
UNA MIA PAURA
«Non aver paura. È solo una cosa passeggera, sai? Vuoi una carezza? Ecco, so che ti tranquillizza. So che effetto ti fa il calore del tocco di una mano sulla fronte.»
E poi, non è grave. Ma quasi subito mi rendo conto che è semplice pensarlo. Un po’ meno facile provarlo. Quel sussurro nella mia testa pian piano muta di frequenza, diventando adesso un suono acuto e spaventoso. Mi disturba. Fa male. Si innesca e poi esplode, come un fumogeno che mi annebbia la mente. La sua mano gelida afferra la mia piccola bambina all’interno del cervello e la stritola, spremendone ogni goccia di razionalità. E allora nasce lo spavento. L’ansia muta in paura, e il panico si impossessa di me, inesorabilmente.
Porto le mani alle orecchie, illudendomi di difendermi da quella voce che ora mi sovrasta, come se rifiutarsi di ascoltare bastasse a guarire. Ma ovviamente è tutto inutile, perché il pericolo non è fuori, ma è qualcosa che sta crescendo dentro di me. È germogliato come una tenera piantina e adesso si sta propagando veloce, infettando con le sue spore ogni mio organo. Inarrestabile. Mi porto una mano sul petto, come se fossi realmente in grado di sentire con il mio tocco quella presenza.
Mentre lo faccio, fisso il vuoto. O meglio, i miei occhi si perdono oltre il vetro della finestra, scaraventati in un cielo azzurro che mi sembra troppo azzurro. Chiudo gli occhi, strizzandoli. Tutto si fa buio, mentre avanza da lontano un caleidoscopio di piccole lucciole scintillanti, una miriade di puntini bianchissimi. Quelle sfere ora mutano forma e dai loro nuclei escono lunghi filamenti che scendono fino al cuore, che adesso inizia a battermi forte in gola. Respiro, con la curiosità perversa di continuare quell’esplorazione assurda dentro di me. Con uno sforzo riesco a percepire l’incedere fluido di quelle cellule letali, che mi sfiorano i polmoni, si ancorano ai tessuti e poi invadono l’organo, riempiendolo di veleno fino a rubarmi tutto l’ossigeno. Spalanco gli occhi con un gemito, mentre la vista inizia ad annebbiarsi, sbavando le immagini degli oggetti attorno me.
«Adesso sono io che mi prenderò cura di te. Tanto lei non c’è mai, non c’è mai stata. Lasciati andare, almeno questa volta.»
Mi dispero, singhiozzo. La mia faccia si trasfigura in un’espressione di dolore inconsolabile. Prego per la vita, anche se lei sembra avermi voltato le spalle. Un lampo di lucidità mi indirizza verso un’ultima speranza: l’errore. «Fa che si sia trattato solo di un altro referto sbagliato» penso. Speranza: è strano come afferriamo finalmente il vero significato delle parole solo quando ci toccano in prima persona, profondamente. Perciò mi faccio coraggio e mi sforzo a controllare ancora una volta, con i battiti che riprendono ad aumentare.
Il mio braccio è lì, che aspetta impietoso. Raggelo. Nulla è cambiato: la pelle continua a corrodersi, schiumando in silenzio. Mi disgusta e mi dà la nausea. Vorrei potermi liberare di quella presenza dentro di me semplicemente vomitandola fuori. Ma è solo un’illusione, lo so bene. In compenso esce solo sangue. Che macchia quel maledetto foglio dell’ospedale.
La testa ora gira pesante, mentre le mie gambe non riescono più a sorreggermi. La vertigine è un vuoto nel quale ho paura di precipitare. Ecco, ma magari può essere questa la soluzione: sparire dalla faccia della Terra, lontano da tutto e da tutti. Farla finita, adesso, prima che ci pensi lei. Sarebbe facile, ci ho già pensato altre volte. Tutto pianificato. Basterebbe solo…
Ma mi manca il coraggio. Anche oggi.
«No, non andare. Voglio rimanere con te ancora un po’. Non uccidermi, ti prego.»
Speranza: è vero che capiamo finalmente il reale significato delle parole solo quando ci toccano in prima persona. Perciò, mi asciugo gli occhi gonfi con il dorso della mano e mi rialzo. Fuori dalla finestra, il cielo adesso non è più così azzurro. Ma non importa, meglio così. Me ne vado da questa stanza e sbatto la porta. Fuori, si respira un’aria migliore.
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Che emozione leggere le tue parole e quanta ansia ho provato. Sei davvero bravo a calibrare il ritmo della tua narrazione accompagnandolo con il battito del cuore. Un referto fra le mani che determina una vita, la condiziona fino al punto in cui il protagonista desidera porle un termine. Ma poi desiste perché si affaccia la speranza. Davvero bello il finale.
Davvero coinvolgente e ben scritto, ho “sentito” ogni cosa come fossi li tra le righe in prima persona. bellissimo il finale.
Infinitamente grazie. I tuoi complimenti mi riempiono il cuore di gioia 🫶
Una esposizione coinvolgente. Sei stato molto bravo a calibrare la punteggiatura. Il ritmo della lettura, più lento in alcune parti, più rapido in altre, riflette le emozioni della protagonista. Per non parlare delle descrizioni: senti il suo malessere e il desiderio di superare lo stallo in cui si trova
Una prosa con un ritmo vibrante che sale, sempre più intenso e culmina con un bel finale.
Le immagini evocative, come la pianta che cresce e invade il corpo, rendono tangibile il suo dolore psicologico. È un racconto che fa riflettere sulla fragilità umana e sul desiderio di fuggire da un tormento che sembra impossibile da scacciare. Quanta bellezza in questa sofferenza!!
Grazie Rachele, mi fa piacere che sia arrivato 🫂
Mai vista tanta poesia in un attacco di panico! Bravo, Nicola. Come sai, il tema delle fobie mi tocca molto da vicino e il fatto che non ci sia un reale pericolo “fuori”, è un concetto molto difficile da accettare in certi momenti. Hai descritto tutto magistralmente, complimenti.
Grazie Arianna, sto seguendo proprio in questo periodo un mini corso sulla scrittura emozionale, e devo dire che è liberatorio e terapeutico (ma anche non facilissimo) “tirare fuori” le emozioni usando e ascoltando i sensi. Un abbraccio 🫂
“Me ne vado da questa stanza e sbatto la porta. Fuori, si respira un’aria migliore.”
Inizio quasi in sordina, poi al terzo paragrafo si inizia a percepire la paura. Questa è paura vera! Cresce lungo il racconto per arrivare al respiro dell’aria “migliore” fuori da quella stanza. Molto, molto toccante!
Mi fa piacere di essere riuscito a trasmettere e ad aver suscitato delle emozioni. Grazie mille