
Quartiere Stampace
Serie: Città di Castello
- Episodio 1: Quartiere Stampace
- Episodio 2: Via Giuseppe Manno
- Episodio 3: Quartiere Marina
STAGIONE 1
La lancetta dei secondi tocca le dodici, seguita immediatamente da quella dei minuti che appunto fa lo stesso: le nove del mattino in punto, Largo Carlo Felice.
Come ogni giorno mi trovo di fronte all’omonima statua del Carlo stavolta con indosso persino la bandiera rossoblù a mo’ di mantello, addobbato da una grande e rossa lettera A penzolante dal braccio e che in mano regge la bandiera sarda dei quattro mori. Tutta bianca, con una croce rossa al centro le cui linee arrivano fino ai lati e le quattro nere teste dei rispettivi mori al centro dei quattro quadrati formati dalla separazione della croce stessa.
E si, qualche giorno fa il Cagliari è salito in serie A e dunque alcuni cittadini hanno ben pensato di adornare la statua con queste (per me) insulse effigi. Mi fa amaramente sorridere come il calcio in un modo o nell’altro dilaga radicato appieno nella cultura dei cittadini, io che dei recenti festeggiamenti ricordo solo le macchine distrutte dai tifosi che vi saltavano sopra o che scatenavano inutili risse e tantissime altre cose simili, che non starò qui a raccontarvi, no.
È solo che qui, seduto all’Ex Tipografia mentre aspetto che qualcuno si degni di venir finalmente al tavolo a prendermi l’ordinazione, Carletto, non posso far a meno di vederlo. D’altronde è li dal 1830, non vedo perché oramai dovrebbe spostarsi e osservarlo in un modo nell’altro ti costringe a pensar queste cose, così come questa città ti costringe a farne altrettante. Si, perché in diverse occasioni è proprio la città stessa a decidere per te.
Cagliari è fatta così, ti costringe ad esempio a venire qui a piedi perché nel raggio di qualche chilometro puoi star sicuro che non troverai assolutamente parcheggio. Sarebbe un delirio uscire di casa con l’auto per venire in centro e passare poi un ora a cercare parcheggio (a pagamento, ovvio) e finirla in doppia fila o incastrato in qualche spazietto nei pressi dei posteggi aspettando nervosamente che qualcuno che torni alla sua auto per andare via.
Molto meglio una sana camminata, immerso nei suoni ed i colori che solo questa città può regalarti.
Suoni come il continuo verso dei gabbiani, il bianco marmoreo che svetta insieme agli edifici, il viola delle jacarande che copioso forma tappeti sul ciglio della strada o il giallino sbiadito delle mura che mitiga i colori più forti delle vetrine nei negozi. Gli accenti indiani dei ragazzi che fumano di fronte ai loro negozietti di scadenti souvenir “sardi” o le incomprensibili parole dei gestori cinesi che fanno comunella dinnanzi all’ingresso dei loro ristoranti di sushi.
Le scintillanti mitragliatrici dei carabinieri in presidio sui gradini della Banca D’Italia, le chiacchiere provenire dai signori anziani seduti ai tavolini esterni del Caffè Svizzero aperto esattamente centoquarantadue anni fa e quasi sembra che tali personaggi stiano lì proprio da allora, ma mi accorgo che è solo una mia fantasia.
Eppure sono cose che solo Cagliari può portarti a provare, immersa nel suo fascino medievale accompagnato da una strana e lenta modernità che stenta a decollar del tutto. Nel frattempo alcuni signori di colore, vestiti nei loro tradizionali abiti con tanto di copricapo, mi chiedono se desidero alcune collane o qualche braccialetto in maniera piuttosto insistente. Son costretto ogni volta a dire no ai primi ed evitar di rispondere ai successivi poiché se solo dico loro una parola praticamente mi seguono per diverso tempo.
E dico signori, perché i giovani non li vedi mica così, in giro, no.
Loro stanno in gruppo a presidiare i parcheggi di cui parlavamo prima o in altri sparsi nelle zone più calde della città. Lì, con i loro borsoni poggiati a terra a chiederti ancora oggi, nel 2022, se vuoi acquistare delle calze, dei pacchetti di fazzoletti oppure qualche Arbre Magique il tutto condito da prezzi folli che nemmeno Dubai.
Fortuna che io so gestirli, diversamente da come accade con alcune categorie le quali vengono decisamente infastidite e sfinite finché complice il trovarsi soli, non gli si acquista loro qualcosa o gli si regala qualche euro.
Cosa che potrebbe persino non bastare, magari avranno comunque voglia di danneggiare le auto in maniera del tutto dispettosa. Peccato, perché per quanto io sia favorevole ad ogni tipo di integrazione non sono certo d’accordo
a soprusi del genere causati da questo malsano meccanismo che vedo perpetuarsi negli anni per cui il comune ahimè, non fa assolutamente nulla.
Nel frattempo sopraggiunge un’altra costrizione e fortunatamente questa è di quelle piacevoli, grazie alla quale mi trovo costretto ad indossare gli occhiali da sole, con una ragazza che è finalmente venuta al tavolo e son riuscito ad ordinare il mio brunch. Il sole inizia a picchiare forte, si. Forte anche se sono solo passate da poco le nove perché di gradi c’è ne sono già ben quasi trenta! La luce è fortissima ed il sole in realtà non bacia ogni cosa: ci fa proprio l’amore!
Ai piedi della statua del signor Felice che si trova su una piccola rotondina, nel frattempo si sviluppa un altro piccolo universo, che puntualmente osservo, perdendomi curioso nei suoi variopinti meandri.
Due diverse edicole, piccoline, entrambe dalla struttura di un bellissimo verde scuro, caratteristico.
Quella davanti a me esiste da una vita, ha in esposizione esterna tantissima roba:
giornali periodici, fumetti, gadget per bambini, altrettante carte da gioco, insomma.
L’edicolante pare inglobato in quel vortice plastico e cartaceo, quasi non si vede mentre seduto resta nell’ombra del suo bancone all’interno. L’altra invece risulta di spalle e in posizione opposta alla prima che è realmente un edicola mentre questa invece, ne presenta solo la struttura. Acquistata da poco da alcuni ragazzi del Bangladesh vende solo tantissimi gadget della Sardegna, una specie di trappola per turisti che di autentico non ha assolutamente nulla.
Nel lato destro di tale rotonda trovano posto tre o quattro vetture taxi stazionarie nelle loro apposite segnaletiche orizzontali, mentre poco vicino a loro nei gradini stanno seduti alcuni riders, con vicino le loro biciclette e qualche scooter. I colori sgargianti dei loro zaini mi ricordano quanto sia piacevole che seduto comodamente in casa io possa ricevere qualsiasi cosa voglia ordinare, sensazione che si lega alla stima che provo nel pensare quante salite debbano […]
Serie: Città di Castello
- Episodio 1: Quartiere Stampace
- Episodio 2: Via Giuseppe Manno
- Episodio 3: Quartiere Marina
Ciao Loris! Tra le follie che tanti anni fa mi sono ripromesso di fare, ce n’è una che ancora oggi mi allieta e, insieme, mi dà tanto filo da torcere: l’impresa di visitare tutti e (quasi) 8000 i comuni italiani. Questo tuo racconto mi regala un po’ delle atmosfere che respiro durante i miei viaggi, un’atmosfera fatta di scoperte belle e brutte, di arte e degrado urbano, e mi invoglia ancora di più a visitare la tua bellissima regione🤗
Sei un vulcano di idee, non è assolutamente in dubbio! 😊👌
Mi sono piaciute molto le descrizioni della città, dai suoni ai colori a ciò che si può vedere per le strade.
L’unica cosa che mi sento di consigliarti è di far terminare il capitolo prima, evitando i puntini di sospensione, perché rischi di giocarti l’effetto cliffhanger.
Ma ti riferisci ai puntini di sopsensione in parentesi quadra, quando li scrivo cosi […]? Per me in realtà non indicano una vera e propria sospensione, bensì qualcosa proprio come *testo mancante”. Come fosse appunto un simbolo a rimarcare un significato, ad esempio un cartello, freccia blu, a indicare l’unica possibilità di direzione, destra. O sinistra! Ultimamente lo sto usando più spesso questo simbolo, le frasi che finiscono troppo pulite come quella che hai suggerito tu non mi soddisfano a pieno, mi lasciano a desiderare perché nonostante il loro effetto molto forte e proprio grazie ad esso, le userei quando c’è più “carne al fuoco”. Il target di dividere i capitoli in mille parole a volte risulta proprio stretto, e non sempre voglio nelle ultime 990, chiudere con un “grande punto”. Vorrei potermi esprimere meglio su questo punto ma mi accorgo che la tastiera momentaneamente mi limita, a volte le 1000 parole in un solo capitolo sono un bene e a volte, un male: un po’ come tutte le cose viaggiano a bracetto nei loro rispettivi opposti, come il Sole e la Luna, notte e giorno, la stanchezza o il riposo.
Sì, avevo afferrato quale fosse il tuo intento. Credo, però, che per il lettore risulti un po’ disorientante, per così dire, Diverso è quando questo simbolo viene usato, ad esempio, nelle citazioni di un passaggio che, essendo molto lungo, viene troncato ponendolo all’inizio e alla fine dello stesso.
Credo che l’effetto che vuoi riprodurre sia più facile da ottenere in ambito cinematografico che letterario, grazie all’aiuto della componente visiva che nel testo, purtroppo, manca e viene lasciata alla volontà e alla capacità del lettore.
Per questo ti dicevo che è più semplice ottenere lo stesso effetto tramite il cliffhanger narrativo, concludendo il capitolo un po’ prima. In questo caso, non devi vedere il punto della frase come un masso o un cartello di stop, bensì come una sorta di dissolvenza, successiva ad una scena con particolare pathos, che accompagna il lettore nel capitolo successivo con il desiderio di scoprire cosa avverrà.
Tra tutte le parole che questo commento ha suscitato in me mi accorgo fondamentalmente che la migliore è grazie. Perché si, fondamentalmente hai ragione. Io cercavo di andare un po’ controtendenza rispetto alle 1000 parole e a questo obbligo di finire stilisticamente meglio con l’ausilio di un bel cliffhanger, anche per imprimere più un mio modus operandi piuttosto che uno convenzionale, di “massa”. Mi accorgo però che era uno sbaglio o meglio forse non il modo migliore, ragion per cui ora prendo il tuo consiglio come oro colato. Grazie, Sensei! 😎
“Suoni come il continuo verso dei gabbiani, il bianco marmoreo che svetta insieme agli edifici, il viola delle jacarande che copioso forma tappeti sul ciglio della strada o il giallino sbiadito delle mura che mitiga i colori più forti delle vetrine nei negozi.”
Adoro le jacarande in fiore con le loro chiome viola. I viali alberati con queste piante creano un effetto molto suggestivo. Amo la città che descrivi e sopporto pazientemente le persone che mi hanno rigato la macchina tante volte: tutti compaesani senza colore; cioé intendo dire bianchi. 😉
Mi fa piacere ti sia piaciuto, son tornato leggermente indietro nel tempo proprio al periodo in cui la squadra di calcio si è conquistata la qualificazione in serie A. Cosa che comunque, ha creato non pochi casini in pieno centro. Continuo a pensare che mille parole siano (in diversi casi) poche, avrei allungato volentieri il capitolo ma ci sta, dai. Lieto che seguirai anche questa narrazione
Bella descrizione dei luoghi. Forse dovresti dare qualche indizio in più ai forestieri.
@RoccoMalaparte Gli indizi ci sono e si, sicuramente potevano essere di più ma ci vuole un velo di mistero, attribuisce curiosità. Inoltre per necessità sia di spazio (mille parole non sono poi tantissime) che di svolgimento della narrazione, non volevo dilungarmi troppo in dettagli perché la storia non mira a descrivere così tanto l’ambiente eccetera, piuttosto vuole essere una presa diretta del protagonista. Quello che lui osserva e in un modo o nell’altro attraversa, c’è anche da dire che “nella realtà” questo capitolo occupa uno spazio di una mezz’oretta scarsa. Anche meno