Occhi bassi e sogni spenti

La prima volta che è successo eravamo in un supermercato, era un pomeriggio di primavera di quelli dove le giornate iniziano ad allungarsi e il tempo pare essersi dilatato di colpo e si ha la vana illusione di avere più tempo a disposizione.

Il cambio di illuminazione da un cielo a metà tra luce e ombra mi aveva sempre affascinata e rimanevo incantata a osservare quel rincorrersi di due opposti.

Dal finestrino della macchina mi ero immersa a guardare quel gioco di sfumature e non mi ero neanche accorta che fossimo fermi nel parcheggio e lui fosse già sceso dalla macchina.

Mi sono ritrovata il suo busto di fronte con una mano aveva picchiettato sul vetro e con l’altra stringeva la chiave con il pollice già pronto sul pulsante di chiusura dell’abitacolo.

Ho preso la borsa appoggiata vicino ai miei piedi e mi sono sistemata la sciarpa al collo, sono scesa e lui era già a qualche metro di distanza, buttava fuori aria con troppa enfasi per essere una banale espirazione. Mi sono presa qualche altro attimo per infilarmi la tracolla e sistemare il colletto della giacca ma a quel punto era già lontano da me, vicino all’ingresso del centro commerciale.

Se non avessi letto troppi romanzi rosa avrei pensato che fosse normale in una coppia acerba come la nostra camminare mano nella mano e sfidare il mondo con le dita incrociate, invece il nostro forte era rincorrerci. Io ero sempre troppo indietro e lui già molto avanti.

Entrare nel supermercato mi aveva accecata, mi piaceva il delicato bagliore del crepuscolo e quelle luci bianche e così forti mi stordivano.

Camminavo a qualche passo da lui guardando in alto e mi chiedevo perché avere un’illuminazione così forte da tramortire le persone e se non si potesse trovare un modo per abbassarle e fare un favore ai clienti e al pianeta.

Probabilmente le mie elucubrazioni mentali erano strane, lente e fastidiose come una mosca durante il sonnellino pomeridiano della domenica.

Ma non mi aspettavo di certo di suscitare addirittura odio.

Mi strattonò il braccio e riportai il mio sguardo in un lampo verso l’umanità.

«Si può sapere che cazzo guardi?»

Mi massaggiai il braccio e vidi due sopracciglia aggrottate e due fessure scure.

«Ora vuoi pure farmi credere che ti ho fatto male, ma se tu la smettessi di guardare in giro invece di aiutarmi a cercare una televisione per mia madre di sicuro perderemmo meno tempo!»

Non sapevo cosa rispondere, perché in quell’attimo tutto mi sembrava meno importante del gesto che avevo appena vissuto sulla mia pelle.

Provai a smettere di pensare e feci uscire le prime cose che mi venivano i mente.

«Guardavo le luci, mi hanno stordito e ho pensato che forse sarebbe più cauto abbassarle e evitare di rovinare la vista…»

Lui scuote la testa indignato. «Ma che sei dell’Enel? Che te ne frega di come sono le luci?»

Si passa una mano sui capelli e sussurra a se stesso più che a me. «Che stronzata!»

E la banalità delle luci di un supermercato sono diventate le stelle di notte, il tramonto sul mare, la pioggia che batte incessante sull’ombrello.

Piano piano si è spento tutto intorno a me, insieme a me e alla mia innata voglia di osservare, di capire, di guardare al di là delle cose.

Lui pratico, cinico, realista e io sognatrice e osservatrice.

Avevo bendato quella parte di me, l’avevo costretta a diventare cieca.

Sognavo di studiare per diventare parrucchiera, ma per lui non andava bene, quelle lì non sono altro che poco di buono vestite da pettegole.

Lui mi amava, sapeva quello che era meglio per me. Ero troppo ingenua e con gli occhi pieni di una stupida patina dorata su ogni aspetto della vita.

Vivevo di sogni e piccole conquiste, ma per lui, per il suo amore, ho spento i sogni e abbassato gli occhi. È così che si fa quando si ama, vero?

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Non so, Jessica. Restando strettamente confinati nell’ambito narrativo, non mi trovo d’accordo con chi ha già commentato. Ci sono delle ripetizioni, alcuni salti di tempi verbali, una costruzione in definitiva migliorabile. Non ultimo, il terminare con una domanda, cosa che sa molto di
    “giornalistico” e sconsiglio vivamente.

    Spero potrai trovare qualche utile spunto di riflessione nelle mie parole, fermo restando che il miglioramento è una missione senza fine che coinvolge tutti noi, autrici e autori per passione o professione.

  2. Un racconto spiazzante, per quanto lucido. Sei stata bravissima e attenta a dosare le parole giuste nei momenti giusti, a sfruttare i cambi di tempo verbale, a delineare così marcatamente la linea che separa lui da lei. L’uso della prima persona aiuta il lettore a immedesimarsi e i pochi dialoghi sono efficaci, bruschi, come schiaffi sulla faccia. Complimenti perché, senza dire troppo, hai detto molto. E ora chiudo con una frase assolutamente banale, quasi uscisse dalla bocca di un bambino, ma avevo voglia di dirla esattamente così:”lui è davvero brutto, mentre lei è bellissima”.

  3. Piaciuto lo stile narrativo, come è descritto l’ambiente esterno e – soprattutto – lo stato interiore di lei.
    Lui appare come un “mostro” sin dal primo rigo, nessuna speranza per un uomo così brutale.
    Mi auguravo, però, in un finale di ribellione, una speranza alla quale aggrapparsi per rompere questo muro di violenza psicologica che, quasi sempre, sfocia in violenza fisica.
    Ben scritto, complimenti Jessica.

  4. Davvero toccante. Intriso di una grande consapevolezza e di una singolare sensibilità per queste dinamiche, come per gli spazi dove le hai concentrate e dilatate. Molto interessanti le atmosfere luministiche sullo sfondo, che accompagnano la tua storia, come filtro interiore, e in parte crepuscolare, delle sue sfumature.