La pozzanghera

Guardo la goccia scivolare lungo il vetro. Scorre lentamente, frenata dalla polvere degli anni che si è depositata sopra.

Dietro di sé lascia una scia di sporco su cui si incanala un’altra e poi un’altra ancora, finché il pianto del cielo diventa un rivolo d’acqua che s’ingrossa man mano e lava via tutto. Una pioggia che purifica anche i pensieri.

Un tuono cupo scuote il silenzio e dal grigio del cielo, un lampo illumina la finestra e rischiara il giardino in penombra.

Il roseto è soffocato dalle erbacce, ma i fiori bianchi si stagliano netti dal verde del fogliame, le corolle patiscono fiere i colpi dell’acquazzone. Ondeggiano sotto lo scroscio impetuoso, sembrano chinare la testa fino a spezzarsi, gonfie di liquido gocciolante.

«È il solito temporale estivo, fra un po’ finisce. Facciamo in fretta così torniamo presto a casa»

La tua voce impaziente mi raggiunge da dietro le spalle, ti sento rovistare nei cassetti della stanza alla ricerca di qualcosa.

Come sempre hai ragione, quello che sembrava un diluvio si è rapidamente trasformato in un piovasco dalle stille sempre più rade. Dalla grondaia spaccata scende ancora qualche goccia a colmare il tino, posto lì sotto come serbatoio per innaffiare il giardino nei giorni assolati.  Le rose hanno lasciato qualche petalo sul terriccio e adesso rialzano il capo verso il sole per farsi asciugare in una calda carezza di luce.

«Silvia, vieni ad aiutarmi o, come al solito, devo pensarci da sola a trovare quel documento?»

Tu sei la sorella dinamica e efficiente, quella che ha il dono di risolvere tutto, sei energica e risoluta, comprendi ogni situazione in un battibaleno e altrettanto velocemente la concludi con successo.

Ma oggi non vedi le rose. Non cogli il tempo che è scivolato via, come la pioggia sui vetri. Non annusi l’odore della terra bagnata, non senti  il profumo del giardino.

Apro la finestra, il cortile è uno stagno su cui galleggiano fili d’erba e piccoli arbusti. È sempre stato così, dopo la pioggia l’acqua tarda a rifluire per qualche errore di progettazione dello spiazzale. Al centro si forma una specie di pozza che si asciuga lentamente. Nessuno l’ha mai sistemato.

Guardo e ti rivedo mentre giochiamo insieme a far galleggiare le barchette di carta, la tua era sempre perfetta, completata con i disegni del timone e della bandiera d’Italia, piegata accuratamente nel classico origami, la mia sbilenca, con angoli smussi, storta come me. Le spingevamo con lo stecco del gelato o con un rametto, su quello specchio d’acqua rubato alle nuvole, immaginando di stare al mare, i piedini scalzi nella pozza a rincorrere sogni marinai. La mia barchetta affondava sempre, la tua doveva essere impermeabile a tutto, forse anche alle emozioni.

Non so come fai, se riesci a mascherare ciò che realmente provi oppure sei davvero insensibile a tutto. Io invece piango, rido, urlo, vivo. Male. È tutto imperfetto nella mia vita: studi incompleti, amori sbagliati, lavori precari, faticosi, sottopagati. Vedova. Risposata e divorziata. Anche mio figlio si è allontanato. Preferisce vivere nella città del padre e fare il pendolare all’università, anziché averla sotto casa, rimanendo insieme a me. Io faccio traduzioni per una casa editrice e canto in un complesso jazz. Mangio male, salto i pasti, fumo troppo.

Scrivo poesie, come la mamma. A volte butto giù racconti, narrano di cose lontane dal mio mondo, cose che non conosco; li invento dal nulla, li correggo, li cancello e non li finisco mai. Li lascio in qualche angolo della casa, un foglio sopra l’altro a scambiarsi parole come se potessero intrecciarsi in un unico romanzo, un capolavoro da nobel della letteratura.

«Marta, cerca quel foglio nella cassetta di ferro sopra l’armadio, nella camera di mamma, forse lo trovi lì»

Ti seguo nella stanza. La scatola è ancora là sopra, impolverata. La apriamo insieme. Ci sono alcune foto di noi due bambine, la prima letterina di natale scritta insieme per chiedere una bambola che adesso è fuori produzione, ma che allora ci sembrava impossibile da ottenere se non offrendo fioretti e promesse di eterna bontà. C’è la fotografia della tua laurea in economia, la mia foto del primo matrimonio in abito bianco, casto come quello delle clarisse, a fianco a Guido che si perdeva nella giacca nera dello smoking. Il mio primo amore, perduto nel male del secolo. Con questo giro di parole chiamavamo per pudore il cancro, come se fosse un castigo, caduto dal cielo come una condanna all’infelicità.

«Ecco il foglio!»

Esulti, non hai guardato niente. E’ troppo importante trovare il foglio catastale con la divisione delle particelle del terreno intestate a nostra madre. Bisogna vendere la casa. La mamma non c’è più e non serve avere una casupola di campagna in un lontano paese dimenticato dagli uomini.

Io non ho dimenticato.

Mentre tu pieghi con cura il tuo cimelio, io continuo a guardare i ricordi chiusi in quella scatola: la medaglietta religiosa, il rosario di perle, la foto di papà, morto giovane. Dietro c’è scritta una poesia a matita con una grafia incerta: “il tuo sguardo attraversa i miei occhi e mi fa sorridere come una bimba felice” Marta.

E’ da allora che non scrivi più poesie, un incidente col trattore ci portò via nostro padre velocemente, due gemelline di prima elementare che sarebbero cresciute solo con l’amore della madre.

«Domani si va all’agenzia ad accettare la proposta d’acquisto della casa, così ci togliamo anche questo pensiero, tasse inutili per una casa che non ha più un buon valore di mercato»

Ascolto le tue parole, ma non sono d’accordo. Il valore di questa casa è nei ricordi che abbiamo avuto vivendo qui. Il pane fatto a mano, le castagne cotte nel camino, i giochi all’aperto, la frutta mangiata dagli alberi, la festa dei nostri diciotto anni, nel cortile pieno di palloncini con gli amici di classe e Davide che si dichiarò a te proprio in quella circostanza e ancora oggi vivete in un matrimonio di oltre trent’anni.

Perché non ti fermi a ricordare?

«E’ tardi, sbrighiamoci, la pioggia ha portato umidità, già mi fanno quasi male le ossa»

Ti seguo fuori. Il sole brilla sullo specchio d’acqua stagnante. Ci entro giocosa, il livello è appena sotto la caviglia e io inizio a schizzare tutto intorno, batto i piedi come se pigiassi uva, mi bagno i jeans fino al ginocchio. Con l’incavo delle mani raccolgo l’acqua piovana e ti schizzo, giochiamo ancora, giochiamo ti va?

E’ solo un pensiero che mi sfiora, tu sei già in macchina, soddisfatta per aver risolto un altro intoppo.

«Marta, io non vado via da qui insieme a te. Voglio restare ancora un po’ qui. E non voglio vendere questa casa. Non adesso, non subito, o forse mai più»

«Silvia che ti prende? Eravamo d’accordo. E’ da un anno che andiamo dicendo che non vale la pena mantenere questo posto, e adesso ci hai ripensato?»

«Voglio solo avere il tempo di salutare tutto questo. Manco dalla casa paterna da tanti anni, l’ultima fu quando portammo mamma alla casa di riposo, cinque anni fa. Non ho mai salutato veramente queste mura e rivederle mi ha risvegliato tante emozioni che non posso lasciare qui, non prima di averle ringraziate una ad una. Poi, non so se la mia decisione di vendere la casa rimarrà la stessa, adesso però ho bisogno di fermarmi un po’ qui»

Lo so che sono la solita guastafeste, te lo leggo sul volto ciò che stai pensando. Non dici niente, avvi il motore e mi dici che mi dai solo questo giorno per fare ciò che voglio fare, abbiamo preso un impegno con l’acquirente e non hai intenzione di perdere l’affare rimettendoci altri soldi.

Il rumore della macchina si affievolisce in lontananza.

La pozzanghera è lì, appena increspata da un soffio di vento. Mi tolgo le scarpe, ci entro piano piano, sulla superficie si riflette un arcobaleno. Uno, due, tre anelli concentrici d’acqua si formano sopra. Piango.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “frenata dalla polvere degli anni che si è depositata sopra”

    Fin alla prima frase abitui il lettore ad una certa estetica di frasi, che colpisce.
    La diversità caratterizza la vita di ognuno di noi, e le cose, uguali di per sè, trovano il cambiamento in come vengono da noi vissute.
    Il bilanciamento di questa considerazione scorre nitido per tutto il racconto, brava e toccante!

  2. Belmy è bellissimo, complimenti. Il contrasto tra le due sorelle, i loro due modi diversi di apporcciarsi alla vita mi riconrdano tante situazioni osservate e vissute in prima persona. Non esiste un modo giusto o un modo sbagliato di vivere; ci sono però indubbiamente modi completemente e fortunatamente diversi. Al di là di queste considerazioni personali trovo la tua prosa limpida e coinvolgente. Piccola nota tecnica: se vuoi aggiungere un’immagine di copertina a questo LibriCK puoi trovarne di gratuite e libere da copyright su pixabay: https://pixabay.com/
    Ciao!