Dove finisce il mare

Serie: Di ombre e luce


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo un lungo viaggio in mare, Pietro giunge alla città di Buenos Aires.

Buenos Aires, 5 settembre 1921

Quando finalmente il porto di Buenos Aires apparve all’orizzonte, Pietro non poté trattenere le lacrime: la costa argentina sembrava un miraggio dopo settimane di sofferenza.

«Dio mio…» Sussurrò Pietro, scendendo dalla nave. Le gambe ancora malferme per il lungo viaggio, ma lo spirito sollevato dalla vista della città. È qui che ricomincerò, pensò.

Strinse forte a sé Rosa e Giovanni e baciò i bambini. Si scambiarono promesse, ma nel cuore sapevano che non si sarebbero rivisti.

Il porto era enorme, vivace, pieno di vita e pullulava di gente di ogni origine. Pietro si lasciò trascinare dalla folla di coloro che avevano condiviso con lui il lungo viaggio, poi trascorse del tempo girovagando fra le bancarelle di venditori, frastornato dalla varietà delle merci esposte. C’erano uomini che vendevano animali e molti che offrivano lavoro ai nuovi arrivati. Pietro si guardò intorno senza sapere dove andare fino a quando, poco lontano, sentì due uomini discutere in italiano. Si avvicinò e cercò di attirare la loro attenzione.

«Scusate» disse esitante. «Sapete dove posso cambiare delle lire?»

I due si scambiarono un’occhiata veloce e quello più basso, coi baffi neri, sogghignò verso l’altro.

«Fammi vedere, ragazzo» disse, allungando la mano.

Pietro tirò fuori due banconote da cinque lire. L’uomo le prese, le passò appena tra le dita e gli mise in mano due pesos e qualche moneta spicciola.

«Va bene così» disse secco.

Pietro chiuse la mano sulle monete senza discutere. Non sapeva bene quanto valessero, ma il modo in cui i due si scambiavano sguardi d’intesa, gli fece salire una fitta di rabbia che si ingoiò in silenzio.

«Un’ultima cosa» balbettò. «A Barracas, come ci arrivo?»

L’uomo gli fece un gesto vago con la mano.

«Dritto» disse. «Segui il fiume. Quando senti la puzza, sei arrivato.»

Si voltarono e sparirono tra la folla, lasciandolo lì, con le monete fredde nel palmo della mano. Pietro guardò la strada polverosa davanti a sé e cominciò a camminare, lasciandosi il porto alle spalle. La lettera stropicciata nella tasca interna del cappotto rappresentava il suo unico legame con quella terra straniera.

Stringeva la valigia contro il petto e camminava a testa bassa, cercando di farsi largo tra carretti cigolanti, barili e uomini urlanti. Buenos Aires gli si spalancava davanti, enorme e sfilacciata, un groviglio di strade sterrate e cortili polverosi.

Camminò a lungo senza sapere bene dove andare, guidato più dalla fame che dalla ragione. Quando vide una taverna con l’insegna storta “Cantina de los Marineros” si infilò dentro e fu subito avvolto da un invitante odore di cibo. L’aria era densa di fumo e voci. Una decina di uomini sedeva intorno a tavoli appiccicosi, mentre dietro il bancone una donna dai capelli neri, raccolti alla meglio, sciacquava dei bicchieri.

Pietro si avvicinò con passo incerto.

«Perdono, señora ¿Barracas?» domandò, esitando sulle parole.

La donna lo squadrò senza ostilità, asciugandosi le mani sul grembiule. «Barracas… Esta bien por acá, muchacho. Siempre derecho por esta calle hasta cruzar el puente de hierro.» Fece un gesto vago verso l’uscita. «Pero cuidado, hay malevos y matones por ahí.» Ridacchiò, mostrando i denti guasti.

Pietro ringraziò, ma prima di andarsene si fece coraggio. Tirò fuori le sue monete e le appoggiò sul bancone.

«Ho fame» disse. La donna prese il giusto e gli servì un pezzo di pane duro, un piatto di fagioli e un bicchiere di vino.

Pietro si sedette a un tavolo in un angolo e mangiò in silenzio, masticando piano. Finito il poco che aveva, si alzò, ringraziò ancora sottovoce e uscì dalla taverna per rimettersi in cammino.

Proseguì, finché le strade si fecero più basse, le case più sporche, i muri screpolati. Seguì attentamente la strada come gli avevano indicato, attraversò un ponte di ferro e si addentrò a Barracas. Camminò lungo viuzze sconnesse fino a trovare Calle Luján. Controllò il foglietto che teneva in tasca e verificò l’indirizzo.

Raggiunse un conventillo al numero 215. Si trattava di un edificio grande, con la facciata rovinata e un cortile pieno di fango. Quando entrò, un gruppo di bambini smise di giocare a palla e gli si fece intorno. Lo presero in giro, ridendo e urtandolo con spintoni leggeri.

«Hola, señor! ¿Quieres jugar?» gridò uno.

Pietro tirò dritto, tenendo lo sguardo basso. I bambini continuarono ad additarlo e a ridere di lui. «Tano, tano» gli urlavano alle spalle.

Smisero però di fare baccano quando da un balcone si affacciò un vecchio dall’aspetto trasandato. L’uomo si appoggiò alla ringhiera e tirò su i pantaloni che aveva ancora calati alle ginocchia. Si strinse la cintura in vita e scacciò i bambini con un cenno brusco.

«¿Quién buscás vos?» gridò.

Pietro tirò fuori il foglietto spiegazzato e rispose, incerto: «Busco un italiano. Diego Cattaneo. Lavora en las ferrovías.»

Il vecchio sputò il tabacco oltre la ringhiera e si grattò la guancia ruvida.

«Subí» disse.

Pietro salì la scala di ferro, con la sua valigia ancora stretta al petto. Arrivato sul pianerottolo, il vecchio si fece serio e lo squadrò da vicino.

«Diego Cattaneo…» mormorò, come se assaporasse il nome. «Lo conocí. Acá vivía pero hace tiempo que no lo veo.»

Pietro annuì, senza sapere cosa dire. Le parole gli si mischiavano in gola, metà in italiano, metà in spagnolo.

«¿Querés cama? Pocos centavos» disse il vecchio, indicando l’interno.

Pietro fece cenno di sì; per quel giorno non aveva alternative. Seguì l’uomo lungo un corridoio stretto fino a un letto di ferro contro una parete.

«Mañana temprano andá a la obra del ferrocarril» disse il vecchio, accendendo una sigaretta e offrendone una a Pietro.

La notte trascorse agitata: molte persone frequentavano quel posto e il continuo via vai non permise a Pietro di riposare. La mattina seguente, raccolse le sue cose e salutò il vecchio, che ricambiò con un lieve cenno del capo.

Attraversò il cortile e si incamminò a passo rapido: voleva raggiungere la ferrovia per cercare informazioni sul parente lontano. Camminò a lungo, tra mercati affollati e strade sempre più ampie, finché non arrivò alla grande stazione ferroviaria. Tra il frastuono dei treni e l’odore pungente del carbone, la Estación Buenos Aires era un crocevia pulsante, con operai indaffarati e viaggiatori frettolosi che animavano i suoi binari.

Serie: Di ombre e luce


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Discussioni

  1. Ciao Cristiana! Il viaggio di Pietro in un continente straniero inizia ora. Se prima ha dovuto soffrire il distacco dai suoi affetti e dalla sua realtà, ora dovrà affrontare lo spaesamento del trovarsi in una cultura e una geografia a lui oscuri. L’episodio del cambio valuta è emblematico: Pietro sarà costretto a fidarsi, pur intuendo che verrà fregato. Questo mostra velatamente un altro lato dello sradicamento: il dover scendere a patti, sempre e continuamente. Bellissimo episodio👏🏻

    1. Grazie Nicholas. Hai proprio ragione. Chi si trova, volutamente o meno, in situazioni del genere, deve per forza scendere a patti e magari accettare l’unico aiuto che ricevi, quello di chi ti vuole anche fregare. Pietro avrà anche un problema in più che è quello della lingua. Mi divertirò a giocare con le due lingue in quello che, in gergo, si chiama “itanol” (leggilo come se la ‘n’ avesse la tilde, che qui dal pc non so come inserire!)
      Sempre onorata di averti fra i miei lettori e, per favore, non risparmiarmi mai eventuali critiche perché so che il tuo occhio attento coglie tutto.
      Grazie 🙂

  2. LORD HURON – Long lost
    ( https://www.youtube.com/watch?v=5RiUXxOkdCM )

    Leave me where the light pours down
    Through the trees like rain
    Let it wash over me like a flood
    Let it ease my pain
    Let it drown me
    For a while I was held
    By the myth of the lost highway
    In the spell of the night
    And the lights of the great white way
    I ain’t lonely
    Are you?
    Send me to the mountains
    Let me go free forever (ever)
    I’ll be running through the forest
    Dancing in the fields like this forever (ever)
    (Long lost)
    Leave me where the moonbeams
    Carve through the leaves like blades
    Lay me in the tall grown grass in a shallow grave
    Let it have me
    I’ve got a place in the world
    And I found my way
    Out in the night all alone
    In the way out there
    I ain’t lonely
    I’m long lost
    Say goodbye (long lost)
    Stay with my mind (long lost)
    Send me to the mountains
    Let me go free forever (ever)
    I’ll be running through the forest
    Dancing in the fields like this forever (ever)
    Send me to the mountains
    Let me go free forever (ever)
    I’ll be running through the forest
    Dancing in the fields like this forever (ever)

    (Long lost)
    (Long lost)
    (Long lost)

  3. Hai reso alla perfezione l’ansia e lo sconforto di Pietro in una terra sconosciuta: dopo un viaggio in cui ha passato le pene dell’inferno, si ritrova a dover affrontare la barriera linguistica. E gli unici due italiani l’hanno pure fregato!
    La parte che mi ha messo più angoscia è quella in cui raggiunge le Barracas e scope che il suo parente non si vede da un po’. Incrocio le dita che lo troverà alle ferrovie.
    Questo episodio è dinamico, vivo, un susseguirsi di, talvolta sfortunati, eventi. Veramente ben scritto, Cristiana! ❤

    1. Grazie Mary, volevo proprio che la barriera linguistica fosse percepita come uno dei maggiori impedimenti. Quando si viaggia, qualunque sia lo scopo del viaggio, ciò che più impedisce l’integrazione è la lingua. Immaginiamo il peggio quando il viaggio è compiuto per motivi drammatici come quelli che sono nei fatti di cronaca di tutti i giorni. Non so dirti se troverà subito questo suo lontano parente, ma credo che lo svelerò già nel prossimo episodio 🙂

  4. Apro una piccola parentesi non tanto su questo episodio specifico, ma sulla serie in generale. E mi piace molto come tu abbia strutturato la narrazione, alternando un episodio di Pietro ad uno di Anahì, come in un passo di danza (magari un tango?) che accompagna il lettore attraverso la vicenda

    1. Un misto di danze tradizionali, condite con tango e milonga 🙂
      Due strade parallele, colorate di una coppia di colori complementari che poi andranno a unirsi formando il colore/non colore, quello più bello di tutti.
      Una storia vera, che un amico mi sta regalando e di cui ancora non conosco il finale. ‘Un pedacito a la vez, sin prisa’ dice lui.

        1. Un lavoro che mi sarebbe tanto piaciuto fare, ma con la mia fantasia sarei risultata più adatta per Novella 2000 (esiste ancora?) che per Montecitorio. Grazie ancora Sergio 🙂

  5. Che meraviglia, mi sembrava davvero di essere li, insieme a Pietro. Un’episodio a “cinque sensi”. Ho sentito gli odori, i sapori, i suoni, dal porto fino al locale e poi alla colonia. Perfino il sapore dei fagioli, e la macchia di rossetto sui denti della cameriera! Davvero bellissimo. Ho seguito tutto come fosse un film. Ho sentito la solitudine di Pietro, lo smarrimento e la difficoltà di essere solo, in terra lontana, alla ricerca anche solo di un gesto che aiuti a lenire questo peso. Come la cameriera, che per sfamarlo si prende “il giusto”. A questo proposito, ho notato come invece i due italiani, connazionali, immigrati come lui, al posto di offrirgli aiuto gli tendano un inganno. Eppure dovrebbero sapere quanto è dura dover sopravvivere in una terra straniera. O forse lo sanno bene, e proprio per questo non si fanno scrupoli.
    Davvero un episodio ben riuscito, potrebbe rappresentare un racconto a sé, per la potenza delle immagini e delle emozioni. Ora andiamo a scoprire che fine ha fatto questo parente lontano….
    Brav brava brava Cristiana ❤️

    1. Grazie Irene, che commento da pelle d’oca!
      Hai colto moltissimi particolari e, in un certo senso, era proprio il mio intento. Quello di far vivere al lettore una scena vivida, dove potesse sentirsi quasi fisicamente coinvolto. Quando mi trovo in certi posti, mi immagino di fare fotografie con gli occhi e cerco sempre di fissarmi gli odori (so che è una cosa strana!). Origlio i dialoghi delle persone immaginando le loro vite. Faccio cose così…La fortuna che poi tutti noi abbiamo è quella di sapere scrivere e a me aiuta moltissimo come esercizio per mettere su carta tutte queste emozioni e sensazioni, per riviverle io in prima persona. Sapere che altri le rivivono insieme a me è per me un enorme successo. Un abbraccio forte.

  6. Nonostante sia ambientata in un periodo lontano, questa storia ha qualcosa di molto familiare che mi fa sentire vicina nel viaggio di Pietro. I motivi potrebbero essere tanti: i numerosi emigrati della nostra terra o la lingua con tante parole identiche al sardo. Barracas da noi é un termine molto usato per dire baracche ma é anche il nome di certe frazione di località, generalmente fuori paese. E poi Buenos Aires, come ho già scritto in un altro commento, non posso fare a meno di associarla a Cagliari, per il gemellaggio religioso e culturale tra le due città.
    In conclusione non posso che sentirmi coinvolta da questa storia così ben descritta.

    1. Ciao Maria Luisa e grazie per il tuo commento molto utile e che fa interessanti paragoni con la storia narrata e la nostra storia degli ultimi anni, oltre che ricordare che il termine Barracas ha la medesima origine anche nella cultura argentina. Si trattava infatti di uno dei più poveri e popolosi quartieri di BA. Il fatto che tu ti senta coinvolta personalmente in questa storia, inoltre, mi incoraggia a proseguire. Grazie di cuore 🙂

  7. Ciao Cristiana, quando trovo un nuovo episodio di questa serie, mi ci tuffo in mezzo e mi gusto le emozioni e le immagini che mi regali, di luoghi e epoche lontane, eppure non così diverse dalla nostra. Penso che lo smarrimento di Pietro possa essere quello delle tante persone costrette a scappare dai propri paesi e a ricominciare in un luogo sconosciuto, così come lo sfortunato incontro con i due italiani possa ricalcare la malafede di chi, oggi come allora, si approfitta degli altri.
    Ho provato tenerezza, malinconia e rabbia, leggendo le tue belle frasi.
    Bravissima!

    1. Ciao Melania. Sono convinta anche io che lo smarrimento del protagonista possa essere paragonato a quello di qualsiasi migrante ‘forzato’. Intendo coloro che per motivi di persecuzione, povertà o guerre, sono costretti a migrare in altri Paesi di cui non conoscono la lingua e nemmeno la burocrazia. Sono passati tanti anni, ma la storia sembra davvero non essere cambiata. Grazie per aver letto e soprattutto per aver esplicitato le sensazioni che la storia ti suscita. Un abbraccio

  8. “«Barracas… Esta bien por acá, muchacho. Siempre derecho por esta calle hasta cruzar el puente de hierro.» Fece un gesto vago verso l’uscita. «Pero cuidado, hay malevos y matones por ahí.»”
    Me encanta este pasaje… me vuelve nostálgica❤️

      1. Viví unos años en Barcelona y me encanta el idioma. Pero desde que volví a Italia casi no lo practico, así que me pongo a leer libros en español pa’ no oxidarme. ¿Eres latina? Hablas tanto de Argentina que pensé que eras de allí. (mi scuso con gli altri ma non ho riesistito alla tentazione di scrivere questo commento in Spagnolo🙏)

        1. Muchas gracias Tiziana, no sabes cuánto disfruto leyéndote en español y respondiéndote de la misma manera. ¡Lamentablemente no soy latina! ¡Ojalá lo fuera! Pero he viajado mucho y llevo muchos lugares en mi corazón. Por favor, nunca olvidar el español porque es un idioma precioso. Un abrazo fuerte 🙂

  9. Mi piace l’ atmosfera che hai creato. Riconosco il senso di smarrimento di Pietro, e l’indifferenza di un mondo che lotta per sopravvivere. Aspetto il prossimo con ansia 👏👏

  10. Mai fidarsi degli italiani all’estero 🤦🏻‍♀️😅 A me non hanno mai rubato dei soldi, ma ho avuto anch’io qualche cattiva esperienza. Così, finalmente, Pietro si trova a Buenos Aires! Vedremo quando riuscirà a trovare lo zio (era suo zio, vero?) Comunque, anche questo episodio mi è piaciuto molto (li leggo in un attimo! È una storia davvero avvincente ❤️ Brava)

    1. Grazie Arianna, i tuoi commenti sempre così frizzanti e con quella nota di ottimismo, mi piacciono tanto e mi fanno venire voglia di continuare a scrivere questa storia. Diego Cattaneo (il nome l’ho inventato) era, in realtà un lontano parente della madre di Pietro. Uno fra i tanti uomini che frequentavano le grandi case e le famiglie allargate e che i bambini chiamavano comunemente ‘zio’.

  11. Ha un ampio respiro, questo tuo racconto sudamericano.. ci prepara con voluta lentezza all’incontro dei protagonisti..altri tempi, del resto, più umani degli attuali

    1. In effetti, ci sto andando piano con questa storia. Voglio pesare bene le parole e fare in modo che tutto fili e combaci. Sono tempi lontani e non è il nostro Paese, pertanto bisogna lavorarci su. Inoltre, mi piace l’idea di arrivare a comprendere bene gli animi dei due protagonisti, prima del loro incontro. Grazie Furio che ci sei sempre.