
Il mostro sotto al letto
Era caldo, davvero un caldo afoso, torrido, soffocante.
Una giornata di Giugno così bollente non l’avevamo mai sentita. Ne io, ne mia sorella Tulip, ne la mia matrigna Theresa. Mio padre era morto d’inverno, però. Era freddo, ma non pioveva; quelle giornate col cielo bianco e con l’aria che fende gli zigomi, di quelle perfette per le brutte notizie. Per le buone notizie c’è la neve o la primavera. La pioggia, infine, serve per volersi bene, anche se, per molti, è solo una scomodità; ma questi non si vogliono bene. Morì in un incidente stradale, avevamo undici anni. Siamo gemelli, sì: gemelli identici.
La differenza è che lei è una bellissima ragazza, io sono brutto. Cioè, almeno mi sento così. Ma ho diciassette anni, porto gli occhiali e vivo in un quartiere inospitale di una città in cui non conosco nessuno, per cui, forse la mia insicurezza nuoce alla valutazione del mio aspetto. Tulip è serena, spensierata e scema, proprio come mio padre. Io somiglio di più alla mamma, che non ho mai conosciuto: infatti, non mi conosco affatto. Theresa, beh, è un caso umano: sola, alcolista, grassa, triste, nevrotica e frustrata; un fallimento umano che detesta noi due, i grandi pesi sulla sua coscienza. E sul suo portafogli. Grazie ad una ingiunzione miracolosa del giudice della Contea di Soona, ci deve mantenere perlomeno fino alla fine delle scuole superiori, il che significa che abbiamo ancora un anno, prima che ci sbatta fuori di casa. Più o meno, ci sopportiamo tutti, in un labile equilibrio domestico mantenuto solo dal Prozac e dall’alcol, dall’ignorarsi e da tre meravigliose porte munite di chiave, con le quali ci isoliamo del mondo crudele.
Questa è la nostra vita, riassunta in poche righe. Mi chiamo Sam, Samuel per la precisione, e non ho amici, non ho una ragazza e non ho grilli per la testa. Ho solo un enorme problema: un mostro sotto al letto.
Da quando ho memoria, questa creatura alberga sotto il mio materasso, sia quando stavamo al freddo, su in Minnesota, che adesso che siamo in New Mexico. Non se n’è mai andato, anzi, ha traslocato con me; credevo che con la nuova casa e con tutti i problemi, scomparisse, o che magari crescendo non lo vedessi più, invece è sempre lì, e non accenna a sloggiare. Non ne vuole sapere, proprio. E’ un mostro che proviene da un’altra dimensione, questo è chiaro non perché abbia condotto studi particolari, ma perché dietro di lui c’è una luce, di forma sferica, che nient’altro può essere se non un portale. E’ provvisto di tentacoli, otto, e di due mani, lunghe e nodose, piene di vene e capillari. Il suo colore presumo sia scuro, ma l’ho sempre intravisto di notte, quindi non posso essere più preciso: diciamo che me lo sono sempre immaginato verde. Tutti si immaginano un mostro verde, è tipico; sarà per le locandine dei film di fantascienza, ma è sempre così. Non ho mai visto il muso, ma credo sia orribile e ben dotato di denti, perché sento la sua fame. E’ certamente carnivoro. Non credo voglia rapirmi, credo proprio che voglia mangiarmi.
Perché non mi prenda e non faccia di me la sua cena, c’è soltanto una soluzione: mai mettere i piedi fuori dal letto, soprattutto se scoperti. Bisogna rimanere all’interno dell’area formata dal materasso ed avere sempre i piedi coperti, basta un lenzuolo, anche leggero. Una sola, semplice, regola, che ho capito col tempo. Ma in Minnesota, quando fuori è meno dieci, è un discorso. Ad Albuquerque invece il caldo è insopportabile. Si toccano punte di quarantasei, quarantasette gradi, d’estate: come fare, dunque, a rimanere coperti? Certo, fintanto che sono sveglio e cosciente, nonostante le poderose sudate, riesco a forzarmi e a tenere il piede dentro al letto, velato da un lenzuolino finissimo; ma quando dormo? Quando perdo conoscenza e sono tra le braccia di Morfeo? Altro che di Morfeo, sono tra le sue grinfie, potrebbe prendermi in qualunque istante.
Le ho escogitate tutte: ghiaccio nel letto, ventilatore sparato addosso, finestre spalancate; perfino l’insonnia, sì, nottate sveglio a guardare film o sfondandomi di videogames o porno al computer.
Giusto, c’è un particolare importante di cui stavo per dimenticarmi: se non sono a letto, Esso non si fa vedere: se c’è la luce accesa, se sto sulla sedia, se vado in salotto al piano di sotto sul divano, non si fa mai vivo. Ed è un bene, infatti per un certo periodo ho malamente finto di addormentarmi alla TV, il che mi aveva salvato per diversi giorni. Poi è arrivata la depressione della mia matrigna, così che lei non andava più a letto ma restava in coma tutto il giorno e tutta la notte sul divano, e mi ha spodestato. A quel punto, dovevo per forza affrontare il letto, e non era certo cosa facile. Ho chiesto a Tulip di fare a cambio di camera, solo per dormire, ma lei non ne ha voluto sapere, dicendomi di crescere, di essere uomo e di piantarla con queste cazzate che tra l’altro, a suo avviso, mi pregiudicano notevolmente il rapporto con l’altro sesso. E certo, se poi porto a casa una e proprio sul più bello, quando siamo avvinghiati nel mio letto, tiro fuori per sbaglio un piede e Esso me lo prende e mi porta di sotto, nella sua dimensione, per fare un sol boccone di me? Sarebbe una pessima, pessima situazione.
Tempo dopo, escogitai un metodo definitivo: indagando sulla mia infanzia e volendo auto convincermi del fatto che la presenza di questo mostro fosse solo opera della mia mente, ho cercato un evento scatenante di quello che possiamo chiamare un trauma: c’è stato un riscontro. Quando ero piccolo, una volta, le barriere del box in cui dormivo sono cadute accidentalmente, ed io, appoggiandomi nel vuoto, cascai, battendo forte la testa. Questo, stando al racconto di mia nonna Merry Lynn. Sì, è una storpiatura di Marylin, ma non per la Monroe, bensì per una mia bisnonna che si chiamava Marylin. Comunque, lei ci veniva a trovare un paio di volte all’anno, sta ancora in Minnesota, e durante una chiacchierata amichevole, mi misi ad approfondire il tema, arrivando a questa possibile e decisamente probabile ipotesi.
Non appena Nonna andò via, un paio di giorni dopo il 4 Luglio, era un lunedì, non appena fui di ritorno da scuola mi misi a lavoro. Per la via mi ero fermato da Figured Tony, un negozio di bricolage ben fornito, ed avevo acquistato, fottendomi tutta la paghetta, tavole di compensato della misura del letto, chiodi e qualche altro strumento per attuare la prodigiosa idea che mi avrebbe consentito sogni d’oro per tutta l’estate.
Ah, vorrei far presente, che dovunque mi sposti, sotto al letto, c’è il Mostro. Anche in campeggio, se metto il piede fuori dal sacco a pelo, o in albergo, le tre o quattro volte nella vita che ci sono stato; volendo anche peggio. In un motel, una volta, vicino Burbank, un paesino del Minnesota, ero certo che sotto al letto ce ne fossero una ventina, di quelle creature, più piccole ma ancora più assetate di sangue: del mio sangue.
Torniamo a quel giorno glorioso: entrai in casa passando dal garage, il garage di Sonny, il “fidanzato” di Theresa, che è gelosissimo della sua roba e non vuole che nessuno la tocchi: è maniaco di quegli attrezzi, li tiene oleati, pulitissimi e precisi, disposti alla perfezione sul suo banco. Presi un martello ed un cacciavite, che dopo avrei rimesso a posto.
Andai dritto in camera mia, sfiorando la cucina, dove intravidi Theresa che spippolava al cellulare come una bambina di cinquant’anni e Tulip che mangiava qualcosa, ridendo inebetita davanti ad un talent show in tv. Non so se mi fa più paura il mostro sotto al letto o quel quadretto familiare da lobotomizzate: gli avrei tirato un missile nella testa, maledette cretine.
Avevo cose più importanti a cui pensare, al momento. Tipo la mia sopravvivenza.
Arrivai in camera, lanciando lo zaino sulla sedia di fronte al computer; guardai il poster dei Manowar e pronunciando le parole di Kings Of Metal, il ritornello, quasi come fosse una preghiera, mi misi subito al lavoro. In meno di un’ora, avevo allestito intorno al materasso un perfetto box per dormire. Perfetto, chiuso, perimetrale. Non c’era alcun modo per cui un mio piede sarebbe potuto sporgere, così da farmi prendere dal mostro. Ero sigillato. Al sicuro.
Venne sera, saltai nel letto e mi coricai felice e tranquillo come non ero mai stato prima: che serenità!
Se solo ci avessi pensato prima, che stupido!
Bastava guardarsi indietro e cercare le ragioni che ci spingono a provare certe paure. E’ vero, bisognerebbe superarle, ma se queste sono vere, tangibili e pericolose, allora non sono più soltanto frutti della tua immaginazione, sono veri e propri pericoli che mettono a repentaglio la tua vita.
Dormii come un angioletto, sereno e felice, e da quel giorno, mai più il mostro si manifestò.
Mai più fino a ieri, quando mi sono sposato ed ho passato la prima notte di nozze in un albergo di San Francisco, la città della stagione dell’amore, dove io e mia moglie avevamo pensato di passare una splendida e quantomai psichedelica luna di miele.
Era anche il primo giorno che dormivo in un altro letto che non fosse il mio.
A dire il vero, sul momento non pensai affatto al mostro, anzi, l’amore per Tess, mia moglie, e l’emozione del momento, in quel bellissimo hotel proprio in una casina di legno anni venti bianca, con vista mare e Golden Gate, mi dettero alla testa, non mi fecero prendere precauzioni.
A Tess non avevo mai detto la vera ragione del box e lei, da fidanzati, era sempre venuta da me senza fare troppe domande. In effetti, era passabile, qualche centimetro di legno intorno al letto, poteva sembrare un errore di costruzione o un materasso troppo basso.
Non avevo mai dormito a casa sua, perché i suoi erano dei veri rompipalle, per cui, il problema non si era mai più creato.
Quella sera, davvero, non mi saltò in mente.
Era come se tutto questo progredire, nella vita, tutto questo crescere, la storia di diventare adulti, eccetera, mi avesse emancipato non solo da Theresa e da mia sorella, ma anche dalle paure recondite del mio passato, della mia gioventù, che forse era solo una gioventù da sfigato. Magari ero convinto, nel mio inconscio, che il mostro non esisteva, che era davvero una mia turba mentale.
Mi sbagliavo.
Al momento, vi scrivo da un’altra dimensione.
Stanotte sono stato preso da una vampata di caldo, mentre ero nel dormiveglia; ero abbracciato a Tess, dopo un’intensa serie di capriole amorose, e stavo sudando. Mi sono scostato, girato sull’altro fianco, e mi sono scoperto una gamba, la quale, inavvertitamente, come un peso morto, è andata a finire sul bordo del letto. Un bel lettone matrimoniale largo e comodo, Cristo Santo, ma come è possibile. Ho sentito, dalla finestra aperta, una leggera frescura, un po’ di corrente; era così vicina che ho allungato il piede per andarle incontro, per rinfrescarmi, accaldato com’ero.
Il piede è uscito dal letto.
Dapprima un tentacolo mi ha afferrato, mi ha trascinato fino in fondo al letto; dopo è arrivata la mano, la mano lunga, nervosa, venosa: mi ha preso da dietro la testa, tappandomi la bocca, per non farmi urlare. Tess dormiva, nonostante mi dimenassi come un demonio. Urlavo, anche col naso, ma non sentiva; smanaccavo, ma non vedeva.
Ci fu un rumore sinistro, una specie di sibilo, che ben presto si trasformò in qualcosa di profondo, cavernoso e gutturale, che pronunciava delle parole in una lingua mai sentita. Fui trascinato giù da un altro tentacolo, che mi aveva cinto anche l’altra gamba: la mano mi stava soffocando. Quando fui per terra, da sotto il letto si liberò una luce fortissima, accecante, che mi fece soltanto intravedere la testa di quel mostro pieno di mani, di braccia e di tentacoli: era una bocca enorme, larga, quasi rotonda, piena di denti, e dalla sua gola usciva una gran luce bianca: era dentro di lui, il portale; ora lo vedevo bene. E se non era un portale? Stavo soltanto per essere inghiottito.
Il terrore mi fece quasi svenire, sono certo che smisi di urlare, non feci nemmeno più resistenza. Mi avvicinò alla sua bocca, che iniziò a sbavare e ad eruttare dei rigurgiti, che avevano l’odore dello zolfo, delle uova marce.
La creatura mi portò nella sua grande bocca ed io, rassegnato e in preda al terrore, mi preparai al peggio: una morte dolorosa, masticato da quelle file di denti acuminati e pieni di chissà quale velenosa saliva.
Invece no.
C’è qualcosa di peggio della morte.
Credetemi. Avrei voluto morire, e anche tanto.
Finendo nella sua bocca non venni masticato, ma subito inghiottito, e la sua bocca non serviva per mangiarmi, ma era davvero un portale per un’altra dimensione. Una volta finito in mezzo a quella luce, mi ritrovai dove sono ora, da dove sto scrivendo. Davanti a me, una distesa desertica senza confini, di sabbia celeste e con il cielo beige; esattamente il contrario che sul nostro pianeta. Niente acqua, ma sono giorni che sento una sete mortale senza però riuscire a morire. Non cambio, non dimagrisco, non mi brucio sotto al sole, anche perché è giorno, ma il sole non c’è. E’ tutto il paradosso di tutto, ed io, vorrei solo andarmene, scomparire. Scrivo questa lettera, dietro ad un menù del pranzo di nozze che mi era rimasto in tasca del pigiama, non chiedetemi perché. Un pigiama con trentacinque gradi, accidenti a me che indosso subito i regali di mia nonna. Sì, mia nonna, povera donna, è sempre viva. Buon per lei, morirà dignitosamente e in testa. Io invece sono qui che scrivo con il sangue le mie ultime memorie e ve le mando arrotolate, attraverso un buchino del diametro di un tubetto di dentifricio, che è rimasto aperto in mezzo al nulla, sospeso in aria, dal quale intravedo il pavimento della camera d’albergo. Il tempo da voi, passa, qui no.
Ricordatevi, non mettete mai il piede fuori, nemmeno se è caldo. Il mostro sotto al vostro letto è in agguato ed è pronto a portarvi via!
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Devo ammettere che mi ha preso un sacco. Ovvio letto tutto d’un fiato… Magari qualche particolare di troppo e leggermente fuorivante però può avere il suo perché. Per il resto molto bravo, davvero molto bello.
Ma la copertina è realizzata da te?
No, è un disegnatore che ho trovato in rete, decisamente bravo.
Si, infatti, davvero bravo… Mi permetto di suggerire, a tutti gli scrittori in generale che cercano un’immagine di copertina, il fornitissimo portale http://www.pixabay.com in cui reperire immaginI libere da copyright e utilizzabili gratuitamente anche per usi commerciali. Buona giornata Michele!
Bello, mi fa venire in mente un episodio di Dylan Dog – non chiedermi quale, non ricordo- non nella trama, ma nelle atmosfere che sei riuscito a restituire al lettore. Bella l’idea del ponte tra le due dimensioni attraverso il tubo/cappuccio del dentifricio. E comunque, la paura del mostro sotto al letto, credo abbia segnato l’infanzia di tutti noi, è qualcosa si ancestrale.
Semplicemente geniale!possiedi un grande talento Michele, l’ho letto tutto d’un fiato.. grazie!!
Grazie davvero! Ogni reazione, positiva o negativa che sia, è sempre una spinta a voler fare meglio e a spronarmi.
Puoi scrivere qui sotto i link alle tue storie? Mi farebbe piacere leggerle, naturalmente, perché qualsiasi scrittore, o aspirante tale, deve essere un lettore maniacale!