UN CORRIDOIO, PAOLO FRANCESCA E DAGA

Serie: Al di là di Nwerenkwarụ


“Amor che nulla hai dato al mondo” “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. Amore il nostro, che ci obbliga ad amarci a vicenda.

Ti amo nonna. Ti ho sognato nonna. E il risveglio ha il sapore ancora intenso di quella inconscia sensualità lontana nel tempo ma ancora viva e fisicamente palpabile nella mia mente e nel mio corpo, quando nella mente ho il pensiero e l’immagine di nonna.

Ancora quello squillo fastidioso insistente e sgraziato che ha frantumato il mio sonno ed il mio sogno. Che rottura!

“hcgg …….haieeecgggga!!”

“Ciao Isa, guarda che non so quando potrò venire. Tutti bloccati a casa per questo cazzo di virus. Non vorrei prendermi anche una multa per attraversare la città”.

Non è che venga spesso Daga da me già normalmente. Diciamo che da quando mamma è in toscana da nonna, Daga quasi tutti i giorni sistematicamente alla stessa ora, sette di sera, mi chiama rapida “tutto ok?”

“Sgiaa tsuustuu Hougeibeuddddti” (Ciao Tuttobene), fine della chiamata.

Quel Martedì io avevo già fatto due giorni di smart working. Bella parola, e tutto sommato anche bello il lavoro.

“Isa mandami la lista della spesa per email che vedo quale supermercato consegna a casa dalle tue parti e ti faccio l’ordine domani”

Che bello a volte anche essere un po’ disabili!!

“Mi raccomando non uscire”

“E non girare per casa tutto il giorno con il tuo solito pigiama azzurro mummia, che sembri più paralitica e in miseria di quello che sei”

”e fatti la doccia cazzo che puzzi!”.

A parte il fatto che non “puzzo”! Sì è vero, la mia parte destra del corpo ha una sudorazione particolare, a volte acquosa, all’olfatto sembra spesso quella delle adolescenti. Ma non può dirmi che puzzo. E poi quando vuole proprio darmi contro se la prende con i miei capelli che dice sono stopposi frutto di eredità perché anche mamma li aveva così da giovane!

“Con che cazzo te li lavi? Aceto balsamico?”

Il largo e lungo corridoio del liceo era stato ricavato chiudendo con delle grandi vetrate il portico settecentesco a colonne esagonali che circondava su due lati l’edificio. Sulle pareti un pittore locale aveva appeso con tanto di cerimonia scolastica in pompa magna, una sequenza di quadri ad olio illustranti l’inferno di Dante. Diciotto quadri, due per ogni girone. Le aule avevano volumi diversi l’una dall’altra perchè ricavate dai cameroni del vecchio ospedale. Mamma guardava dal fondo la ragazza biondo perla circondata da un nutrito gruppo di ragazzi fumanti di ormoni, con uno sguardo che tradiva invidia e rassegnazione. Mamma era carina ma si sentiva a volte troppo magra, troppo piatta, troppo bassa, troppo e basta. Lo sguardo era intenso e perso.

“E’ Sandra Migliorati, quella arrivata da Perugia. Fa la quarta” Aveva cercato di riportarla alla realtà Andrea. Era bellissima agli occhi di mamma. E anche gli occhiali che da quella distanza sembravano a lenti dai vetri molto spessi, anziché ridurre il fascino di quel viso rotondo ma non troppo con zigomi alti e pronunciati e labbra rosso vivo dalla morbida carnosità prevalente su quello superiore, incorniciate da una carnagione leggermente ambrata, le davano un tocco di interessante intellettualità che in leggero contrasto con la prorompenza di un corpo comunque così perfetto, creavano il giusto equilibrio da renderla da sballo agli occhi di mamma. “Non sono così i suoi capelli, quando è arrivata li aveva scuri” Andrea si era accorto che mamma si era accarezzata una sua ciocca di capelli palesemente assorta nel confrontarli con quelli di Sandra. Mamma rimase persa in quella visione fino a quando uno strattone alla sua mano accompagnato dalla sollecitazione stizzita di Andrea “Tetta svegliati che sta arrivando la proff”. Strattone anche abbastanza energico, tanto che forse alla realtà la aveva parzialmente riportata il dolore trafittivo che aveva sentito al polso senza neanche accorgersi di chi e cosa le avesse detto.

Mamma avrebbe dovuto chiamarsi Maria per riprendere il bisnonno Mario, ma la fantasia un po’ perversa di nonna Gemma aveva storpiato o arricchito a seconda dei punti di vista, il nome Maria in Marietta. Lo rendeva nobile, diceva nonna, più toscano. Ben presto era stato volgarmente ridotto anche da nonno in “Etta”, ma l’altrettanto perversa fantasia ormoniguidata dei compagni adolescenti lo aveva tramutato in “TETTA”. Un po’ mamma era contrariata, specie quando ironizzando nel chiamarla i compagni stupidamente intraprendenti, le sfioravano il capezzolo. La cosa le dava un gran fastidio ma poi se ci pensava un attimo, fastidio neanche poi tanto …anzi!

Entrando in classe, mentre si morsicava ancora il labbro inferiore come reazione al dolore del polso, il suo sguardo indugiò per un tempo abbastanza significativo, come a soppesare uno strano senso di presentimento, sul quadro a lato della porta della sua classe.

Paolo e Francesca. Lei seduta su una panchetta, un lungo vestito rosso porpora che copriva le scarpe, un oggetto in mano e la testa appena reclinata a destra che lasciava scoperto il collo candido. Paolo seduto a mala pena sul ciglio della stessa panchetta protendeva tutto il corpo in un equilibrio instabile, ad appoggiare delicatamente le sue labbra a quel collo tornito. Il cadere lasso della mano sinistra e lo sguardo disegnato dal profilo, denotavano in lui una certa femminilità esaltata dai capelli lunghi mossi e biondo platino come quelli di Sandra.

Mamma aveva tutte le mani sudate quando alcune settimane dopo si era trovata seduta fianco a fianco a quella dea piombata direttamente dal cielo nel suo liceo. Anche Sandra doveva fare la visita medica per l’esonero dell’ora di ginnastica. Mamma aveva avuto un lungo periodo in cui ripetuti svenimenti avevano allarmato nonna Gemma. Dagli esami e visite che aveva fatto, oltre a una carenza di globuli rossi inspiegata, non era uscito niente, ma in via del tutto precauzionale il medico aveva richiesto un esonero dalla ginnastica almeno per qualche mese. Non si era resa conto che il fatto che Sandra fosse seduta accanto a lei non era dovuto al caso ma a Sandra stessa ed alla sua sottile strategia. Sandra veva dei problemi di vista e per questo era stato richiesto l’esonero dall’ora di ginnastica. “Che capelli stopposi che hai! Ma te li lavi? Ma con che cazzo te li lavi? Aceto balsamico?” Mamma non aveva neanche capito cosa Sandra avesse detto ma si era sentita il sudore che dalle mani era colato giù lungo la spina dorsale solo per il fatto che avesse percepito l’incrociarsi del loro sguardo attraverso quelle lenti così spesse che gli occhi si intravedevano come fossero in lontananza, e l’aver visto quelle labbra che si stavano muovendo proprio per lei. Riuscì solo a tentare un sorriso subito soffocato da quella poca saliva che le era rimasta e che stava sbagliando strada nel momento in cui sentì il leggero contatto delle dita della mano sinistra di Sandra che si erano insinuate in mezzo ai suoi capelli. “Bisogna che qualcuno ti dia una mano o almeno uno sciampo per salvarteli e salvare anche te da questo sciattume galattico”

Quegli occhi che attraverso le lenti spesse si rimpicciolivano a mamma sembravano grandi verdi ma soprattutto tutti per lei.

Sandra, che il fratello più piccolo quando cominciò a fraseggiare la chiamava Daga, ha due anni più di mamma. Il suo fisico ha sostenuto una bellezza esplosiva per tutti gli anni che ha potuto, poi la malattia lo ha segnato tristemente superando ora abbondantemente i cento chili. Ma il suo spirito e la sua passione sono ancora quelle di quel giorno della visita medica per l’esonero. E anche la sua innata vocazione all’essere stronza è rimasta intatta. Il legame con mamma è strano, con aspetti inspiegabilmente fuori da una realtà razionale, ma ormai granitico senza possibilità di incrinarsi. Ed anche io, nonostante me ne abbia fatte passare di tutti i colori, a volte sbattendomi in faccia i miei limiti senza alcuna cautela, non la cambierei con nessuno altro. A volte specie nel mio passato hanno avuto il sopravvento i periodi depressivi, ma se in gran parte della mia vita sono così combattiva nonostante tutto, lo devo anche alla sua stronzaggine.

Serie: Al di là di Nwerenkwarụ


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Gli incontri casuali che poi casuali non sono mai. Reso quasi oltre-dimensione terrena, pur trattandosi di un fatto concreto, dal dipinto di Paolo e Francesca collocato nello sfondo narrativo. L’ osservazione dell’ambiente, anche la compresione dei particolari in un lavoro di continuo trasporto dal fuori al dentro di noi stessi e viceversa, permette di trasportarli nella scrittura rendendola ricca ma sobria. Capito chi è Daga.

  2. Questo episodio è fantastico! Sia per le descrizioni che mi hanno calato direttamente in quel liceo, sia per la descrizione dei personaggi così realistici che mi chiedo se non esistano davvero. Bello anche il rapporto con Daga e il suo sviluppo nel tempo.
    Bravissima mi è piaciuto molto