani, forse perché ho avuto la fortuna di stare a lungo con i miei nonni. Per questo la tua poesia mi ha toccato il cuore! Grazie ancora ❤️
Ma te le meriti tutte le belle parole! Però, ti prego, fatti leggere ancora, che sono sicurissimo, avrai tante pagine da condividere! Un forte abbraccio.
❤️❤️❤️
Non centra niente, ma l’immagine del profilo è bellissima 🙂
Complimenti Pamela, un volo bellissimo ed emozionante. L’empatia che si crea con la protagonista ti riempie fin dalle prime righe. Non lo so perché, ma non ho mai avuti, fino all’ultimo, il pensiero che stesse per succedere una tragedia. Ho sentito, piuttosto, quel sapore che ha la libertà, quella sensazione di aria addosso che ti toglie il fiato e ti fa respirare, quel mare che ti entra nella bocca e nelle narici che ti soffoca e che ti fa rivivere. Tutto allo stesso tempo e tutto in una manciata di parole. Un testo controllato, scritto benissimo, come essere presi per mano fino in fondo. Un finale che forse non ti aspettavi, ma che è tutto misurato. Davvero brava.
Grazie Cristina per tutte le tue parole!! Dette da te poi acquistano un certo valore vista la tua splendida scrittura! Sono davvero felice che ti sia piaciuto questo “volo”! Ci ho messo moltissimo a scriverlo, non ho la penna che scivola via fluida sul foglio… 😅
Anche a me piace molto l adoro del mio profilo, è un’immagine che mi infonde speranza e amore.
Quello che mi piace di più in questa storia è la sua architettura, la modalità con cui si rivolge al lettore per disorientarlo, la progettazione di un disegno che si comprende solo alla fine. Complimenti per questo esordio Pamela!
Grazie Tiziano! La vita spesso mi sorprende per la discrepanza tra ciò che è e ciò che appare… Questo racconto poi, in un modo o nell’altro, l’abbiamo tutti vissuto o ci succederà di viverlo. Grazie per il supporto,