
SERAFIMA E IL POSTINO NERO (Il postino nero, uno)
Serie: Al di là di Nwerenkwarụ
- Episodio 1: IL CERCHIO SI CHIUDE – Fine FORZATA di questa serie. Ma segue l’importane epilogo esegetico.
- Episodio 2: COLLABORATRICI DOMESTICHE, DEPRESSIONE E SENSI DI COLPA (parte 1/3)
- Episodio 3: SERAFIMA E IL POSTINO NERO (Il postino nero, uno)
- Episodio 4: COLLABORATRICI DOMESTICHE, DEPRESSIONE E SENSI DI COLPA (parte 2/3)
- Episodio 5: CUERPO DE MUJER (Il postino nero due)
- Episodio 6: COLLABORATRICI DOMESTICHE, DEPRESSIONE E SENSI DI COLPA (parte 3/3)
- Episodio 7: MARYOKU NIARE’ (Il postino nero tre)
- Episodio 8: PRESENTAZIONE
- Episodio 9: LA “STRANIERA” ITALIANA E LA NUOVA “STRANIERA STRANIERA”
- Episodio 10: IL GIOVANE PAWEL ULJABAYEV (Il postino nero quattro)
- Episodio 1: NONNA GEMMA
- Episodio 2: LE CHIAVI DI SERAFIMA
- Episodio 3: LA CARROZZA MAGICA PER PESHAWAR (Ghaydaa parte prima)
- Episodio 4: UN CORRIDOIO, PAOLO FRANCESCA E DAGA
- Episodio 5: SERAFIMA CON AZZURRA
- Episodio 6: IL GIORNO DI MANSUL (Ghaydaa parte seconda)
- Episodio 7: L’INCIDENTE
- Episodio 8: EUGENIO
- Episodio 9: IL GIORNO DI ASMA MOHSIM (Ghaydaa parte terza)
- Episodio 10: ISABELLA IN RAPPORTO CON IL SUO CORPO DIVERSO (prima parte)
- Episodio 1: LA MACCHIA NERA (Giuditta prima parte)
- Episodio 2: NASREEN SHARIFI (Ghaydaa parte quarta)
- Episodio 3: ISABELLA IN RAPPORTO CON IL SUO CORPO DIVERSO (seconda parte)
- Episodio 4: ODORE DI SUDORE E PROFUMO DI FIOR D’ARANCIO (Giuditta seconda parte)
- Episodio 5: GHAYDAA E LA TERZA VITA (Ghaydaa parte quinta)
- Episodio 6: MI AVVALGO DELLA FACOLTA’ DI NON PARLARE (parte prima)
- Episodio 7: CAGNA PETUNIA (Giuditta terza parte)
- Episodio 8: LE SORELLE PARSEGHIAN
- Episodio 9: MI AVVALGO DELLA FACOLTA’ DI NON PARLARE (parte seconda)
- Episodio 10: LUI BUSSO’ CENT’ANNI ANCORA ALLA SUA PORTA (Giuditta quarta parte)
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
Lukiana si stava vestendo. Sarebbe andata quella mattina a conoscere la sua nuova padrona. Serafima stava ancora dormendo.
Truccandosi Lukiana osservava riflessa nello specchio la figura di Serafima raggomitolata sul letto, ancora immersa nei suoi sogni, completamente nuda. Nella camera faceva molto caldo e Serafima era abituata a dormire senza alcun indumento. Era l’unico momento in cui poteva riposare le sue cicatrici dal contatto con i vestiti, e in cui non aveva alcun problema ad esporre il suo corpo così come era. Anche se per lei non ci sarebbero stati comunque problemi. Era una sua delicatezza non provocare nelle persone che la vedevano quella reazione di disagio a volte totalmente automatico-inconscia, prodotta sì dal suo viso, che non poteva nascondere, ma anche dal resto del suo corpo così segnato. La sua era più tenerezza verso il disagio dell’astante piuttosto che disagio di sè stessa.
In realtà il percorso di metabolizzazione del suo aspetto fisico era stato lungo e complicato.
Come lungo e complicato era stato il percorso di rimodellamento artistico del complesso bassorilievo scolpito sul suo corpo. L’artista era stato il dottor Corrado Giusti, rampante chirurgo plastico figlio del professor Giusti pediatra, ultimo vero barone dell’università di Firenze. Per esercitarsi nello studio del russo, che aveva deciso di approfondire per motivi di collaborazioni scientifiche, il dottor Giusti leggeva giornali in lingua russa e gli era capitato di leggere una piccola notizia che parlava del dramma di una giovane bielorussa rimasta orfana, ricoverata con tutto il corpo ustionato, fra i bambini terminali dell’Ospedale “St. Humbert” di Grodno, ora Hrodna, nel nordovest della Bielorussia.
Non gli importava che storia potesse esserci alle spalle, quello che vedeva era la possibilità di una pubblicità della sua immagine professionale. Attraverso conoscenze di colleghi riuscì a far venire in Italia la giovane. Le salvò la vita, ricoperse il suo corpo carbonizzato di pelle buona anche se bitorzoluta, e le trovò una famiglia a cui fu affidata come “affido internazionale”. Era una famiglia dolcissima senza altri figli, che la aveva accudita amorevolmente nei periodi in cui Serafima non era ricoverata in ospedale. L’opera di ricostruzione non durò solo un anno, ma quando Serafima compì i diciotto anni, pur essendo eternamente riconoscente verso la sua nuova famiglia, richiese l’indipendenza. Serafima aveva sempre avuto carattere forte e idee sempre molto chiare fin da piccola.
Anche quel giorno di tardo inverno aveva perfettamente in mente quale era il suo obiettivo.
Sua mamma stava russando sul divano rosso sangue con la paglia della imbottitura che usciva in più punti. Gli spigoli dei braccioli unti e distintamente lisi testimoniavano non solo l’età ma anche lo stato di abbandono da un pur anche minimo intervento di semplice pulizia. La donna si stava esibendo in quei gorgheggi dopo aver prosciugato la bottiglia di Vodka che aveva mischiato alla birra scadente portate da Kazimir. Kazimir faceva sesso con la mamma di Serafima e poi le lasciava soldi sufficienti per il mangiare di 3 o 4 giorni e due bottiglie di Vodka. Questa volta aveva accompagnato la Vodka con una borsata di bottiglie di birra che già dal colore erano tutt’altro che “imperial stout”. Il braccio destro era cadente con la mano che toccava terra e le unghie, rosicchiate fino a sanguinare, che si immergevano nello starato schifosamente unto del pavimento simile a quello di una officina meccanica. La spalla destra era girata in dietro al limite della lussazione, le gambe erano scomposte sul bracciolo lurido del divano e la testa sporta in dietro con una angolazione tale che quando la donna si sarebbe poi svegliata da quel pesante torpore, avrebbe inevitabilmente sentito un dolore costrittivo lungo tutto il collo fino alle spalle per lungo tempo. Serafima accarezzò la gamba scoperta ignorando l’olezzo che proveniva dal piede destro, soffermando le dita affusolate e bianche sulla cicatrice appena sporgente, spessa ed irregolare a metà dello stinco. Era lunga come il palmo della sua mano attuale. Accarezzandola ricordava quanto aveva pianto e urlato nel vedere il sangue uscire e piano piano rapprendersi attorno, e lei che con la mano piccola di bimba, la metà di quello che era ora, cercava disperatamente di fermarlo, mentre il padre stava ancora urlando parole che lei non capiva o non voleva capire. Era terrorizzata perché temeva che la mamma non si muovesse più perché era morta, e fosse morta proprio per quel sangue che lei con la sua manina non era riuscita a fermare.
Indugiò per diversi lunghi minuti con lo sguardo fisso sugli occhi della mamma, chiusi da quelle palpebre ornate da ciglia lunghissime che la avevano resa bellissima da giovane. Lei non ricordava di averla mai vista da giovane. Quando Serafima aveva avuto l’età minima dei ricordi mamma era già distrutta dall’alcool e dalle botte; queste ultime terminate con la misteriosa scomparsa del papà, l’alcool invece mai scomparso.
Mentre pianificava le sue azioni ebbe per un attimo il fugace desiderio di ucciderla nel sonno e vederla volare sorridente e serena in un paradiso incantato vestita come una principessa.
Aveva visto cosa era successo con la lunga giacca imbottita di mamma stesa ad asciugare sulla sedia di metallo davanti al camino, quando era stata colpita dai tizzoni scoppiettanti. In una frazione di secondi si era trasformato tutto in una unica torcia abbagliante. Quello che alla fine era rimasto della sedia era uno scheletro completamente annerito. Le pari metalliche per lunghi minuti avevano conservato quel colore rosso-giallo come fossero appena state tolte dalla forgia, mentre il giaccone era un ammasso informe di materiale friabile carbonizzato, sparso anche sul pavimento attorno. Era il pregio della fibra sintetica di manufattura cinese che componeva quasi interamente l’indumento. Si percepiva anche dall’odore tendente al cherosene stantio che aveva avuto da nuovo. Era estremamente poco costoso, non riparava dal freddo, e faceva sudare (freddo) anche in pieno inverno con temperatura sotto zero. Ma il prezzo era talmente basso che quando mamma lo aveva comprato, ne aveva presi due, uno lungo ai polpacci, quello bruciato, e una giacca più corta, poco meno di trequarti.
Serafima indossò la giacca rimasta. La strinse a sé affondandovi dentro la bocca ed il naso. Si inebriò profondamente per alcuni minuti ad occhi chiusi del penetrante profumo di catrame, non per prendere coraggio ma più semplicemente per avere un ultimo e fisicamente intenso ricordo della sua vita. Si avvicinò al camino senza bisogno di entrarci e si accese.
Postino in paese era un ragazzo di colore arrivato dalla Nigeria. Forse l’unico migrante al contrario in Bielorussia. La lettera era indirizzata ai Kuhorenok, ma il postino nero aveva deciso di distrarsi proprio in quel momento mentre si dirigeva alla consegna e imboccare il vialetto parallelo, ma verso la abitazione sbagliata, quella di Serafima.
Una palazzina a due piani. Le pareti bianco sporco erano rivestite di un materiale che sembrava una via di mezzo fra la calce e il polistirolo, che si stava ormai sfaldando in superficie, anche se un reticolato metallico abbastanza regolare che lo ricopriva avrebbe dovuto proteggerlo. Due porte di vernice verde sotto una pensilina che proteggeva dalla pioggia, con residui di erbacce che penzolavano dalla grondaia, erano gli ingressi attigui delle due abitazioni. La casa a schiera a sinistra, quella dei Kuhorenok, nella parte superiore era rivestita di listoni verticali di legno verniciati sicuramente molti anni prima, di un blu diventato ormai azzurro sporco. Tutto sommato così a prima impressione, sembrava migliore la parte di edificio a destra, quella di Serafima. La porta di ingresso era più piccola e senza vetri, mentre alla sua destra, dopo un breve tratto di muro ampiamente scrostato in origine forse verdino, una vetrata più ampia a doppia anta lasciava intravedere delle tende di una tinta unita a metà fra il biancosporco e il giallino ancora più sporco. Ad una altezza di circa un metro e mezzo, nel tratto di muro fra le due aperture, c’era inchiodato un tubo di metallo discretamente grosso di diametro, quasi orizzontale, con appiccicato un pezzo di cartone grigio su cui c’era il nome. Il postino si avvicinò ad osservare incuriosito l’estroso impiego di un pezzo forse appartenuto ad un tetto o ad una fognatura. Mentre lo osservava e ci infilava la lettera senza controllare il nome, gli sembrò di sentire un flebile ritmico lamento provenire da dentro. Cercò di guardare al di là del vetro, ma le tendine sudice impedivano di capire l’ambiente interno. Eppure dentro c’era qualcuno che gemeva. Si chiese se la cosa poteva riguardarlo e senza alcun tentennamento si rispose di NO.
Era già a metà del vialetto quando un pensiero gli esplose in testa e gli fece invertire improvvisamente la direzione. ‘E se dietro quella porta ci fossero elementi, eventi o soggetti che mi possono tornare utili?’ Pensiero alquanto suggestivo per un postino, se pur nero in Bielorussia! ‘Perché sprecare una possibile occasione. Ho sempre tempo per abbandonare il campo ad altri, dopo aver almeno dato un’occhiata, se scopro qualche cosa di non conveniente.’
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- Episodio 1: LA MACCHIA NERA (Giuditta prima parte)
- Episodio 2: NASREEN SHARIFI (Ghaydaa parte quarta)
- Episodio 3: ISABELLA IN RAPPORTO CON IL SUO CORPO DIVERSO (seconda parte)
- Episodio 4: ODORE DI SUDORE E PROFUMO DI FIOR D’ARANCIO (Giuditta seconda parte)
- Episodio 5: GHAYDAA E LA TERZA VITA (Ghaydaa parte quinta)
- Episodio 6: MI AVVALGO DELLA FACOLTA’ DI NON PARLARE (parte prima)
- Episodio 7: CAGNA PETUNIA (Giuditta terza parte)
- Episodio 8: LE SORELLE PARSEGHIAN
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