LE SORELLE PARSEGHIAN

Serie: Al di là di Nwerenkwarụ


Il postino, in preda ad un’estasi inconsueta, sembrava fissare insistentemente e sconvenientemente proprio in mezzo all’inguine la sfortunata nanerottola di nome Siran, mentre lei per nulla infastidita cortese sta chiedendo la ragione che ha portato il postino alla sua porta. In realtà gli occhi del ragazzo stanno cercando di penetrare con forza quelli in rabbiosa irritata difesa del gatto nero seduto davanti alla ragazza, la cui testa, per la brevità delle gambe di lei, si trova proprio all’altezza del suo inguine.

La sequenza di eventi si svolge tutta in un tempo inferiore al secondo, ed ha come azione iniziale la reazione violenta del gatto agli occhi penetranti del postino.

Con un improvviso balzo indemoniato affonda le sue unghie nella carne grassa delle grosse cosce della ragazza. Agitando scoordinatamente le braccia non sufficientemente lunghe da mantenere l’equilibrio, Siran cade urtando il tavolino accanto alla porta di ingresso. Il grosso vaso in ceramica si sfracella a terra con un rumore assordante sbricciolando il variopinto melograno in rilievo.

Proprio davanti all’ingresso della loro abitazione, la giovane Margarid sta accudendo i sei struzzi importati abusivamente dal kolchozniko, che alla privatizzazione delle aziende pubbliche si era appropriato di quella “Fattoria Collettiva”.

MetsGlukh, il “testone”, è il più grosso, pesa quasi duecento chili, ed è anche il più agitato. Ha l’abitudine di sbattere violentemente la testa contro il palo che sorregge la copertura in lamiera del recinto. Il fragore del vaso con la pianta di melograno, raggela Margarid. La sua reazione è immediata. Ricorda con angoscia quando la sorella, arrampicatasi sulla sedia per prendere nella dispensa il barattolo di Tarhana, era caduta rompendo uno dei suoi arti deformi. L’osso uscito dalla pelle, ci aveva messo più di un anno per guarire. Anzi guarita non era, perché ancora ora spesso per camminare aveva bisogno dei bastoni.

Da accovacciata Margarid, a quel fragore, scatta come una molla, mentre MetsGlukh picchia la testa con forza contro il pilone. La sua energia è incontrollata e il pilone fatica a trattenere la sua posizione. Non ce la fa più e asseconda il colpo. La putrella che sorregge il tetto perde il suo contatto con il pilone. La punta aguzza del pesante ferro sfiora la testa dello struzzo, sfiora i pantaloncini di Margarid e si conficca con violenza nel terreno roccioso in profondità per circa trenta centimetri, proprio nel punto dove meno di un quarto di secondo prima era accovacciata la ragazza.

Nonostante la velocità con cui la scheggia di Margarid gli passa davanti, il postino ha il fermoimmagine cinematografico della ragazzina già grande per i suoi quindici anni.

Capelli castani quasi neri, tutti scarmigliati. Occhi leggermente asimmetrici per il destro impercettibilmente più chiuso del sinistro, due pupille nero pece. Ma in particolare una quantità e densità di peli decisamente scuri distribuiti uniformemente ovunque, come fosse un maschio adulto, su una pelle a metà fra il giallo itterico e il grigio-olivastro. La loro presenza è evidente anche sul viso dove le sopracciglia folte sono unite al centro in un’unica spessa striscia scura. La camicetta fotografata scomposta sul petto e mal abbottonata, lascia intravedere un minuscolo accenno di seno, al centro del quale una voglia marroncino con i contorni che ricordano, in uno strano presagio, il profilo dei confini della Bielorussia.

Tutti si rendono conto, archiviata la paura per Siran, del dramma molto più grave che ha sfiorato Margarid, ma nessuno ha la percezione del fatto che tutto è conseguente al momento in cui gli occhi del postino trafiggevano quelli del gatto nero. Solo il postino stesso comincia ad avere la sensazione che una misteriosa forza governi le sue azioni, con imperscrutabili e per lui imprevedibili risultati.

Pawel era impasticcato e fumato, unico modo per controllare il dolore della mano, il suo agitato panico, e l’isterica rabbia di quando doveva farsi aiutare a mangiare o peggio a pulirsi le parti intime. Nella settimana in cui erano ospiti dai Perseghian, l’unica che era riuscita a trattare serenamente con lui era Siran, ma malauguratamente spesso non era a casa, impegnata nel suo lavoro presso la sede di Yerevan della “Minnesota Advocates”, organizzazione in difesa delle donne fondata nel 1983. Ma soprattutto impegnata nello studio per diventare avvocato alla facoltà di giurisprudenza in Davit Anhaght Street.

Non era semplice, se pur già alla fine degli anni novanta, essere donna in Armenia, ed essere donna disabile, peggio ancora con velleità di autonomia di vita e di affermazione culturale e sociale. A volte la gente sorrideva nel vedere la nana che si arrampicava magari semplicemente sul marciapiede, ma lei ignorava e si arrampicava sempre di più nel contesto sociale e anche politico.

Siran aveva il sorriso che conquistava. Con quella sua bocca stretta e spessa, sovrastata da un naso larghissimo, due occhi quasi orrendamente rotondi, distanti tra loro più di tre volte il normale, la fronte che sembrava una palla da Rugby, aveva conquistato anche Pawel. Per questo, approfittando di un trasferimento di documenti riservati al gruppo “Minnesota Advocates” ad Akhaltsikhe in Georgia, aveva accompagnato i due ragazzi fino a Batumi, dove loro si sarebbero imbarcati per attraversare il Mar Nero in traghetto, per essere di aiuto al povero Pawel. I seni di lei, sproporzionati rispetto alle sue corte e grasse gambe erano ben proporzionati invece alla testa di lui che immersa in mezzo a loro aveva trascorso felice almeno quella parte di pesante viaggio.

Era l’imbrunire del quinto giorno, quando a circa mezz’ora dalla destinazione di Dubăsari, il postino decide di seguire le indicazioni di Siran e dirigersi verso il monastero di Ciuflea a Chisinau. Lì sarebbero stati ospitati da un monaco che Siran aveva conosciuto in passato, trasferitosi in Moldavia dall’Armenia per motivi di salute.

Era bellissimo, alto, con due occhi di un verde inverosimile. Siran era stata follemente, se pur platonicamente, innamorata di lui, forse anche perché non lo aveva mai visto in piedi. Il suo cuore dalla nascita aveva un buco che non gli permetteva di funzionare come avrebbe dovuto, e lui non poteva neanche fare uno scalino senza rischiare di morire soffocato da sè stesso.

Trascorsero lì quasi due mesi. La mano di Pawel non funzionava ancora. Forse la lamiera aveva tagliato dei nervi o dei tendini che nella sua buona volontà Ulkar non era riuscita a riparare. Ma la ferita si era completamente chiusa, non aveva più dolori, e anche se offesa la mano era decisamente utile quasi a tutto. In particolare riusciva già autonomamente a guidare e a sparare.

Una mattina mentre Pawel ancora dormiva, il postino salì su una ‘Trabant 601’ del 1991.

Il direttore tecnico della A&R Textil non aveva usato la sua ‘Gaz Volga’ troppo appariscente per la delicata ‘missione’ di andare in Bielorussia ad adottare un bimbo, forse non del tutto legalmente. Il direttore era a Chișinău fin dalla fondazione dell’industria, ed i successi collezionati nella professione erano mortificati dal vuoto di un figlio mai arrivato. La moglie sterile per una malattia genetica, quel giorno aspettava il filobus sotto la pensilina di Ciuflea steet. Era diretta all’università di medicina in bulevardul Ștefan cel Mare. Aveva gli occhi bassi e la tristezza nel cuore anche se dopo poco più di dieci minuti avrebbe abbracciato il giovane assistente di anatomia di quindici anni in meno. Sentiva la colpa insinuarsi dentro di lei ancora più dell’umido della pioggerellina di quel pomeriggio. Il postino si sentì improvvisamente come costretto a fissarla insistentemente. Aveva un fisico particolarmente strano. Fino alla vita assolutamente normale, quasi magra, un visino dalle labbra sottili e un naso leggermente all’insù. Ma i fianchi si allargavano progressivamente fino a due cosce smisurate su due polpacci appena più piccoli ma cilindrici. Sotto scomparivano due piccoli piedi avvolti da scarpette tipo Sneakers, color rosso fiamma. Era carina se la osservavi solo nella parte superiore, e il postino aveva gli occhi fissi sul suo viso. Lei sentiva il tagliente sguardo del postino come una urlata accusa. Ma il postino non sapeva nulla nè di lei nè del professorino. Quando finalmente gli sguardi si incrociarono lui tese a lei un biglietto piegato in quattro dicendo “Le è caduto questo”.

Il filobus silenzioso si ferma e lei senza togliere gli occhi dal postino che saliva, non si muove e si lascia cadere con un rumore ruvido di ferraglia sulla panchina traballante della fermata.

Il biglietto diceva: ПРИВЕТ. ВЫ ХОТИТЕ БЫТЬ МОЕЙ МАМОЙ? Я БЕЗ РОДИТЕЛЕЙ. ВОТ МОЙ НОМЕР (Ciao. Vuoi essere la mia mamma? Sono senza genitori. Ecco il mio telefono).

A quel telefono del sud della Bielorussia le rispose un bambino che a causa dell’incidente atomico del 1986, aveva perso genitori e nonni, ed il suo corpo era per intero coperto da strani bubboni neri, più o meno grossi, ma era dotato di una intelligenza speciale, che gli permetteva a sette anni di parlare già tre lingue.

La donna era riuscita a ritrovare il postino, ma lui non poteva aiutarla. Ignorava la provenienza del biglietto, anche se supponeva una origine cripticamente magica. Per questo seguì i coniugi nella loro missione, senza sapere che in Bielorussia era misteriosamente atteso proprio come postino nero.

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Discussioni

  1. “Il postino, in preda ad un’estasi inconsueta, sembrava fissare insistentemente e sconvenientemente proprio in mezzo all’inguine la sfortunata nanerottola di nome Siran, mentre lei per nulla infastidita cortese sta chiedendo la ragione che ha portato il postino alla sua porta. In realtà gli occhi del ragazzo stanno cercando di penetrare con forza quelli in rabbiosa irritata difesa del gatto nero seduto davanti alla ragazza, la cui testa, per la brevità delle gambe di lei, si trova proprio all’altezza del suo inguine.”
    Preciso incipit. Una scrittura veramente buona che in alcuni momenti si avvolge su se stessa.

    1. Tiziano mi ha suggerito di rispondere a questo tuo commento.
      Ma già sappiamo cosa pensiamo l’una dell’altra.
      Comunque l’espressione che la mia scrittura “si avvolge su se stessa” mi piace molto.
      Mi ricorda l’atteggiamento intimo di raccoglimento nelle fredde mattine di inverno.
      Non so perchè.

  2. ho percepito una scrittura, almeno in alcune parti, più simile a una pennellata che a un segno: è un punto di forza, sopratutto nei passaggi interiori o emotivi. In altre parti, invece, ho perso il fulcro della trama a cause di, seppur armoniche, micro digressioni che si disperdevano troppo velocente

    1. ho visto adesso.
      Sì hai ragione. A volte perdo il filo su cui camminare. Ma è la mia caratteristica. Quando cammino la gamba destra va spesso dove vuole, e se non cado, modifico fantasiosamente la mia direzione. Così nei miei pensieri.