Non dovrebbero sopravvivere

Serie: Cobalto


Non posso essere salvato Cercando la vita che abbiamo gettato via Guardando come gira nello scarico Con tutto ciò che ho amato, che è andato sprecato Con tutto ciò che ero ma non potevo cambiare Bad Omens - The Drain

Continuò a correre nel caos: le persone si spintonavano, le camere bianche, vuote e quadrate, creavano una sensazione di claustrofobia e gli allarmi stordivano.

L’ascensore, anch’esso bianco e quadrato, sussultava ed emetteva dei soffi quando le bombole dell’ossigeno si attivavano. Le pareti tremavano a causa della crescente velocità. Parevano stringersi.

L’acqua non la bagnò grazie alla membrana.

Il cavo le ciondolò tra le cosce.

Tra le dita le rimasero intere ciocche di capelli.

* * * 

Quando si svegliò il Sole era prossimo al tramonto: il cielo rosso macchiato di nuvole bianche si incontrava all’orizzonte con la vasta campagna, un leggero venticello fresco disturbava le foglie sugli alberi pronti per la primavera e ad una ad una le cicale lasciarono il posto ai grilli. Il mondo pareva un posto sicuro.

Ursula si alzò dal materasso lercio e si diresse verso l’uscita del capannone. Fu attirata dal suo riflesso sul vetro rotto del portone: le labbra, a sinistra, erano socchiuse a causa di un tubo che usciva e terminava all’interno dell’orecchio. Aprendo la bocca ne notò un altro passare lungo la gola. Si consolò pensando che prima del disastro, tre anni or sono, sarebbero potuti essere accessori di alta moda.

Una volta arrivata in aperta campagna si sedette sull’erba fresca. Tolse le scarpe per ricordare quando da bambina correva scalza nei campi. Memorie infrante alla vista di cavi elettrici che avevano sostituito le vene sul dorso dei piedi.

Uno stridio lontano tagliò l’aria come una lama invisibile. Ursula si voltò di soprassalto non per il rumore in sé, ma per aver constatato quanto la mutazione avesse progredito velocemente. Quella “cosa” le era alle calcagna da un paio di giorni; avrebbe potuto seminarla, certo, eppure un po’ di compagnia non le dispiaceva.

Certo che è bizzarra la vita: quarant’anni suonati senza mai essere riuscita a diventare madre, mi ritrovo con un bambinone di venti tonnellate che mi segue come se l’avessi abbandonato all’asilo. Maledetto karma.

Un allarme distorto mise sull’attenti ogni fibra muscolare e meccanica di Ursula: ce ne erano altri. Poi un rumore metallico si mischiò a quello che pareva un urlo di dolore maschile. Nel vuoto dei campi e nel buio della notte ogni rumore pareva avere infinite origini.

Ursula s’inginocchiò mantenendo una gamba in posizione di fuga. Osservò la campagna attraverso quei tubi che una volta erano capelli. La tensione diventò tale che i pistoni all’interno dei muscoli femorali arretrarono, pronti per un’esplosione di velocità.

Silenzio. Troppo silenzio.

Sulla destra, due enormi fanali, una creatura tre volte più grande di una mietitrebbia.

Ursula coprì il viso, accecata da luci potenti come fari. Qualcosa la colpì così violentemente sul fianco da scaraventarla a parecchi metri di distanza. A terra con il respiro strozzato e la vista annebbiata, l’unica cosa che riuscì a pensare fu a quanto fosse assurdo che le Macchine non l’avessero ancora inglobata.

Appena si girò supina vide schizzare una lunga frusta di cavi elettrici verso la Macchina che l’aveva colpita. L’impatto fece volare pezzi meccanici e umani. Ursula rimase immobile mentre le due, poi tre Macchine iniziarono una battaglia per decretare chi avrebbe inglobato chi.

In lontananza dei fulmini illuminarono il cielo sopra la città. Quest’ultima si trovava ad almeno venti chilometri in linea d’aria, ma per Ursula era l’unica possibile salvezza.

Un pistone aprì un buco nel terreno a pochi metri da lei. Le Macchine si erano dimenticate della sua presenza, troppo impegnate a strappare pezzi delle avversarie. Ursula colse l’occasione per fuggire: si alzò, saltò per non essere falciata da un agglomerato di verghe e braccia, poi scivolò sotto un’enorme piastra di metallo e, infine, come una piovra, usò i cavi sulla testa per aggrapparsi e lanciarsi nel campo di grano.

Rimase acquattata, immobile come un animale che si finge morto. Di tanto in tanto qualche rottame o pezzo umano le sfrecciava sulla testa o, addirittura, la sfiorava.

Trascorsero ore prima che il vincitore inglobasse i due sconfitti, tra cui la Macchina che per giorni aveva seguito Ursula. Le dispiacque sinceramente per quel bambinone da venti tonnellate.

Quando si rialzò la Macchina era ormai lontana, il Sole di mezzogiorno alto nel cielo e l’odore di pioggia sempre più vicino. Ursula pensò che il temporale l’avrebbe protetta. Poi il pensiero si trasformò in incertezza, dato che pure l’aperta campagna avrebbe dovuto tenerla al sicuro.

Corse fino alla fine del campo, aiutata dagli instancabili pistoni che le garantirono una velocità di settanta chilometri orari. Poggiati i piedi sull’asfalto, il cielo rilasciò le prime gocce. Per Ursula fu un tuffo nel passato: con un tempo del genere si sarebbe chiusa in una caffetteria a bere un cappuccino e a leggere un romance smielato. Avrebbe fantasticato sulla sua storia d’amore, quella che prima o poi sarebbe arrivata donandole un matrimonio, due figli e un labrador.

Ma ad ogni passo, in quei vicoli fatiscenti, quella vita sembrava appartenerle sempre meno. I negozi saccheggiati, le vetrine rotte, i centri commerciali deserti, i palazzi avvolti dal silenzio…

«Una Macchina!»

Ursula fu destata dalle grida di una ragazzina: si nascondeva dietro ad un bidone della spazzatura e la indicava con l’indice. Sembrava intimorita, ma non abbastanza da scappare a gambe levate.

«Non ti farò del male» la tranquillizzò Ursula.

«Questo è certo» rispose la ragazzina.

Ancor prima che la donna riuscisse ad elaborare, qualcuno la attaccò alle spalle. Un inesperto colpo di pistola lambì il braccio dell’aggressore, dando la possibilità ad Ursula di liberarsi dalla presa. Con la coda dell’occhio vide un neutralizzatore legato alla cinta dell’uomo: lo afferrò, glielo puntò al petto e sparò convinta che lo rintontisse come accade agli umani, ma si contorse a terra come una macchina.

La ragazzina, con ancora la pistola fumante in mano, gridò e indicò un punto sopra un palazzo. Questa volta era davvero terrore: una Macchina con lunghe appendici stava puntando tutti e tre.

«Non possono sopravvivere sotto il temporale» sussurrò Ursula in preda allo sgomento.

«Non dovrebbero» corresse l’uomo, che essendo ancora per lo più umano si era ripreso in fretta.

Una serie di luci colorate sulla testa della Macchina iniziarono a schizzare da una parte all’altra, come se fossero occhi indemoniati di un ragno robotico. Si piegò lentamente emettendo un suono simile a quello di un lavandino intasato. I malcapitati rimasero immobili, perché sapevano che correre sarebbe stata una condanna a morte.

«Donna, lo vedi anche tu?» domandò l’uomo osservando alcune luci accendersi e spegnersi ad intermittenza.

Ursula non rispose. Continuò ad osservare la Macchina avvicinarsi al suolo, fino a fermarsi a metà dei due palazzi: a causa della pioggia era andata in cortocircuito.

Serie: Cobalto


Avete messo Mi Piace16 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. C’è molta azione, molti accadimenti, è una storia al cardiopalma con un ritmo da fumetto sci-fi in cui ogni centimetro quadrato ha bisogno di essere riempito con qualcosa di significativo. Mi fa pensare a Nathan Never.

  2. Descrizioni chiare e suggestive. Un genere molto diverso dal realismo o dal realismo magico della narrativa che leggo di solito e provo a raccontare con la scrittura. Spaziare é importante, aiuta ad aprire la mente; quindi leggere questi tuoi racconti credo che mi farâ bene. Il tuo stile di scrittura é scorrevole, dovrei riuscire a recuperare subito anche gli altri episodi.

    1. Prima di tutto ti ringrazio per l’impegno nel recuperare gli episodi precedenti. 😸
      E sono d’accordo con te: spaziare è importante, perchè aiuta a tenere la mente elastica e, chissà, potrebbero anche nascere nuove idee.

  3. C’è sempre tanta umanità nei tuoi racconti che tu definisci, propriamente di genere sci-fi. Ai miei occhi di lettrice si presenta un corpo mutato di cui tu fornisci molti dettagli e fai descrizioni precise e accattivanti. Però la chiami Ursula, che è un nome splendido e antico e mi fai intendere che non è mai diventata madre e forse questo le manca. È inseguita da macchine a dir poco infernali, eppure il mondo che la circonda sembra rassicurante, prati e venticello piacevole. Mette molta nostalgia la sensazione che Ursula trasmette di aver perso qualcosa e si sente la sua solitudine, nonostante il suo cuore sia forte e le gambe agili. Bravissima Mary che torni con una nuova serie che litiga e fa a pugni fra un futuro distopico e un passato che è rimasto attaccato alle dita della protagonista. Mi sembra che la tua penna si sia ulteriormente sciolta. Scioglila del tutto e lasciala correre perché credo che sia la tua giusta strada.

    1. Hai colto i contrasti e i dettagli non lasciati al caso. Empaticamente, hai anche colto il lato umano e intimo di Ursula, il cui passato è segnato dalla mancanza di un figlio.
      In poche parole, hai letto con la mente e il cuore e di questo te ne sono grata.

      Vorrei soffermarmi sulle ultime due frasi che hai scritto: sono tra le parole più belle che mi siano mai state rivolte e ammetto senza vergogna che una lacrimuccia mi è scappata. Grazie Cristiana, grazie davvero tanto. ❤️

  4. Ed ecco il primo episodio di questa serie che così tanto ho atteso.
    Che dire: non ne sono rimasto per nulla deluso.
    Una serie di immagini dal taglio cinematografico e particolarmente evocative, inframezzate da brevi pause, che si susseguono in rapida successione fino alla scena finale.
    Un perfetto stile “sci-fi movie”. E ora aspetto il secondo capitolo! 👌

    1. Ammetto che sono sia vittima che fan degli “spiegoni”, ed è un vizio che sto cercando di perdere / moderare.
      Il fatto che tu ti sia accorto della rapidità di alcune scene mi fa ben sperare di star migliorando sotto questo punto di vista. 🧐
      Ad ogni modo, grazie per essere sempre così sul pezzo e di lusingarmi! 😸

  5. Bellissimo il titolo e bellissima l’immagine che hai scelto. E soprattutto bellissimo che inizi una serie e io me la godo dall’inizio😊
    Mi hai molto incuriosita, sei stata molto brava nello scegliere quali dettagli svelate e quali no…hai creati la giusta suspenxe. Quello che mi piace di te, e che ho già ritrovato in altri racconti, è l’impronta di umanità che riesci a dare ai tuoi personaggi, qualsiasi sia la loro natura. Una donna fatta di circuiti in un mondo in preda alla distruzione delle macchine, che però porta con sé un sogno “antico” come quello di avere un figlio. Sei stata fantastica in questo. Brava Mary!

    1. Sono veramente contenta che si sia piaciuto! 😻
      E sono ancora più contenta che tu abbia centrato il fulcro: scavare nel cuore e nell’anima dei personaggi, non importa la loro natura. ⚙️